Vedi SELE, Heraion del dell'anno: 1966 - 1997
SELE, Heraion del (v. vol. VII, p. 157)
Sono tre gli edifici scavati dopo gli anni '50 che vanno ad aggiungersi alla pianta del santuario edita da U. Zanotti Bianco e P. Zancani Montuoro. Gli scavi hanno interessato tre zone distinte nell'area della foce del Sele: la «zona A», comprendente i principali edifici sacri; a c.a 300 m a SE, la «zona B», e infine, a c.a 500 m a E, un'area già individuata e scavata negli anni '30, la «zona C».
Zona A. - Stoà arcaica. - Rinvenuta a c.a 50 m a SE del tempio maggiore, è un edificio di forma molto semplice, con un portico sul lato meridionale sostenuto da sette pilastri poggianti su plinti rettangolari dalle misure irregolari. Allo stato attuale rimangono lungo i lati brevi e, parzialmente, sulla fronte scarni resti di un'unica assisa di fondazione in blocchi di calcare locale accostati fra loro senza grappe che manca completamente sul lato Ν dove, al momento dello scavo, fu riconosciuto un piccolo argine attestante la linea dei blocchi asportati. Sulla fronte rimangono i blocchi di sostegno del colonnato che conservano gli incavi per l'impostazione di un altro plinto, dalle cui misure è stato possibile ricavare la larghezza dell'interasse per la quale, proprio per l'asimmetria dei blocchi, non si aveva alcun indizio. Aperto rimane il problema se le colonne fossero di legno o di pietra; P. Zancani Montuoro sembra escludere la presenza di colonne lignee per l'assoluta mancanza di tracce di combustione sulla superficie dei blocchi di sostegno. Il tetto era di tipo corinzio con tegole piane e coprigiunti quadrilateri, mentre kalyptères hegemònes a duplice costolatura ne coronavano il culmine. Le dimensioni esterne all'euthynterìa sono di 30 X 7,69 m e delineano un edificio a pianta stretta e allungata corrispondente alla stoà rinvenuta precedentemente sul lato opposto, a NO del tempio. La corrispondenza piuttosto precisa tra le misure delle due piante, la cui sola differenza è data dalla partizione in tre vani di quella cronologicamente più recente, è posta in evidenza dalla Zancani Montuoro che vede nella stoà a NO del tempio una continuità di funzioni che in età arcaica doveva ricoprire quella a SE. E che quest'ultima sia da considerarsi di età arcaica lo si deduce sia dalle proporzioni allungate della pianta, sia dai particolari della struttura che inseriscono questo edificio tra quelli anteriori alla metà del VI secolo. La presenza, all'interno del vano centrale, di frammenti pertinenti a kotỳlai corinzie e a oinochòai a fondo piano riferibili all'Antico e al Medio Corinzio avvalorano la cronologia proposta; pochi frammenti di una lèkythos attica a figure nere degli inizî del V sec. ne documentano invece la continuità d'uso. La stoà andò in rovina a causa di un violento incendio che devastò quasi tutti gli edifici arcaici del santuario e che è stato messo in relazione all'invasione lucana dello scorcio del V sec. a.C. L'apparente anomalia dell'apertura a S, con il muro di fondo che volge le spalle al tempio e agli altari, viene giustificata con la preferenza, solitamente data ai portici, di aprirsi a mezzogiorno per offrire migliore riparo ai pellegrini.
Altare minore. - Rinvenuto anch'esso negli anni '50, perfettamente allineato all'altare maggiore, entrambi posti a NE del tempio, rimane sostanzialmente inedito. Dista 33 m dall'angolo NE del tempio, completamente spostato a N, e non risulta in asse né con il tempio stesso, né con il c.d. thesauròs. La struttura (9,30 X 5,50 m) è identica a quella dell'altare maggiore: un corpo principale su cui si appoggia sul lato O la gradinata costituita da quattro gradini dei quali l'ultimo, più largo, in funzione di pròthysis. Per queste analogie è considerato contemporaneo all'altare maggiore e datato intorno al 500 a.C. La presenza delle due are viene giustificata da P. Zancani Montuoro con una diversa funzionalità legata al culto: sull'ara maggiore venivano consumati sacrifici cruenti, mentre l'altra era destinata a riti preliminari o complementari quali le libagioni o l'offerta dell'incenso.
