guna
Termine sanscr. che significa «filo» (all’interno di un tessuto), «qualità». Negli elenchi dei prameya («oggetti conoscibili»), che aprono le trattazioni ontologiche della maggior parte delle scuole filosofiche indiane, g. figura al secondo posto, subito dopo dravya («sostanza») e prima di karman («azione»). Opinione comune è che un g. debba necessariamente inerire a una sostanza e che non sia possibile postulare un g. di un guṇa. A differenza di karman, che inerisce solo temporaneamente a una sostanza, un g. vi inerisce in modo più permanente. Non accettano tale distinzione fra prameya le scuole buddiste, che, circa g., negano la possibilità di distinguere fra un sostrato e le sue qualità (➔ Abhidharma). Il numero dei g. varia a seconda delle scuole, ma sono generalmente accettati i diciassette g. elencati nel Vaiśeṣikasūtra, corrispondenti a (1) le qualità colte dagli organi di senso, ossia colore (rūpa, definito come la qualità che può essere colta esclusivamente dall’occhio), gusto, odore e qualità tattile; (2) numero, dimensione, individualità, congiunzione e disgiunzione, prossimità e remotezza (intese sia spazialmente sia temporalmente); (3) le qualità che ineriscono solo all’anima, ossia cognizione, piacere e sofferenza (duḥkha), desiderio e avversione, sforzo volitivo (prayatna). La maggioranza delle scuole elenca però ventiquattro g., aggiungendo alla lista pesantezza, fluidità, viscosità, suono (śabda), dharma e adharma e saṃskāra. Il suono viene detto essere un g. dell’etere così come colore ecc. sono g. di terra, acqua, fuoco e aria; mentre il suono viene detto essere un g. dell’etere. Le scuole, per es. la Bhāṭṭa Mīmāṃsā, che non elencano il suono fra i g., lo definiscono invece una sostanza a sé. Oltre ai g. del terzo gruppo, anche dharma e adharma sono detti essere g. solo dell’anima (ātman o puruṣa). Il fatto che dharma e adharma ineriscano all’anima rende possibile la retribuzione karmica (➔ karma) e in generale spiega come un’azione positiva o negativa già conclusa possa portare a un premio o a una punizione in un momento futuro. I primi cinque g. del secondo gruppo sono comuni a tutte le sostanze. Ulteriori dispute fra scuole riguardano però numero (non accettato fra i g. dalla Prābhākara Mīmāṃsā), individualità (considerata solo un caso di non esistenza reciproca, anyonyābhāva; ➔ pramāṇa), prossimità e remotezza (considerate una conseguenza di spazio e tempo). I vari g. sono poi soggetti a ulteriori suddivisioni (esistono per es. sette tipi di colore, ecc.). Nel sistema Sāṅkhya i tre g. sono gli elementi costitutivi della natura naturans primordiale (prakr̥ti). Non sono fra i prodotti di prakṛti e non sono quindi delle entità a sé, bensì momenti dell’unitario processo del divenire. L’interruzione del loro equilibrio reciproco (che si colloca in un momento precedente logicamente ma non cronologicamente) è infatti causa dell’inizio dell’attività di prakṛ̥ti. Tali tre g., divenuti parte del pensiero comune indiano, sono sattva («albedo», corrispondente a chiarezza, leggerezza, felicità), rajas («rubedo», corrispondente a dinamismo, attività, dolore) e tamas («nigredo», corrispondente a pesantezza, oscurità, torpore, ignoranza). I tre g. sono simultaneamente presenti in tutti i prodotti di prakṛ̥ti, ossia in tutto il mondo fisico e psichico, ma il prevalere dell’uno o dell’altro ne determina una diversa «colorazione». Saguṇa («dotato di qualità») e nirguṇa («senza qualità») designano due opposte concezioni dell’assoluto o del divino. Nel secondo caso si tratta di un assoluto indifferenziato, di cui non è possibile predicare nulla di positivo (così per Śaṅkara) o che trascende ogni caratterizzazione storica (come per Kabīr). Il primo termine è invece riferibile a Dio così come inteso dalla maggioranza delle scuole teiste, ossia un Dio caratterizzato da determinati attributi e quindi venerabile in una determinata forma.