Vedi HATRA dell'anno: 1960 - 1995
HATRA (῎Ατρα o ῎Ατραι, Hatra, Hatrae, el-Ḥadr)
Città fortificata presso il bordo settentrionale del deserto mesopotamico a 93 km a S-O di Mossul, al limite della piana coltivabile dell'antica Assiria.
Benché siano venute alla luce tracce di un insediamento più antico, i primi resti effettivi risalgono al principio dell'èra cristiana. H. è spesso descritta come una città carovaniera, ma in realtà la via carovaniera più vicina passa a un giorno di marcia più ad E e non vi è alcun indizio che H. sia mai stata importante dal punto di vista commerciale. Se mai fu piuttosto un centro militare e religioso. Come avamposto parthico e in seguito come, praticamente, cliente indipendente del regno parthico, H. resistette due volte con successo all'assedio degli eserciti romani comandati una volta da Traiano, un'altra da Settimio Severo. Nel III sec. per un breve periodo passò nell'orbita romana ed ebbe la guarnigione della coorte ix Gordiana Mauritanorum, ma quando, ben presto, Roma si ritirò di fronte alla potenza sorgente della nuova dinastia sassanide, H. fu lasciata al suo fato e quindi assediata e distrutta da Shāpur I, circa il 250 d. C. Ammiano Marcellino, che visitò i luoghi nel 363, ne parla come di una rovina abbandonata.
La città fu riscoperta dal Ross nel 1836 e i resti visibili furono rilevati dall'Andrae nel 1906-11. Dal 1951 è stato intrapreso lo scavo in larga scala da parte del Dipartimento delle Antichità Iracheno.
La pianta della città è un agglomeramento tipicamente orientale - di case rivolte verso l'interno, con cortile, costruite in mattoni crudi; di strade tortuose, che si svolgono senza seguire alcun piano - difeso da un imponente giro di mura e di torri in apparato di pietra. Le mura, intorno alle quali può esser riconosciuta una linea continua di tracce di opere di assedio, racchiudono un'area di circa 320 ettari. Il monumento principale è il tempio del dio del sole Shamash, un grande recinto rettangolare (m 320 × 456) al centro della città.
Il recinto interno è rivolto a E e occupa il terzo occidentale dell'area. La pianta consiste in due elementi quasi uguali, posti l'uno accanto all'altro e separati da un muro divisorio. La caratteristica principale di ciascuno è un grande iwān (v.), con vòlta a botte, largo circa 16 m e profondo 30, che si alza per più di 24 m sopra il livello del pavimento. Ai lati di ogni iwān principale si alzavano due file sovrapposte di vani minori, mentre tre ordini architettonici, paragonabili a quelli dei palazzi parthici di Assur, ma più affini nei particolari agli esempî classici da cui derivavano, decoravano la facciata, che era inoltre adorna di statue poste su mensole e di teste e di busti in alto rilievo sui piedritti degli archi. Il programma generale è del tutto orientale, ma i particolari architettonici e il tipo di muratura (si tratta dell'unico edificio costruito con grosse pietre nel periodo classico in Mesopotamia) sono ampiamente classici e debbono essere l'opera di tagliapietre venuti dalla Siria.
Un'iscrizione sulla facciata dell'iwān S dimostra che la costruzione era già condotta molto innanzi nel 77 d. C. All'edificio principale è aggiunta un'ala N, poco più tarda, contiene due iwān secondari; al di là del grande iwān S era un tempio del fuoco con caratteristica pianta quadrangolare, circondato da tutti i lati da un alto corridoio con vòlta a botte. Entro il recinto principale vi erano diversi altri templi minori, uno dei quali era dedicato a Allat-Atena.
Oltre al tempio maggiore, gli scavatori hanno identificato e messo in luce i resti di più d'una dozzina di altri santuari entro la città. Ad eccezione di elementi quali le cornici delle porte e i gradini, essi sono interamente costruiti con la tecnica locale di mattoni crudi, su un basso zoccolo di pietra; tutti hanno più o meno la stessa pianta, consistente in una sala trasversa rettangolare, con vòlta di mattoni, con una o tre porte in uno dei lati lunghi e un santuario interno in forma di recesso o di piccola camera opposta alla porta centrale; vi sono spesso cappelle secondarie, o tesori, che si aprono alle estremità della sala principale. Questi santuarî hanno dato un ricco raccolto di statuaria, offerte votive e iscrizioni, offrendo così una viva testimonianza della vita religiosa, artistica e sociale della città.