Edificio quadrato. - Sorge isolato a c.a 80 m dalla fronte E del tempio, in una zona probabilmente marginale all'area più ristretta destinata alle cerimonie di culto. Prima della costruzione il terreno venne consacrato scavando un'enorme fossa larga quanto tutto l'edificio e terminante al centro a imbuto, nella quale fu deposta una notevole massa di oggetti votivi provenienti da costruzioni più antiche. Sovrapposto a questo è un altro deposito votivo, molto più recente, messo in relazione con la vita dell'edificio; comprende infatti oggetti offerti e usati durante la frequentazione e sepolti entro il perimetro dei muri quando questi furono demoliti. L'edificio, perfettamente quadrato (ogni lato è lungo, con lievi irregolarità, 12 m c.a), conserva tutta la prima assisa mentre la seconda rimane solo sul lato occidentale. La caratteristica principale è data dalla presenza di brevi muri che, dal centro dei lati N, E, e O, si sviluppano ad angolo retto verso l'interno dell'edificio e si dispongono paralleli sul lato S a fiancheggiare l'ingresso, ampio appena 1 m. La ricostruzione proposta da H. Schläger (1965-1966) vede questi contrafforti in funzione di sostegno della travatura del tetto a quattro spioventi con puntoni in contrasto, che dunque necessitava di pilastri aggettanti che ne sostenessero il peso. La presenza davanti all'ingresso di sottili pilastri di calcare ha consentito la ricostruzione di una tettoia inclinata, molto semplice e leggera, un pròtyron.
Negli angoli SE, SO e NO dell'edificio sono stati rinvenuti, riutilizzati nell'assisa di fondazione, tre blocchi scolpiti con metopa e relativo triglifo pertinenti al fregio del thesauròs; risultano pure di riuso quasi tutti i blocchi di calcare della seconda assisa e i pilastri di calcare davanti all'ingresso. Si tratta dunque di un edificio realizzato con materiale proveniente da costruzioni più antiche, legato all'arrivo dei Lucani e al periodo di riassetto del santuario dopo la violenta distruzione dello scorcio del V sec. a.C.; anche le peculiarità della pianta, della struttura, dell'orientamento sono attribuite all'apporto dei nuovi venuti. L'impianto, sulla base dei materiali rinvenuti, è datato tra il 370 e il 360 a.C. circa mentre il limite cronologico inferiore, l'incendio e la relativa demolizione, è legato all'arrivo dei Romani e alla deduzione della colonia latina di Paestum (273 a.C.).
Discussa è l'ipotesi di una destinazione civile dell'edificio (sala del consiglio, erario, archivio), cui si oppone la natura degli oggetti votivi rinvenuti sia nel primo sia nel secondo deposito e in particolare una statua in marmo di Hera in trono che non può essere considerata un comune ex voto ma, pur nel suo modulo ridotto (0,55 m), una vera e propria statua di culto. La quantità e la qualità degli oggetti rinvenuti nei due depositi votivi è stata più volte messa in risalto; tuttavia va rilevato un dato ricavato al momento del restauro dei materiali, che conferma la provenienza degli oggetti del deposito più antico dal thesauròs·. infatti numerosi frammenti provenienti da quello hanno completato oggetti provenienti dal thesauròs. Tra questi, particolare interesse ha suscitato un bacile in terracotta sostenuto da quattro figurine femminili con funzione di lampada a olio, di probabile origine tarantina. I recenti e numerosi rinvenimenti dall'area crotoniate ripropongono la problematica dell'origine e della diffusione di questi oggetti votivi, delineando un'omogeneità di produzione di area «achea».
Metope arcaiche. - Il rinvenimento di tre metope, che vanno ad aggiungersi alle trentatré leggibili, più almeno altre quattro illeggibili, porta il numero delle lastre a quaranta, rimettendo in discussione la proposta ricostruttiva del thesauròs fatta dal Krauss e quella del fregio prospettata da P. Zancani Montuoro. D'altro canto è la stessa studiosa ad avanzare perplessità sulla ricostruzione proposta accennando alla possibilità di soluzioni alternative e di nuove ipotesi ricostruttive, non necessariamente legate a un unico edificio.
La metopa con la raffigurazione della pena di Sisifo è stata ritrovata con la faccia scolpita in basso nell'angolo SE dell'edificio quadrato. Rappresenta Sisifo che spinge il masso in cima al monte mentre un piccolo demone alato gli sta addosso, tirandolo indietro. La variante iconografica del demone alato, sconosciuta alla tradizione figurata della Grecia, ma probabilmente già presente in Omero, ha fatto ipotizzare alla Zancani Montuoro che nella metopa si rifletta il mito nella sua forma più arcaica a cui lo scultore dell'H. conferisce uno schema del tutto innovativo.
