HARTMANN von Aue
È il primo, cronologicamente, dei tre grandi poeti cavallereschi del Medioevo tedesco. Pochissime notizie ci sono pervenute intorno alle vicende della sua vita, che pare trascorresse, non ricca di avvenimenti, fra occupazioni cavalleresche e letterarie; solo sappiamo che nacque intorno al 1170, che fu vassallo di un signore di Aue in Svevia, che, forse per il dolore in seguito alla morte di lui, prese parte a una crociata (probabilmente a quella del 1195 condotta da Arrigo VI, o a quella infruttuosa del 1197, se non già alla spedizione del Barbarossa del 1189), e che, infine, secondo l'accenno contenuto nella Krone di Enrico di Türlin, morì innanzi il 1220.
Come il suo maestro Enrico di Veldeke, come i suoi confratelli contemporanei, anche H. è, in fondo, un traduttore e un imitatore di materie straniere; ma egli fu il primo che seppe farlo con grazia e sentimento, in una lingua tersa e con stile elegante e facile. Delle sue opere, di cui è incerto l'ordine cronologico, si possono fare, quanto al contenuto, tre gruppi: le liriche, i due poemi del ciclo di Artù, Erec e Iwein, e i due poemi che trattano l'uno la leggenda di Gregorio Stilita e l'altro la storia del Povero Enrico. Le prime elaborano, senza particolare originalità, i soliti motivi della lirica cortigiana e contengono elementi profani e religiosi, con spunti ascetici: ad esse si aggiunge un Büchlein, ossia lettera d'amore, lunga lirica moralizzante, contenente un dialogo fra l'anima e il corpo, i quali si rimproverano l'un l'altro la colpa della pena d'amore che li tormenta. I due poemi Erec e Iwein, che composti sul modello di Chrétien de Troyes, resero popolari in Germania le leggende celtiche di re Artù e le avventure della Tavola rotonda, trattano il tema del conflitto fra l'amore e l'eroismo. Il primo è la storia di un cavaliere che avendo dimenticato, per amore della bella moglie Enite, i doveri della cavalleria, è da lei rimproverato; per punirla, e anche perché dubbioso della sua fedeltà, l'obbliga a seguirlo in silenzio come scudiero. Dopo varie e pericolose avventure, in cui risplende la paziente fedeltà di Enite più ancora che il valore di Erec, questi riconosce di essersi ingannato e chiede perdono alla moglie. In Iwein, invece, l'eroe, dopo aver compiuto imprese meravigliose, diventa lo sposo della bella Laudina, di cui aveva ucciso il marito, e possessore di un ricco dominio; ma avendo avuto la visita di re Artù e dei suoi compagni, parte con loro, dimenticando in seguito la promessa fatta alla moglie di ritornare al termine di un anno e perdendo così il favore della dama, al cui perdono non è riammesso se non dopo molte straordinarie avventure. In questi poemi si cercherebbe invano la vivacità immaginosa del modello francese; ma vi si trova, in compenso, una cura più riflessiva, come lo sforzo di ridurre il meraviglioso nei limiti del naturale; e una più seria coloritura, una maggiore importanza data ai valori del sentimento. In Gregorio Stilita e il Povero Enrico, che rappresentano nella poesia narrativa di H. il trapasso dal profano al religioso, egli mira piuttosto a istruire e a edificare che a divertire: il primo, composto anch'esso su un originale francese, tratta una leggenda nella quale il concetto antico della potenza ineluttabile del fato che infierisce, come in quella di Edipo, sopra chi ha commesso inconsapevolmente una colpa terribile, è cristianamente purificato nell'idea della forza vittoriosa dell'espiazione e della grazia: essa è la leggenda di papa Gregorio, figlio incestuoso di una principesca coppia fraterna, che avendo sposato, senza conoscerla, la propria madre, atterrito dalla scoperta della sua colpa, si ritira sopra una rupe solitaria e quivi consacra per diciassette anni la sua vita alle privazioni e al pentimento, dopo di che, per designazione della stessa voce di Dio, è eletto papa. Il secondo, la più popolare tra le opere di H., elabora con grande purezza di forma e calore di vita una leggenda domestica del suo stesso signore di Aue. Il protagoniita, Enrico, è un secondo Giobbe: in mezzo alla ricchezza e alla fortuna è colpito dalla lebbra e fuggito da tutti. Misero e umiliato, erra invano per il mondo in cerca di un rimedio che possa guarirlo, ma apprende che il solo farmaco efficace è il sangue di una vergine che si offra spontaneamente. La figlia di un povero contadino è disposta a sacrificarsi, ma Enrico, assalito da pietà, rifiuta la salvezza: in premio della sua sottomissione e della sua misericordia, è guarito miracolosamente da Dio, e sposa la fanciulla. H. occupa degnamente il suo posto fra i tre grandi rappresentanti dell'epopea cortigiana tedesca: se egli non seppe agitare nell'opera sua i grandi problemi spirituali come fece Wolfram von Eschenbach, né raggiungere nell'analisi dei processi psicologici e nella tecnica del verso la finezza di Gottfried von Strassburg, egli eccelse però per la forma fluida della rappresentazione, per la grazia insinuante della sua lingua, di cui lo stesso Gottfried esaltò la cristallina purezza. Per questa resistente virtù della sua poesia, egli ebbe un'influenza straordinaria e durevole sull'intero territorio in cui si diffuse l'epica cortigiana, e fu specialmente il modello per i cosiddetti romanzi arturiani.
Ediz.: I Lieder, in Des Minnesangs Frühling, a cura di K. Lachmann e M. Haupt, 4a ed., XXI, Lipsia 1888; Erec, ed. M. Haupt, 2a ed., Lipsia 1871; Iwein, ed. G. F. Benecke e K. Lachmann, 4a ed., Berlino 1877; E. Heinrici, Halle 1891; Gregorio, ed. H. Paul, 2a ed., Halle 1900; Povero Enrico, ed. M. Haupt, 2a ed., Lipsia 1881; H. Haupt, 2a ed., Halle 1893; le opere complete, ed. F. Fech, Sämtliche Werke, 2a ed., Lipsia 1893, voll. 3.
Traduz. neotedesche: dell'Erec: S. O. Fistes, 2a ed., Halle 1855; dell'Iwein: W. v. Baudissin, Berlino 1845; del Povero Etrico: K. J. Simrock, 2a ed., Heilbronn 1875; G. Bötticher, Halle 1891.
Bibl.: L. Schmid, H. v. A. Stand, Heimat und Geschlecht, Tubinga 1874; H, Kaufmann, H. Lyrik, Danzica 1885; F. Saran, H. v. A. als Lyriker, Halle 1889; H. Roetteken, Die epische Kunst Heinrichs von Veldeke und H. v. A., Halle 1887; B. I. Vos, The Diction and Rimetechnic of H. v. A., New York e Lipsia 1896; K. Zwierzina, Beobachtungen zum Reimgebrauch H. und Wolframs, Halle 1898; K. Dreyer, H. Erec u. seine altfranz. Quelle, Königsberg 1893; O. Reck, Verhältnis d. Hartmannschen Erec zur französischen Vorlage, Greifswald 1897; F. Settegast, H. Iwein, verglichen mit seiner altfranz. Quelle, Marburgo 1873; B. Gaster, Vergleich d. Hartmannschen Iwein mit d. Löwenritter Chrestiens, Greifswald 1896; A. E. Schönbach, Über H. v. A., Graz 1894; H. Piquet, Étude sur H. d'A., Parigi 1927, 2a ed.; V. Amoretti, H. v. A., in Nuova Antologia, 1930.