Käutner, Helmut
Regista, sceneggiatore e attore cinematografico tedesco, nato a Düsseldorf il 25 marzo 1908 e morto a Castellina (Siena) il 20 aprile 1980. La sua prolifica carriera di regista, come autore soprattutto di commedie sofisticate e melodrammi, ebbe inizio durante il nazismo, ma fu del tutto avulsa dalla propaganda di regime, e da questo appena tollerata. Dopo aver sperimentato, a metà degli anni Cinquanta, un dramma storico contemporaneo con esiti decisamente convincenti, come Die letzte Brücke (1954; L'ultimo ponte), che ricevette numerosi riconoscimenti tra cui il premio internazionale della giuria al Festival di Cannes, realizzò negli Stati Uniti discrete opere commerciali. Tornato a lavorare in patria, K. proseguì con professionalità e sobria eleganza il suo percorso cinematografico fino a metà degli anni Sessanta.
Studente di scenografia e teatro all'Accademia di belle arti e di lettere presso l'università di Monaco, K. fece i primi passi nello spettacolo agli inizi degli anni Trenta come autore e interprete di canzoni per il gruppo di cabaret Die vier Nachrichter, dove compì anche l'apprendistato come attore. Nel 1935 cominciò a lavorare come attore teatrale in Germania, Austria e Svizzera. Esordì nella regia cinematografica durante l'apogeo della dittatura nazista, nell'inconsueto genere della commedia sociale leggera e sofisticata, sul filone di Ernst Lubitsch, con alcuni film da cui traspariva, per quanto garbata, anche una certa critica alla temperie politica del suo Paese: Kitty und die Weltkonferenz (1939; Kitty, la manicure), con il pretesto di una storia d'amore tra una manicure e un giornalista, ironizzava sui rapporti politici tra Germania e Italia, e Kleider machen Leute (1940), con la sua spensierata allegria, appariva estraneo (e in parte anche inviso) alla retorica del regime e alla politica culturale di P.J. Göbbels. Dopo un film ambientato nel mondo dello spettacolo, Frau nach Mass (1940), fu una nuova storia d'amore, stavolta in chiave drammatica, a segnare il primo vero successo di pubblico di K., il sentimentale Auf Wiedersehen, Franziska (1941; Arrivederci, Francesca), che narra di un matrimonio difficile segnato anche dalla tensione della guerra imminente. Il mondo minimalista dei drammi quotidiani di K., costruito con notevoli capacità di tratteggio psicologico dei personaggi di diverse classi, proseguì in Wir machen Musik (1942; A suon di musica), piccola odissea di uno sfortunato compositore musicale salvato dall'amore, e nel poliziesco Anuschka (1942), dove una domestica è ingiustamente accusata di furto dal padrone, mentre un posto a sé è occupato dal raffinato Romanze in Moll (1943; La collana di perle), dramma passionale interpretato da Marianne Hoppe, ambientato nella Parigi di fine Ottocento e tratto dal racconto Les bijoux di G. de Maupassant: un apice del cinema di gusto di K. e un'eccezione nella produzione tedesca propagandistica degli anni di guerra, non a caso avversato dal governo nazista che lo definì disfattista. La sottile vena di K. non si interruppe neanche nel periodo più tragico della guerra, con film come Grosse Freiheit NR. 7 (1944), e riprese al ri-tmo incalzante di un paio di film l'anno anche alla fine del conflitto, pur tra estreme ristrettezze economiche, con commedie come In jenen Tagen (1947), Film ohne Titel (1948) e Der Apfel ist ab (1948). Negli anni seguenti realizzò prove più corpose e drammatiche che rileggevano con un taglio realista il disastro sociale e bellico della Germania nazista, come quella attraversata da un blando messaggio pacifista di Die letzte Brücke, storia di un'infermiera tedesca della Wehrmacht catturata in Serbia dai partigiani di Tito che finisce per passare al nemico, o Des Teufels General (1955; Il generale del diavolo), veemente atto d'accusa sulla correità dell'industria tede-sca nella gestione hitleriana, con protagonista Curd Jürgens nel ruolo di un generale nazista dissidente. Con tali lavori K. si affermò a livello internazionale come uno dei più professionali artigiani del cinema europeo di quegli anni. Dopo aver affrontato il dramma storico delle due Germanie con Himmel ohne Sterne (1955; Cielo senza stelle), tornò con Ludwig II: Glanz und Elend eines Königs (1955; Ludwig II) a descrivere, insieme alla dissipata vita del principe Ludovico di Baviera, un mondo lontano dal presente, imboccando una strada più convenzionale e spettacolare, di cui sono prova il satirico Der Hauptmann von Köpenick (1956; Il capitano di Koepenick), da una commedia del 1931 di Carl Zuckmayer ambientata nel regno di Guglielmo II, e la produzione francese Monpti (1957; Un amore a Parigi), con Romy Schneider e Horst Buchholz. Nel biennio successivo K. lavorò a Hollywood per la casa di produzione Universal Pictures, con la quale realizzò due film, il melodramma giovanile della provincia americana The restless years (1958; Il frutto del peccato) con Sandra Dee, e quello dei reduci di guerra Stranger in my arms (1959; Uno sconosciuto nella mia vita), tratto da un romanzo di R. Wilder e interpretato ancora dalla Dee e da June Allyson. Il ritorno in patria fu sancito da Der Rest ist Schweigen (1959; Il resto è silenzio), non banale rivisitazione dell'Amleto shakespeariano alla luce del passaggio dalla Germania di A. Hitler a quella di K. Adenauer, che fu seguito da una serie di opere di discreta fattura ma senza né spessore né successo fino alla metà degli anni Sessanta: commedie come Der Traum von Lieschen Müller (1961), la parentesi 'italiana' di Die Rote, noto anche come La Rossa (1962), storia d'amore con assassinio con Giorgio Albertazzi e Rossano Brazzi, fino all'ultimo film girato dal regista, Lausbubengeschichten (1964). Ritiratosi dal cinema, negli anni successivi diresse sporadicamente drammi storici televisivi o episodi di telefilm seriali, come Derrick, dando al contempo ottime prove di recitazione cinematografica nel fantascientifico Hauser's memory (1970; La morte viene dal passato) di Boris Sagal, e Karl May (1974) di Hans Jürgen Syberberg, sua ultima apparizione sullo schermo.
J. Hembus, Helmut Käutner oder: der Krieg wird immer lüstiger, in J. Hembus, Der deutsche Film kann gar nicht besser sein, Bremen 1961.
W. Schmieding, Helmut Käutner. Die Verführung zur Vielseitigkeit, in W. Schmieding, Kunst oder Kasse. Die Ärger mit dem deutschen Film, Hamburg 1961.
R. Koschnitziki, Filmographie Helmut Käutner, Wiesbaden 1978.
P. Cornelsen, Helmut Käutner. Seine Filme, seine Leben, München 1980.