HELIAND
. È il titolo, che significa "Salvatore", di un vasto poema di circa 6000 versi allitterati in antico sassone, contenente una libera elaborazione degli avvenimenti narrati negli Evangeli.
Pervenutoci anonimo. e attribuito, secondo una leggenda, a un povero agricoltore a cui Dio avrebbe conferito improvvisamente il dono dell'arte e della scienza, esso è probabilmente opera di un monaco del monastero di Fulda, che lo compose forse per incarico di Ludovico il Pio, inteso a guadagnare alla nuova fede, con un'opera d'arte cristiana, quel popolo ancora segretamente fedele alle divinità e alle tradizioni pagane. Composto sulla scorta dell'Armonia evangelica di Taziano, diffusasi per tempo nella veste latina, e utilizzandone i commenti di Rabano Mauro, Alcuino e Beda, esso è però un'opera di pura intonazione popolare, la quale conserva nella lingua, nello stile e nella metrica i caratteri dell'antica epica nazionale. Caratteristica principale è quel medievale travestimento che subisce il racconto biblico nell'adattarsi alle condizioni e alle circostanze della vita e della mentalità del popolo sassone nel IX secolo. C'è la tendenza a creare una storia evangelica tale da essere facilmente compresa e ammirata, perché meno discorde dagli avvenimenti della vita comune e dagl'ideali dell'etica tradizionale pagana; lo sforzo, in una parola, di colmare, fin dove era possibile, il divario fra l'umiltà cristiana e la fierezza germanica, non solo inquadrando i personaggi in una specie di dipendenza gerarchica secondo il diritto germanico - Cristo è re, Pilato un duca, Giuseppe un nobile, Marta e Maria sono baronesse, gli apostoli uomini d'arme - ma smussando o attenuando per mezzo di omissioni o di aggiunte tutto ciò che o era troppo stranamente nuovo o poteva contrastare troppo duramente coi concetti della morale popolare pagana; ampliando, all'incontro, con grande sfoggio di eloquenza e di colore, tutto ciò che contenesse un'idea favorita del germanesimo eroico.
Artisticamente il Heliand, che fu detto un monumento cristiano costruito e finito con tutti i motivi dell'arte pagana, è il più insigne esempio della germanizzazione della poesia e della dottrina del cristianesimo. Benché pieno di ridondanze e di ripetizioni, esso ha quasi sempre una spontanea freschezza di espressione, una narrazione spesse volte limpida e fiorita e qua e là una drammaticità di movimento che può far pensare a certi trapassi dei nostri misteri.
Ediz.: L'Editio princeps è di J. A. Schmeller, Stoccarda 1830; ediz. critiche, con glossario, di M. Heyne, Paderborn 1905, e O. Behagel, Halle 1903. Buona traduzione neotedesca è quella K. J. Simrock, Berlino 1883.
Bibl.: E. Windisch, Der H. und seine Quellen, Lipsia 1868; A. Vilmar, Deutsche Altertümer im H., Marburgo 1862, 2a ediz., E. Behringer, Zur Würdigung des H., Würzburg 1891; B. Vignola, H., poema sassone del sec. IX, in Rivista di letteratura tedesca, II, Firenze 1908.