Gli abitanti di H. erano Semiti con sostanziali affinità agli Arabi; scrivevano e parlavano aramaico, ma avevano assorbito molti elementi dalle altre culture mesopotamiche, dalla cultura iranica e dalla cultura classica, con le quali erano in continuo e stretto rapporto. Di conseguenza il pantheon hatreno è poliglotta per le sue affinità con altre religioni. Al nucleo etnico locale appartiene la divinità principale, il dio solare Shamash, che è forse identificabile con Maran ("nostro Signore"), il membro principale di una triade che include Martan ("la nostra Signora") e il loro figlio Barmarayan. Un'altra triade del deserto di antica tradizione fu quella della preislamica Ka‛aba: Allat (identificata con Atena e raffigurata come tale), al-Uzza e Manat. Altre divinità adorate erano Nergal, dio mesopotamico raffigurato come Hades, con Cerbero; la dea assira Nanal, o Ninanna; la divinità locale Samya, l'aquila, che appare anche come simbolo della regalità; il dio siro Ba‛alshamīn e la sua consorte Atargatis; un dio identificato con Hermes e infine (molto in voga e sempre rappresentato al modo classico) Eracle.
Una delle più belle sculture rinvenute, la statua di culto di Assur-Bēl, a grandezza maggiore del vero dal Tempio V, è tipica per il facile sincretismo del simbolismo religioso hatreno. Il dio, rivestito di una completa armatura romana, è rappresentato con l'abbondante barba del suo prototipo assiro; ai suoi piedi si inginocchia la Tyche della città, personificata secondo il modo classico; la tradizione locale invece è rappresentata dalle aquile protettrici di Samya, e dal busto radiato del dio sole Shamash che figura sul pettorale della corazza, mentre nel centro del dorso è raffigurata una classica testa di Medusa.
Un altro importante gruppo di sculture rinvenute in quello stesso tempio comprende statue di donatori, di membri della casa reale e di altri personaggi importanti, in molti casi a grandezza naturale e anche maggiore del vero.
Alcuni erano scolpiti nella stessa arenaria scura impiegata nel Grande Tempio; altri, del II e del III sec., in una pietra scadente simile all'alabastro scavata presso Mossul ("marmo di Mossul"). La scoperta nel Tempio XI di due statue appena sbozzate dimostra che l'opera dello scultore si svolgeva in gran parte, se non interamente, sul posto. Queste statue rispecchiano fedelmente l'organizzazione sociale della città. Tra di esse sono prominenti molte che ritraggono capi militari, in costume parthico, con lunghi pantaloni, tuniche dalle ampie maniche e mantello, con una grandissima spada pendente da un balteo elaborato.
L'esecuzione è stereotipata, ma, come dimostra la testa di una di queste statue rinvenuta in prossimità del Tempio IV, i migliori esempî di tale scultura rivelano tanta sensibilità quanta raffinatezza tecnica.
Come è naturale aspettarsi, i sacerdoti compongono un'altra categoria ampiamente rappresentata. Sono raffigurati con in testa il copricapo conico e con indosso un abito lungo e liscio a noi familiare dalle pitture di Dura; la mano destra tocca un incensiere retto con la sinistra. Un terzo gruppo iconografico, che il soggetto rende più variato del precedente, è costituito dai ritratti di membri della casa reale e della nobiltà indigena.
