MODENA, Gustavo
Figlio di Giacomo (v.) e dell'attrice Maria Luisa Lancetti, nato il 13 febbraio 1803 a Venezia, morto a Torino il 21 febbraio 1861. A Venezia compì i primi studî; passò poi al liceo di Verona; a Padova, nella cui università si era recato a studiare legge, fu ferito in un tumulto fra studenti e poliziotti austriaci (1820); trasferitosi a Bologna, vi si laureò e cominciò a prender parte a recite di filodrammatici. Assunto come primo attore giovane dal capocomico Salvatore Fabbrichesi nel 1824, esordì come David nel Saul di Alfieri; e in pochi anni diede prova della sua versatilità trascorrendo dai ruoli eroici (Carlo nel Filippo di Alfieri, Oreste nella tragedia omonima dello stesso, Achille nell'Ifigenia di Euripide, Orosmane nella Zaira di Voltaire, ecc.) a quelli romantici (Paolo nella Francesca del Pellico, Leicester nella Maria Stuart dello Schiller, Guglielmo nei Due Sergenti del Toti, ecc.) e a personaggi di commedia (Fulgenzio negl'Innamorati di Goldoni, Bonfil nella Pamela dello stesso, ecc.). Nel 1829 venne accolto come primo attore nella compagnia di Antonio Rastopulo; nel 1830 fece compagnia con suo padre e con Carlotta Polvaro, sempre seguito da un crescente successo di pubblico. Ma nel 1831, già cospiratore per la libertà nazionale e iscritto alla Giovine Italia, lasciò l'arte per partecipare alla rivoluzione di Bologna, e combattere a Rimini contro gli Austriaci. Rifugiatosi, dopo la sconfitta, in Francia, tornò a Bologna nel 1832; ma i sanguinosi avvenimenti di Cesena, a cui pure partecipò, lo costrinsero nuovamente all'esilio. Respinto dalla Francia, si recò in Svizzera, dove sposò Giulia Calame, figlia di un notaio di Berna. Riparò quindi a Bruxelles, dove per vivere fece il correttore di stampe. Infine fu a Londra dove, profittando dei nuovi entusiasmi inglesi per Dante, si diede a declamare alcuni canti della Commedia (Francesca, Ugolino, e altri varî), ch'egli recitava vestito e truccato da Dante, in atto d'improvvisare e dettare i proprî versi a un giovane amanuense rappresentato da sua moglie in abito maschile. In tali spoglie il M. riapparve a Milano nel 1839, nel teatro Carcano, in seguito all'amnistia concessa dall'imperatore Ferdinando I; e presto riprese la sua attività di attore, dapprima partecipando a questa o quella compagnia in giro per il Lombardo-Veneto, poi costituendo una compagnia propria di cui fu, con memorabili trionfi e modesti guadagni, direttore e maestro. Nel marzo 1846, ceduta la compagnia a Giacinto Battaglia, riprese a recitare sporadicamente, unendosi ad altre formazioni artistiche: da ricordare particolarmente la compagnia del De Rossi, con cui fu in Roma, in Venezia, e in altre città, fra le quali Vicenza, dove rappresentò, riducendolo, l'Edipo Re di Sofocle, sulla scena stabile del teatro Olimpico che il Palladio tre secoli innanzi aveva costruito appunto per quella tragedia. Nel 1848, scoppiate la rivoluzione e la guerra, il M. fu daccapo fra i combattenti, prima a Milano, poi nel Veneto dove sua moglie a Palmanova diresse un ospedale per i feriti; si è scritto da molti che egli, intimo del Mazzini, abbia anche partecipato, nel 1849, alla difesa di Roma con Garibaldi, ma ciò è negato dal suo amico e biografo L. Bonazzi.
Dopo la definitiva vittoria austriaca, al M., bandito da tutti gli altri stati d'Italia, non restò che rifugiarsi negli stati sardi; egli diede la sua ultima rappresentazione il 22 dicembre 1858 nel teatro Apollo di Genova, con Luigi XI di Delavigne. Nel 1860, riunitasi Napoli all'Italia, egli decise di recarvisi per presentarsi a quel pubblico; ma, colto da malattia, ritornò a Torino dove morì, e dove nel 1900 gli fu eretto un busto, opera del Bistolfi, con epigrafe di A. Graf.
Come patriota il M. appartenne, senza mai deflettere, a quella corrente che, fattasi col tempo sempre più esigua, rimase tuttavia ostinatamente fedele agl'ideali intransigenti, repubblicani e anticlericali, avversa a qualsiasi conciliazione con la monarchia, ostile alla politica cavourriana e agli adattamenti dello stesso Garibaldi. Una tal fede egli trasfuse nella sua attività d'artista, che concepì anche come un mezzo di propaganda nazionale; sebbene al suo tempo fosse tuttavia accusato di non amare abbastanza nel suo repertorio gli autori italiani. Salutato come il maggiore attore del secolo, il M., non bello, ma di figura alta e ben complessa, e che sapeva col trucco trarre partito anche da un'imperfezione del naso lasciatagli da un'operazione chirurgica, aveva un solo difetto fisico, quello della voce, che appunto in seguito a tale operazione era rimasta stridente e ingrata; tuttavia egli possedeva l'arte di modularla, traendone all'occasione le note più suggestive. Si disse di lui - come d'altri attori nostri e stranieri del secolo, i quali dal periodo romantico a quello naturalistico e veristico si proposero quasi sempre il fine di sostituire alla cosiddetta convenzione teatrale la cosiddetta "verità" - ch'egli fu il primo a non recitare più, bensì a "parlare"; i suoi biografi e ammiratori vantarono la sua "riforma", di attore e di maestro, soprattutto per avere ottenuto i più grandi effetti valendosi dei mezzi allora ritenuti più semplici, piani, spontanei, e furono generalmente lodati i principî della sua scuola, per i quali non s'intendeva imporre agli allievi la materiale imitazione del maestro, bensì soltanto suscitare in essi l'intelligente adesione all'animo del personaggio, da esprimere con sentimento personale, e liberi modi. Di fatto però la lettura delle minuziose descrizioni che il Bonazzi ha fatto di alcune interpretazioni del M. (specie Saul e Luigi XI) non sembra confermare la comune sentenza. Ma nessun dubbio può esservi circa le eccezionali, potentissime virtù di suggestione ch'egli ebbe sul pubblico, compreso quello più colto e raffinato.
Aborrente dall'istrionismo e dalla vanagloria, sebbene consapevole del proprio valore e proclive all'ironia verso i suoi avversarî politici come verso i suoi compagni d'arte, il M. sentì vivamente la grandezza degl'ideali a cui il teatro tende, e, a un tempo, la miseria delle pratiche circostanze in cui si dibatte. Sono stati tramandati, verbalmente e per scritto, suoi detti, massime, aforismi (L'istruzione al popolo italiano e L'insegnamento di G.M.); articoli suoi sono stati stampati nella Giovine Italia; il suo Epistolario è stato pubblicato nel 1888 in Roma, con prefazione di E. Socci.
Bibl.: Oltre le opere citate, v.: C. Leoni, Dell'arte o del teatro nuovo di Padova, Padova 1873; L. Bonazzi, G.M. e l'arte sua, 2ª ed., con pref. di L. Morandi, Città di Castello 1884; E. De Amicis, Speranze e glorie, Milano 1900.