La metopa con Aiace suicida fu riusata nell'assisa di fondazione a E; rappresenta il momento in cui l'eroe si getta sulla spada conficcata al suolo per uccidersi. Il rilievo, non completato, delinea i contorni delle masse semplici nello schema concentrato e chiuso della figura unica. Il soggetto, largamente diffuso sin dalla metà del VII sec. a.C., trova in ambiente etrusco un'insolita fortuna cui non è certamente estraneo lo schema e il linguaggio formale della metopa pestana.
La terza metopa, raffigurante la lotta tra Eracle e Alcioneo, fu riusata nell'angolo O dell'assisa di fondazione del muro N.
Zona B. - L'area, attualmente impraticabile per la formazione di un acquitrino, è considerata estranea alla vita del santuario e risulta utilizzata dopo il 400 a.C. per breve tempo.
Zona C. - Distante dall'area degli edifici sacri ma vicina alla grande via di comunicazione che attraversa tutta la piana del Sele, ha restituito numerose strutture non chiaramente leggibili. Un edificio arcaico datato agli inizî del VI sec. a.C., distrutto alla fine del V e ricostruito sulla stessa pianta in due fasi successive, fa pensare a un preciso significato dell'impianto per il conservatorismo della pianta e l'insistenza nello stesso punto; viene avanzata, molto prudentemente, l'ipotesi che possa trattarsi di una struttura vicina all'ingresso principale del santuario utilizzata per accogliere i visitatori e per le prime pratiche di culto.
La recente ripresa dell'esplorazione nell'area della foce del Sele è finalizzata da un lato a una puntualizzazione cronologica e stratigrafica di elementi già messi in discussione da P. Zancani Montuoro, dall'altro alla comprensione della topografia generale dell'area su cui sorge il santuario. Le indagini hanno portato all'individuazione della strada già riconosciuta dalla studiosa che, in direzione N-NO e S-SE, attraversa la piana del Sele collegando la città di Poseidonia con l'area generalmente identificata con il Portus Alburnus. La strada, che dista c.a 700 m dalla zona A, è stata scavata per una lunghezza di 200 m, evidenziando due diversi piani stradali, di cui il più antico è riferibile al periodo di riassetto del santuario dopo l'arrivo dei Lucani, mentre la sua «monumentalizzazione» con larghi blocchi di calcare appartiene al momento della colonia latina.
Nell'area del santuario sono in corso indagini stratigrafiche all'interno dell'ara minore che, grazie al materiale recuperato nel riempimento interno del corpo centrale, è possibile datare nell'ultimo quarto del VI sec. a.C. L'altare poggia su un livello più antico, occupato da una struttura in blocchi di tufo dei quali rimane solo la traccia in negativo. Questa struttura racchiudeva, a sua volta, un'area molto più ristretta caratterizzata da tre livelli di ceneri e bruciato frammisti a terra; che si tratti del primitivo «altare di ceneri» è documentato, tra l'altro, dalla scarsità del materiale che veniva di volta in volta ripulito. I pochi frammenti pertinenti a oinochòai a fondo piatto dell'Antico Corinzio datano il livello arcaico tra la fine del VII e gli inizî del VI sec. a.C. Un saggio trasversale all'interno della cella del tempio maggiore, ha documentato l'esistenza di un lungo canale creato al momento della costruzione dell'edificio. Il canale, largo m 1,20 e profondo m 1,80, attraversa la cella ed è funzionale al drenaggio delle acque del Sele che impaludano la zona; la fossa-canale è tagliata nel livello relativo all'Età del Ferro mentre è del tutto assente qualsiasi traccia di una struttura monumentale più antica, preesistente alla costruzione del tempio intorno alla fine del VI sec. a.C.
Più complesso l'intervento intorno al c.d. thesauròs, considerato da molti studiosi come il più antico tempio di Hera e datato alla metà circa del VI sec. a.C.
La discussione sull'affidabilità della ricostruzione del Krauss era stata accesa già dalla Zancani Montuoro all'indomani del rinvenimento delle altre tre metope scolpite. Molte ipotesi sono state successivamente prospettate, tutte incentrate sulle dimensioni reali della struttura, tali da poter contenere il totale delle metope e dei triglifi rinvenuti: da quella di raddoppiare l'area del pronao o di aggiungere una seconda colonna sui lati, a quella più recente di van Keuren che estende le strutture laterali verso E, attribuendo all'edificio quarantadue metope e ricostruendolo come un distilo in antis.