Una figura marmorea di un re Uthal, leggermente maggiore del vero, proveniente dal tempio di Ba‛alshamīn (IV), indossa un alto copricapo ricamato e una lunga veste senza maniche ricamata e porta la spada inserita in una guaina ornata di un intaglio elaborato. Si data forse alla metà del II secolo. Una magnifica testa di re Sanatruq, proveniente dal Tempio X, è incoronata con un diadema con ali d'aquila, forse simbolo di apoteosi. Sanatruq, probabilmente il primo re indipendente della città, fu l'autore della vittoriosa difesa contro Traiano, e la sua testa studiatamente manierata, magra e quasi ascetica, ornata di pesanti ciocche di riccioli accurati e di una barba rigonfia illustra il momento più sofisticato della scultura hatrena. Un'altra bella opera datata (138 d. C.) è la statua della figlia di Sanatruq, la principessa Shapry, posta accanto all' ingresso del tempio di Assur-Beēl (V). Il suo costume e i suoi gioielli, per i quali vi sono corrispondenze precise nella scultura di Palmira, sono del tutto orientali; e benché questa raffigurazione scultorea possa basarsi, in ultima analisi, su modelli classici, ha di fatto subìto una profonda trasformazione, particolarmente evidente nel formalismo elaborato del disegno delle pieghe.
È molto improbabile che H. sia stato un centro creativo artistico autonomo. Gli scultori lavoravano sulla base di termini convenzionali di importazione e una gran parte del loro lavoro è produzione artigiana in serie. Ciononostante le opere migliori sono di una qualità mai raggiunta dagli scultori di Palmira e di Dura e sembra assai probabile che, malgrado i contatti manifesti con il mondo classico, la loro effettiva fonte di ispirazione sia piuttosto a Oriente, presumibilmente nella Parthia metropolitana.
Oltre a queste grandi statue, i templi ci hanno dato una grande quantità di sculture votive. Pochi frammenti di bronzo, tra cui una bella testa di Medusa e una statuetta di Hermes, sono le sole testimonianze della bronzistica. Per il resto si tratta in prevalenza di opere in marmo di Mossul, tra le quali sono alcune piccole statue di singole divinità (le figure di Ercole risultano particolarmente favorite); ritratti di due, tre anche quattro divinità associate, ricettacoli per offerte, e una gran varietà di piccoli santuarî votivi, tra i quali prevale la forma delle edicole a tetràpylon. Le immagini delle divinità minori che accompagnano questi santuarî ritraggono figure alate, maschili o femminili spesso con un copricapo simile a un kàlathos e dotate di attributi diversi; lance, corone vegetali, rami di palma, torce e cornucopie. I rilievi, di cui offre un esempio caratteristico un gruppo di quattro figure dal Tempio IX, sono quasi senza eccezioni lavori semplici e vivaci, molto rozzi in confronto alle opere più sofisticate offerte dall'aristocrazia; ma proprio per queste loro caratteristiche possono forse offrire una visione più rispondente al vero dei reali gusti e talenti degli Hatreni. Da un esemplare all'altro si ripetono la posa rigida e frontale, e il disegno stilizzato delle pieghe che chiaramente riflettono gli schemi della statuaria monumentale; gli occhi sono normalmente inseriti e vi è un uso regolare, benché limitato, della policromia.
Finché non sarà accessibile molto più materiale messo in luce dai recenti scavi, è difficile poter trarre altre deduzioni sul carattere della scultura hatrena. Sembra comunque chiaro che, malgrado la funzione principale di H. sia stata quella di una fortezza contro l'espansione romana, tuttavia la città sotto molti aspetti è non meno significativa come punto di incontro tra Oriente e Occidente e come viva manifestazione della cultura composita che fiorì dalle due parti della frontiera comune, prescindendo dai limiti politici e militari.
Bibl.: W. Andrae, Hatra (Wissenschaftliche Veröffentlichung der Deutschen Orient-Gesellschaft), I, Berlino 1908; II, 1912; Naij el Asil, in Illustrated London News, 10 nov. e 17 nov. 1951, pp. 762-5, 806-7; 18 dic. e 25 dic. 1954, pp. 1115-7, 1160-1; F. Safar, in Sumer, VII, 1951, pp. 170-84; VIII, 1952, pp. 3-16, 183-95; IX, 1953, pp. 7-20, 240-49; X, 1954, p. 84 ss.; H. Ingholt, Parthian Sculptures from Hatra (Memoirs of the Connecticut Academy of Arts and Sciences), XII, 1954; D. Oates, in Sumer, 1956, p. 39 ss.; J. S. P. Bradford, Ancient Landscapes, Londra 1957, pp. 71-5.