BERGSON, Henri-Louis
Filosofo francese, nato a Parigi il 18 ottobre 1859, da famiglia israelitica irlandese. Uscito dall'École normale nel 1881, nello stesso anno divenne agrégé de philosophie. Insegnò successivamente nei licei di Angers, di Clermont-Ferrand, di Parigi. Nel 1889, con la tesi Essai sur les données immédiates de la conscience e la dissertazione Quid Aristoteles de loco senserit, si addottorò nella Sorbona. Nel 1910 conquistava la cattedra di filosofia al Collège de France, che ha occupata fino al suo ritiro volontario, avvenuto nel 1924, tenendovi corsi frequentatissimi sulla libertà, l'idea di tempo, Plotino, Berkeley, Spencer, ecc. È membro dell'Académie des sciences morales et politiques e dell'Académie Française; nel 1928 ha avuto il premio Nobel. La sua vita è stata tutta dedicata alla meditazione filosofica. Soltanto, nel dopoguerra, egli ha rappresentato la Francia nell'assemblea della Società delle Nazioni, nella sezione per la cooperazione intellettuale.
Le tre opere: Essai, già citato, Matière et Mémoire, L'Évolution créatrice, segnano lo sviluppo della sua filosofia. Nella prima è raggiunto il concetto, per lui cardinale, della durata, attraverso un'esperienza o verificazione interna. Se noi astraiamo dallo spazio, dai concetti dell'intelletto e dal linguaggio, organo delle necessità sociali e vitali, immergendoci nel più profondo di noi stessi, veniamo a contatto immediato con una realtà che è assolutamente qualitativa, mobile e indivisa. Essa è costituita dall'interpretazione di stati psichici che si fondono in guisa da produrre una continuità vivente, incessantemente in progresso, quindi sempre nuova e originale, ma la cui eterogeneità è tale che ogni suo momento, ricco com'è del passato e pregno del futuro, rispecchia a sua guisa il tutto. Questa è la durata, che sfugge, insieme, alla categoria dell'unità e a quella della molteplicità, e quindi anche allo spazio, al numero, alla misura.
Lo spazio è omogeneità quantitativa, la durata eterogeneità qualitativa; quello può essere scomposto e ricomposto secondo una legge qualsiasi, questa ha un ritmo proprio, affatto semplice e quindi individuo e imprevedibile.
La riconferma di questa realtà, costituente la vera spiritualità dell'uomo, il B. la trova nella critica del tempo fisico-matematico. Questo comprende soltanto una serie di simultaneità o d'istanti, e si lascia sfuggire il proprio della durata, che è lo stesso progresso mobile. Attraverso un tempo siffatto, simbolico e convenzionale, siamo soliti proiettare la nostra durata. Di qui le antinomie, nel problema della libertà, del determinismo e dello spiritualismo, che si collocano dinnanzi all'azione già esaurita, cioè all'azione già solidificata in una traiettoria percorsa. Ora la libertà, vige, purché non pretendiamo definirla, ma la cogliamo immediatamente nella novità affatto radicale della nostra vita più intima: come tale, essa è il più certo, il più immediato dei fatti.
In Matière et mémoire il B. precisa la natura dello spazio, già contrapposto allo spirito, e procura di mediare quel dualismo, partendo dallo studio del rapporto fra il corpo e lo spirito. Il parallelismo psico-fisiologico, che fa dello stato psichico un equivalente, oppure un semplice concomitante della modificazione fisiologica del cervello, si rivela fallace: il corpo nostro, oggetto fra gli oggetti, non può contenere e suscitare le immagini del tutto, bensì va considerato come un sistema sensorio-motore, la cui funzione, affatto pratica o vitale, è di ricevere e trasmettere impulsi. E in genere, la materia, collezione di images extensives, non racchiude nulla di misterioso, ma si squaderna tal quale nella nostra rappresentazione, che risulta parziale rispetto al tutto, ma non relativa al soggetto, ossia illusoria. Piuttosto, la percezione concreta condensa in sé una quantità enorme di quei momenti, incredibilmente rapidi - specie di stati psichici incoscienti - che costituiscono il mondo oggettivo; e chiama sempre attorno all'immagine attuale, o pura, una folla di ricordi esistenti allo stato latente, che devono integrarla e renderla praticamente efficace. Ciò spiega come lo spirito sia stato definito memoria. Così l'abisso, che realismo e idealismo collocano fra spirito e materia, può essere colmato: se la tensione qualitativa della nostra percezione concreta si allenta, si discende verso la materia, che si avvicina indefinitamente, senza mai pervenirvi, a quella ripetizione identica o perfetta omogeneità spaziale che la scienza, proseguendo la tendenza del senso comune, pretende, ai suoi fini pratici, di raggiungere col suo intellettualismo e conseguente meccanicismo..
