Vedi HARAPPA dell'anno: 1960 - 1995
HARAPPĀ (v. vol. III, p. 1106)
Complesso archeologico protostorico formato da un gruppo di monticoli a S delle sponde del fiume Ravi, nel Panjab pakistano. A H. vennero per la prima volta identificati manufatti tipici della civiltà dell'Indo, che, di conseguenza, viene anche chiamata civiltà harappana. Il nome del sito viene considerato antico, e alcuni studiosi suppongono che possa essere il nome originario della città.
Scavi recenti hanno messo in luce i ivelli più antichi dell'abitato, riferibili a orizzonti culturali antico-harappani, e databili sulla base del radiocarbonio alla fine del IV millennio a.C. A partire da questi orizzonti, le stratigrafie di H. mostrano una continua sequenza culturale che culmina nei livelli della civiltà dell'Indo, qui datati approssimativamente al 2600 a.C. Gli ultimi livelli riferibili alla civiltà dell'Indo vengono datati intorno al 1900 a.C. Strati estremamente disturbati e una piccola necropoli individuata a SE del sito dimostrano che l'area della città continuò a essere frequentata da un distinto gruppo culturale, che, in base alla sigla data alla necropoli, viene di solito denominato come «Cultura del cimitero H». Questo successivo orizzonte culturale viene datato approssimativamente alla prima metà del II millennio a. C.
Quando, tra il 1920 e il 1921, alcuni oggetti provenienti da H. cominciarono a essere riconosciuti come appartenenti a una civiltà dell'Età del Bronzo sino ad allora sconosciuta, buona parte dei monticoli era già stata utilizzata come cava per mattoni da utilizzare come sostruzioni ferroviarie tanto che la morfologia del sito ne risulta oggi irrimediabilmente alterata; in moltissimi settori di scavo, bisogna infatti rimuovere da due a tre metri di deposito sconvolto dai cavatori di mattoni prima di giungere al livello dell'architettura in posto. H. è oggi formata da una serie di rilievi separati - denominati dagli archeologi con lettere alfabetiche - nei quali è ancora riconoscibile una organizzazione spaziale simile a quella di Mohenjo-daro, con una «cittadella» quadrangolare a NO (monticolo AB) e una città bassa a SE, di forma approssimativamente trapezoidale, obliterata a N dall'esteso villaggio moderno che ne preclude l'esplorazione archeologica.
A N della cittadella sono stati scavati in passato diversi monticoli che, nelle ricostruzioni tradizionali, dovevano sorgere immediatamente di fronte al corso del fiume. Qui sono state scavate alcune tra le strutture più integre e significative di H., in primo luogo la complessa struttura denominata «Grande Granaio», situato nella parte NO del monticolo F. Si tratta di una costruzione di c.a 50 x 40 m in mattoni cotti, a tratti integrati da mattoni crudi, articolata in due blocchi opposti e simmetrici, divisi da un corridoio centrale. Ognuno dei due blocchi si compone di sei ambienti separati da cinque corridoi che si aprono solo all'esterno; ogni ambiente, a sua volta, è suddiviso da una serie di tratti murari paralleli in quattro celle allungate. Questo grande edificio a compartimenti, come il c.d. Granaio di Mohenjo-daro, era probabilmente provvisto di un alzato ligneo, ed è stato interpretato come un magazzino centralizzato per i cereali, sotto controllo statale. Questa ipotesi, tuttavia, si basava su generici confronti con granai romani in Inghilterra e con i magazzini cretesi, e viene oggi considerata dubbia.
A S di questa struttura sorgevano altre costruzioni i cui resti sono ugualmente problematici: un blocco formato da due file di sette abitazioni modulari, separate da viottoli di accesso, tradizionalmente interpretate come un «Quartiere operaio», e un complesso costituito da file di piattaforme circolari formate da anelli concentrici di toni messi di taglio, usualmente denominate piattaforme di lavorazione. Il blocco del «Quartiere operaio» (malgrado il rinvenimento in una delle stanze di un ricco deposio di gioielleria) è stato messo in relazione sia alle piattaforme circolari, sia alla presenza nelle immediate vicinanze di un complesso pluristratifìcato di fornaci. I rapporti stratigrafici tra queste varie unità non sono tuttavia molto chiari. Quanto alle piattaforme di lavorazione, sono state considerate come basi destinate ad accogliere mortai in legno per la lavorazione dei cereali; questa ipotesi dovrebbe tuttavia essere confermata da ricerche specifiche condotte con mezzi appropriati.
La cittadella (monticolo AB) era stata sconvolta in profondità dagli scavatori di mattoni. Scavi condotti lungo il perimetro hanno rivelato l'esistenza di un sistema di bastioni quadrangolari in mattoni crudi e di un accesso principale sul lato settentrionale. Come a Mohenjo-daro, la cittadella, sviluppandosi su un imponente sistema di piattaforme rialzate in mattoni crudi che la proteggevano dalle piene, dominava la pianura circostante. Resti architettonici in pessimo stato di conservazione sembrano indicare sulla cittadella l'esistenza di strutture in mattoni cotti provviste dei consueti impianti di drenaggio.