Sulla base di questa problematica è stata realizzata una serie di sondaggi sul lato E e all'interno della struttura stessa, che ha ben documentato come la lunghezza dei muri Ν e S dell'edificio sia di m 12,33, come aveva già rilevato Krauss. In particolare, un largo canale di drenaggio che circonda tutta l'estremità orientale del muro S dell'edificio evidenzia chiaramente i limiti di quest'ultimo. Tale canale delimita il muro S dall'interno e dall'esterno e ha la stessa funzione di drenaggio del canale rinvenuto all'interno del tempio maggiore; è scavato nello stesso livello alluvionale sterile dove sono tagliate le trincee di fondazione dell'edificio e segue un andamento semicircolare, determinando sulla fronte E il termine strutturale della costruzione. Nel riempimento del canale, costituito da terreno di riporto, è stato rinvenuto numeroso materiale eterogeneo che va dalla ceramica di impasto del VII sec. a.C. alla ceramica corinzia, ionica, locale a vernice nera di V e IV sec. a.C., frammisto a qualche elemento di coroplastica ellenistica. Il dato, quanto mai problematico, rimette in discussione la cronologia dell'edificio.
Infine, un saggio aperto a SO del tempio maggiore, ai margini di un bòthros scavato da P. Zancani Montuoro negli anni '30, ha restituito una notevole quantità di materiale votivo arcaico e tardo arcaico, prevalentemente coroplastica, che copre un arco cronologico compreso tra la fine del VI sec. e la prima metà del V sec. a.C.; questo materiale è stato obliterato e coperto da una spessa massicciata in scaglie di calcare riferibile alla fase lucana del santuario, confermando così la cronologia proposta dalla studiosa per l'arrivo dei Lucani al Sele alla fine del V sec. a.C.
Materiali. - Il lavoro di sistemazione e catalogazione di tutto il materiale proveniente dagli scavi al Sele, in vista di una prossima sistemazione museale nella restaurata fattoria Procuiali, nei pressi della zona B, sta dando risultati di notevole interesse. La quantità e la qualità dei materiali rendono con chiarezza i diversi momenti di vita del santuario e illustrano pienamente i poliedrici aspetti della divinità e le trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. Il momento inizîale dell'occupazione dell'area si coglie pienamente nei materiali ceramici di fabbrica corinzia databili tra l'ultimo quarto del VII e i primi decenni del VI sec. a.C.; a officina corinzia appartiene la prima immagine della divinità kourotròphos e all'ambiente di Perachora, Argo e Corinto riconducono i numerosi esemplari di divinità in trono alto, a spalliera, con larghi dischi sulle spalle. In questa tipologia rientra il notissimo esemplare dell'Hera Hippìa proveniente dall'H. urbano, ma attestato in frammenti anche al S. dove per altro questo particolare culto è confermato dalla presenza, nelle fosse sacrificali, di resti equini carbonizzati.
La documentazione materiale del santuario trova una perfetta corrispondenza sia cronologica sia formale in quella proveniente dall'H. urbano, confermando la contemporaneità dell'occupazione nei due diversi siti della piana del Sele. Nella plastica, a un periodo dominato da prodotti corinzi e dall'imitazione locale di modelli provenienti generalmente dall'area peloponnesiaca, succede, intorno alla metà del VI sec. a.C., una fase dominata da tematiche stilistiche e formali di area ionica; diventano predominanti i tipi seduti su basso trono squadrato che daranno origine, fino a tutta la prima metà del V sec. a.C., a una serie ricca e articolata di varianti. Nel corso dell'ultimo quarto del V sec. a.C. si codifica l'immagine di Hera nel suo precipuo aspetto di dea della natura e della fertilità, perdendo quella poliedricità che ne aveva invece caratterizzato l'immagine durante tutto il periodo arcaico. I segni della trasformazione nelle tematiche e nel linguaggio stilistico si colgono proprio sullo scorcio del secolo, momento al quale P. Zancani Montuoro riconduce l'arrivo dei Lucani e i fenomeni di riassetto degli edifici del santuario dovuti all'intervento dei nuovi padroni. L'età ellenistica segna l'esplosione dell'attività delle officine pestane che producono in migliaia di esemplari figurine di offerenti, in una molteplicità incredibile di varianti e di attributi.
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