Andersen, Hans Christian
Un nuovo modo di scrivere novelle
Il danese Hans Christian Andersen fu uno dei grandi autori di fiabe dell'Ottocento, un periodo di intensa ripresa, in tutta Europa, di pubblicazioni, di raccolte e di rielaborazioni di fiabe tradizionali, anche da parte di narratori colti. Andersen riutilizzò in modo originale il grande patrimonio delle fiabe nordiche, infondendo in esso un caratteristico spirito ottimista
Hans Christian Andersen nasce nel 1805 in una cittadina del regno di Danimarca, Odense. Lui stesso ha descritto la propria infanzia povera e fantasiosa in un'autobiografia dal titolo La fiaba della mia vita. Conobbe l'agiatezza e la fama; fu ricevuto nelle corti di tutta Europa; vide persino erigere un monumento in cui lo si rappresentava nell'atto di raccontare fiabe ai bambini. La sua città natale, nel dicembre del 1867, gli tributò grandi onori e si illuminò a festa per accogliere una sua visita.
Nelle sue opere si riflettono le esperienze e le difficoltà della sua vita: il suo aspetto fisico sgraziato che gli aveva reso difficile il rapporto con i suoi coetanei (per esempio, nella novella Il brutto anatroccolo); la sua estrema povertà (La piccola fiammiferaia), ma anche la fortuna di aver avuto un padre lettore vorace e fantasioso (I fiori della piccola Ida).
Nei suoi racconti trovano posto anche la figure della madre e della nonna paterna, che spesso svolge il ruolo di narratrice di storie o quello di saggia (così è per esempio in La regina delle nevi o in La sirenetta).
Ad Andersen è dedicato il più importante premio internazionale di letteratura per l'infanzia, quasi il nobel di questa letteratura. Inoltre quando si parla di fiabe per bambini, viene quasi immediatamente in mente lo scrittore danese. Perché?
Perché Andersen fu un grande poeta e romanziere per ogni età, ma fu anche il primo grande scrittore che si rivolse direttamente ai bambini. Già altri scrittori lo avevano fatto, ma con favolette moraleggianti. Andersen ebbe invece fiducia nei piccoli e si rivolse a loro con fiabe morbide e sognanti e allo stesso profonde, sempre legate a frammenti di vita umana a volte dolorosi. Il dolore però è vissuto e riscattato sempre da un insopprimibile ottimismo. Il brutto anatroccolo diviene un cigno dopo tante sofferenze, il soldatino di piombo si scioglie insieme alla ballerina amata e si trasforma in un grumo metallico a forma di cuore, la Sirenetta rinuncia al suo principe azzurro e resta sirenetta ma conserverà per sempre nel cuore la dolcezza del sogno svanito… Questi personaggi, capaci di sacrificarsi ma anche di conservare i loro grandi sentimenti e di riscattarsi, divengono quasi simboli e miti, validi non solo per i bambini danesi, ma per quelli di tutto il mondo. Come i grandi personaggi di William Shakespeare. Per questo Andersen è stato chiamato "lo Shakespeare dei bambini".
In una delle sue storie intitolata Il folletto del salumiere, Andersen racconta in che cosa consista secondo lui la poesia e lo straordinario potere che essa ha. Un folletto, fedele al bottegaio che lo ospita e lo sfama, assiste scandalizzato alla scena di uno studente povero che compra, invece del formaggio, le pagine di un libro usate per avvolgervi la merce. Più tardi, spiando dal buco della serratura della stanza in cui vive lo studente, il folletto vede che quello stesso libro, letto ad alta voce, sprigiona delle visioni che illuminano e confortano con la loro bellezza e soavità. Ogni sera ritorna a contemplarle di nascosto e quando scoppia un incendio nella casa vicina corre a mettere in salvo il libro, a suo parere ormai la cosa più preziosa dell'intera casa: "Ora conosceva il proprio cuore e a chi apparteneva. Ma quando l'incendio si spense, pensò: "Sì, mi dividerò fra loro: non posso lasciare del tutto il salumiere, per via del riso e del latte"".
In Lo scellino d'argento invece è ben rappresentato l'indomabile ottimismo che lo animò per tutta la vita. Andersen vi racconta di una moneta che, fuori dal suo paese, è disprezzata e considerata addirittura falsa, ma che finisce, riconosciuta e riportata in patria, col commentare felice "Tutti i miei guai erano finiti… Bisogna saper sopportare e col tempo la giustizia si fa!".
Andersen ha scritto anche volumi di versi, lavori teatrali, poemi tragici. Nel 1835 pubblicò un romanzo ambientato in Italia, L'improvvisatore, che gli conquistò il favore del pubblico e della critica. Nel 1830 scrisse la sua prima novella, Il Morto. Nel Natale 1835 uscirono in un libretto strenna quattro novelle a cui non diede grande importanza (L'acciarino; Il piccolo Claus e il grande Claus; La principessa sul pisello; I fiori della piccola Ida) che furono l'inizio di una intensa produzione: nei successivi quarant'anni, infatti, scrisse ben oltre 150 novelle e furono queste a renderlo famoso fino alla sua morte nel 1875. Nello scriverle utilizzò ora motivi della tradizione popolare scandinava, ora rivisitazioni di altre fiabe, come per esempio quelle delle Mille e una notte e vi fa parlare animali, piante, oggetti comuni e addirittura il vento con un linguaggio diretto e quotidiano. Hans, nelle storie, ci mette tutto quello che sa della vita: la consolazione che danno le piccole cose, la straordinarietà della poesia, la felicità che si può provare anche quando si è privi del minimo indispensabile alla sopravvivenza. Narra, con gentilezza, cose difficili da raccontare a un bambino: la morte, l'amore non corrisposto, la vanità, mescolando, tra le altre, storie che raccontano le sue difficoltà a trovare la propria realizzazione nella vita e nell'amore.
Per un anno e un giorno errai così di mano in mano, di casa in casa, sempre maltrattato, sempre male accolto: nessuno si fidava di me: e io perdetti la fiducia nel mondo e in me stesso... Un giorno arrivò un viaggiatore, e naturalmente fui dato a lui ed egli fu così poco furbo da accettarmi come moneta corrente. Ma quando mi volle dare in pagamento, di nuovo udii le solite parole: - Non val nulla, è falso! - Me l'han dato per buono - disse l'uomo e mi guardò attentamente. Allora un sorriso gli illuminò tutto il volto... - Oh, ma come mai è capitato qui? - disse egli - Questo è uno degli scellini del nostro Paese, un buon scellino della nostra Patria, e gli hanno fatto un foro, e lo chiamano falso! Che caso buffo! Bisogna che io lo conservi e che lo porti a casa con me.
(da Hans Christian Andersen, Lo scellino d'argento).
C'era una volta un cavaliere molto aristocratico, i cui solo possessi erano un cavastivali e una spazzola; ma egli aveva un colletto della camicia, che era il più bello del mondo e noi racconteremo la storia del colletto. Il colletto era ormai in età da matrimonio e gli capitò di essere mandato in bucato con una giarrettiera.
Parola d'onore! - esclamò il colletto - Non ho mai veduto nulla di così snello e di così delicato, di così grazioso e di così carino. Posso chiedere il suo nome?
Non glielo dirò - disse la giarrettiera.
Dove sta di casa? - domandò il colletto. Ma la giarrettiera era di indole riservata e quella le sembrò una domanda indiscreta.
Suppongo che lei sia una cintura? - disse il colletto - Una cintura per uso interno? [...]
(da Hans Christian Andersen, Il colletto inamidato)