Nell'Èvolution créatrice, il B. riprende il motivo della durata, ed elevandola a principio metafisico ne fa la sopracoscienza, o élan vital, ossia una forza creatrice universale, essenzialmente evolutiva e originale. L'evoluzionismo moderno può suggerirne l'idea, a patto che venga depurato sia del carattere meccanicistico, sia di quello finalistico; giacché l'uno e l'altro si risolvono nell'affermazione: tutto è dato, laddove "Dio non ha niente di fatto: egli è vita incessante, azione, libertà". Così una corrente di vita, dotata di una forza esplosiva intellettualmente non definibile, ha attraversato l'universo, dando origine a innumerevoli correnti e tentativi. Da una parte ne è nata la direzione degli artropodi, la cui caratteristica è l'istinto; dall'altra quella dei vertebrati, contraddistinta dall'intelligenza. Il primo costituisce un senso intimo, organico delle cose, ma finisce col chiudersi in sé, degenerando in automatismo e incoscienza; la seconda è vivida e capace di estendersi indefinitamente, ma esteriore, perché modellata sulla spazialità, o materia, alla cui nascita è correlativa. Questa balza fuori dall'inversione, che è una semplice interruzione, dell'élan vital.
Ora, se la nostra scienza intellettualistica, con le sue categorie convenzionali subordinate alle necessità della vita, riesce nel mondo dei solidi, si rivela inetta a penetrare il dominio della vita organica e dello spirito. Occorre, per questo, trascendere l'intelligenza e risuscitare le virtualità simpatetiche dell'istinto, che, allargato a intuizione, diventerà capace d'installarsi nell'oggetto e incidere nell'assoluto. Siffatta forma di conoscenza, per quanto rara, si attua allorché riusciamo a coincidere immediatamente con la nostra durata. Ebbene, l'intuizione è l'organo della metafisica, perché il reale è tutto di essenza psichica.
Questa filosofia ebbe rapida e notevole diffusione, con ripercussioni nel campo dell'estetica (futurismo), della filosofia epistemologica e religiosa (Le Roy e James) e politica (Sorel), dovuta in parte alle doti di scrittore del B., e più ancora al suo antintellettualismo pragmatistico, sboccante in una sorta di misticismo e di rinnovamento romantico. Storicamente essa continua e porta alla più avanzata espressione il neospiritualismo del Ravaisson e la filosofia della contingenza del Boutroux, non senza riseritire l'influsso del positivismo naturalistico. Il problema capitale attorno a cui essa gravita è quello del movimento senza mobile, dell'alto senza potenza, della creazione senza distinzione di creatore e creatura, ossia il problema del divenire assoluto.
Opere del B.: Essai sur les données immédiates de la conscience, Parigi 1889; Matière et Mémoire, Parigi 1896; Le rire, Parigi 1900; L'Évolution créatrice, Parigi 1907; L'Énergie spirituelle, Parigi 1919; Durée et simultanéité, à propos de la théorie d'Einstein, Parigi 1922. Fra i saggi sparsamente pubblicati e non ancora raccolti in volume sono notevoli: Introduction à la métaphysique, in Revue de métaphysique et de morale, 1903; L'intuition philosophique, 1911.
Bibl.: Un saggio della bibliografia bergsoniana è in Revue de métaphysique et de morale, novembre-dicembre 1913, e in Ueberweg-Heinze, Grundriss der Geschichte der Philosophie, V, 12ª ed., Berlino 1928. Intorno al B.: D. Parodi, in La phil. franç. contemporaine, Parigi 1919; F. D'Amato, Il pensiero di Bergson, Città di Castello 1921.