Vinay, Gustavo
Studioso di letteratura latina medievale, nato a Chiabrano di Perrero (Torino) nel 1912, professore universitario dal 1955, dal 1958 ordinario di lingua e letteratura latina medievale presso l'università di Roma. Ha pubblicato nell'arco di circa quarant'anni numerosi saggi mettendo in evidenza con acume la problematica della storia culturale del Medioevo e discutendo con rigore le tendenze storiografiche contemporanee. Ha curato inoltre l'edizione di alcuni testi latini medievali.
Come studioso di D. si è interessato particolarmente delle opere minori. A lui si deve un'edizione della Monarchia (Firenze 1950) in cui inquadra il pensiero di D. nella pubblicistica del suo tempo, mettendo in risalto la coscienza morale del poeta fiorentino che, secondo il V., s'individua in una " filosofia ottimistica e virile ", frutto di una " esasperazione delle premesse aristotelico-tomistiche che sono la base comune della cultura e della filosofia di Dante ". Ma questa interpretazione fu ritenuta, nel 1962, dallo stesso V. " nel suo complesso, né accettabile, né sufficiente " (Interpretazione della Monarchia, p. 14). Nacquero così Il punto sulla Monarchia di D. (in " Cultura e Scuola " I [1962] 5-9) e la " Lectura Dantis Scaligera " Interpretazione della Monarchia di D. (Firenze 1962) che testimonia la nuova interpretazione. In essa, acutamente, sotto l'influsso delle tesi contrastanti proposte dal Nardi (Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960) e dal Maccarrone (Il terzo libro della Monarchia, in " Studi d. " XXXIII [1955] 5-142), cioè dell'averroismo e del tomismo dantesco, afferma, con esplicita determinazione, che " Dante non è mai stato averroista come non è mai stato tomista " (p. 75).
La Monarchia, secondo il V., rappresenterebbe il dramma umano di D. alla ricerca di argomentazioni valide per definire la perfezione della vita e la giustizia assoluta, donde il carattere di pura spiritualità che viene ad assumere l'opera. Su tale presupposto il V. risolve il problema dei rapporti tra Papato e Impero: " Il papa di Dante di fronte all'imperatore non è Clemente di fronte ad Arrigo: è Cristo è Paolo è Pietro di fronte ad Augusto: è la Santità di fronte alla ragione " (p. 74).
In più riprese il V. si è occupato anche del De vulg. Eloq. e dei problemi a esso connessi risolvendoli con il consueto rigore filologico: da Ricerche sul De Vulg. Eloq. (in " Giorn. stor. " LXXV [1959] 236-274, 367-388) a La teoria linguistica del De Vulg. Eloq. (in " Cultura e Scuola " Il [1962] 30-42) a " Gratiosum lumen rationis " (in " Giorn. stor. " LXXIII [1956] 149-155).
Altri scritti danteschi: Crisi tra Monarchia e Commedia?, in " Giorn. stor. " LXXIII (1956) 149-155; A proposito della lettera di D. ai Cardinali, ibid. LXXV (1958) 71-80; D. e Ulisse, in " Nova Historia " XII (1960) 32-49.
Bibl. - L. Caretti, in " Nuovo Corriere " (Firenze) 12 nov. 1950; G. Grazzini, in " Nuova Antol. " VII (1951) 540-543; G. Solari, in " Giorn. stor. " LXVIII (1951) 330-339; R. Bertacchini, in " Convivium " n. 3 (1952) 450-455; F. Salsano, in " L'Alighieri " IV (1963) 85-86.