MOREAU, Gustave
Pittore, nato il 6 aprile 1826 a Parigi, ivi morto il 18 aprile 1898. Dapprima allievo del Picot, si legò in seguito intimamente con lo Chassériau. Dal 1858 al 1860 completò la propria cultura con un soggiorno in Italia, dove, all'infuori che i primitivi, non sentì veramente che il Sodoma. A Roma l'artista si legò con il Puvis de Chavanne e poi con Elie Delaunay. Fino dalle prime tele il M. mise in pratica la dottrina cui non venne mai meno: "la bella inerzia", "la ricchezza necessaria", per usare le sue stesse espressioni. Questo secondo pensiero trovò sviluppo nella sua celebre frase: "l'arte della pittura dev'essere un'arte di lusso, da rendere gelose tutte le altre". Nonostante però la sua alta ispirazione, spesso si trova a servizio di queste ambizioni un'eccessiva minuzia nel rendere i particolari, acuita inoltre da un colorito il quale cade spesso nel colorismo.
La prima opera datata del M. è una Pietà (1852, cattedrale di Angoulême). Dopo il viaggio in Italia eseguì (1864) l'Edipo e la Sfinge; seguirono nel 1865 Il giovane e la morte, opera complicata, che ebbe un grande successo letterario, nel 1866 l'Orfeo, e i progetti destinati a essere eseguiti in smalto.
Dopo sette anni di lavoro segreto, il M. perfezionò la tecnica da lui sognata; come lo Stevens, usava procedimenti più conformi all'arte applicata che alla pittura, dipingendo fondi molto spessi sui quali poi tornava con successive velature, al punto da lavorare a un medesimo quadro per più anni di seguito. Il suo ritorno del 1876 al Salon fu un avvenimento; vi espose Ercole e l'Idra di Lerna, La danza di Salomè, S. Sebastiano.
All'esposizione universale del 1878 presentò La sfinge svelata, Giacobbe e l'angelo e una serie di acquerelli nei quali il suo ingegno è meno disperso in particolari e artifici. Espose al Salon per l'ultima volta nel 1884 una Galatea. Nel 1885 un viaggio in Olanda rinnovò la sua conoscenza di Rembrandt, e da tale epoca si nota nelle opere del M. la tendenza a una fattura più larga, alla quale risalgono le migliori pochades, tutte conservate nel museo Moreau. In esse, accanto a una bella serie di opere religiose, si trovano scene mitologiche trattate su larghi sfondi di paesaggio, la cui strana poesia ricorda, per una curiosa coincidenza, i paesisti visionari della scuola mosana e danubiana del sec. XVI.
Se conviene fare qualche riserva sulla tecnica e sulle aspirazioni antipittoriche del M., bisogna anche accordare all'uomo e al maestro un posto singolare nella storia della pittura del sec. XIX. Soprattutto egli seppe tenere viva una vera religione tra i suoi allievi, di cui i più celebri furono il Rouault, conservatore del museo G. Moreau, S.-A. Bussy, G.-O. Desvallières, J. Gruber, H. Matisse, Ch. Milcendeau, il Piot, ecc.
Bibl.: G. M., Parigi s.a.; P. Flat, Le Musée M., L'artiste, son øuvre, son influence, Parigi s.a.; G. Leprieur, G. M. et son øuvre, Parigi 1889; L. Thévenin, L'esthétique de G. M., Parigi 1898; G. Geffroy, L'Øuvre de G. M., Parigi 1900; R. de Montesquiou, Catalogue de l'éxposition G. M., ivi 1906; Abbé Loisel, L'inspiration chrétienne du peintre G. M., ivi 1912; J. Laran e L. Deshairs, G. M., ivi 1913; Bénédite, G. M., ivi 1922; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXV, Lipsia 1931 (con bibliografia).