Come a Mohenjo-daro, il lato S della città bassa sembra composto da una grossa insula di forma approssimativamente triangolare, con il vertice principale rivolto a E (monticolo E). Questa parte del sito è stata recentemente oggetto di scavi estensivi, che hanno rivelato l'esistenza di un retieolo viario ortogonale e di case in mattoni cotti e crudi che si affacciavano sulle vie. In una di queste case, una concentrazione di sigilli e iscrizioni su varî materiali ha suggerito l'ipotesi che la zona fosse abitata da mercanti. Sempre in questa parte del sito gli scavi hanno portato alla scoperta di un'area di lavorazione ceramica con diverse fornaci, strumenti di lavorazione, masse di argilla lavorata e scarichi carboniosi, mantenuta nello stesso luogo per diversi secoli, a partire dal periodo antico-harappano. Nell'area di lavorazione della ceramica mancano totalmente sigilli e iscrizioni, una circostanza che contrasta con l'abbondanza di questi reperti riscontrata nella casa precedentemente citata. Come a Mohenjo-daro, i lati della collina artificiale formata dall'insediamento risultano regolarizzati e protetti da massicce piattaforme e murature di sostruzione in mattoni crudi. Il lato meridionale del montieolo E era protetto da spesse piattaforme in crudo, ad andamento approssimativamente curvilineo, con una porta centrale d'accesso.
A S della cittadella sono state localizzate due diverse necropoli, l'una contemporanea alle fasi di occupazione della civiltà dell'Indo (cimitero R37), l'altra, come si è detto, più tarda (cimitero H). Il cimitero R37 è la più grande necropoli sinora nota della civiltà dell'Indo. Gli scavi hanno messo in luce numerose sepolture, molto addensate in un'area relativamente ristretta, in alcuni casi irregolarmente disposte le une sopra le altre, come se si fosse cercato di sfruttare al massimo lo spazio di un'area particolare (forse protetta ed evidenziata anche in superficie da strutture in mattoni crudi). I rituali funerari prevedevano lo scavo di fosse rettangolari, a volte rivestite di cortine di mattoni crudi, entro cui veniva deposto il corredo (ceramica, specchi in bronzo, collane o cavigliere di perle discoidali in steatite, microperline in pasta di steatite, elementi dl collana in pietra semipreziosa). La parte inferiore della fossa veniva colmata di terra, e la cassa contenente il corpo veniva posta su questo riempimento. Si noti che questa piccola necropoli non può rappresentare il cimitero dell'intera città, ma solo di un piccolo gruppo di persone.
Dal punto di vista della cultura materiale del periodo della civiltà dell'Indo, H. non si discosta dai consueti modelli, come testimoniato dai sigilli a stampo in steatite, dalla coroplastica, dagli oggetti e dalle ceramiche di uso quotidiano. Particolarmente comuni a H. sembrano essere delle piccole tavolette o essere in faïence recanti impressioni di caratteri grafici o numerali che fanno pensare a pratiche amministrative. Eccezionali sono due frammenti di statuette in pietra che, pur rappresentando oggetti unici, dimostrano le capacità degli scultori di Harappa. Un frammento in pietra grigia raffigura il torso di una figura danzante, composta da più parti che dovevano essere unite mediante supporti inseriti in fori realizzati a trapano; la figura, che sembra accennare un passo di danza, è stata paragonata a iconografie hindu di età molto posteriore. Analogamente, un secondo torso in pietra rossa, sempre appartenente, in apparenza, a una statua composita, senta una tale attenzione per l'anatomia e lo studio dei volumi da essere spesso paragonata a opere del periodo gandharico. Le due statuette sono molto diverse dalla figura del «re-sacerdote» di Mohenjo-daro, molto più stilizzata e convenzionale.
Come Mohenjo-daro, H. sembra essere stata abbandonata nei primi secoli del II millennio a.C., in seguito alla grande crisi che portò alla dissoluzione della civiltà dell'Indo. Nel corso del II millennio a.C., alcune comunità, riferibili a una cultura diversa, continuarono ad abitare il sito, come attestato da dispersioni di frammenti ceramici sulla superficie della cittadella, analoghi a quelli dei vasi del citato cimitero H. Questa necropoli ha restituito più di 130 sepolture, rappresentate da urne funerarie con coperchi in terracotta! I recipienti usati come ossuari contengono resti umani scarnificati, in contesto di sepoltura secondaria; di forma globulare o carenata, i vasi sono dipinti in nero su fondo rosso vivo. Le figurazioni sui recipienti sembrano riprodurre scene mitologiche o religiose, forse allusive al passaggio del defunto nell'oltretomba; un ruolo centrale sembra avere la figura del pavone, a volte raffigurato con appendici simili a corna. Gli spazi vuoti vengono riempiti da motivi astrali, pesci, foglie, uccelli e semplici motivi geometrici. Questo insieme di raffigurazioni presenta un nuovo complesso di idee, nel quale alcuni autori hanno creduto di poter riconoscere temi e rituali proprî dell'India vedica (v. INDO, civiltà dello).
Bibl.: R. E. M. Wheeler, Harappa 1946: The Defences and Cemetery R-37, in Ancient India, III, 1947, pp. 58-130; M. R. Mughal, Harappa 1966 (Cemetery R37), in PkA, V, 1968, pp. 63-69; R. H. Meadow (ed.), Harappa Excavations 1986-1990 (Monographs in World Archaeology, 3), Madison 1991; G. F. Dales, J. M. Kenoyer, The Harappa Project 1986-1989: New Investigation at an Ancient Indus City, in G. L. Possehl (ed.), Harappan Civilization: A Contemporary Perspective (2a ed.), Nuova Delhi, in corso di stampa.
(M. Vìdale)