GRANDJACQUET, Guillaume-Antoine
Nacque a Reugney, nella Franca Contea (odierno dipartimento del Doubs), il 19 giugno 1731 da Claude-Étienne e Jeanne-Françoise Troutet (Castan, p. 69). Si dedicò ben presto alla scultura e intorno al 1765 giunse a Roma, dove rimase fino alla morte. Legato alla Confraternita dei Borgognoni presente nella città, ne divenne segretario, dal 1769 al 1793, e poi rettore. Per 270 scudi romani, cui fece aggiungere un supplemento di 20 (ibid., p. 34 e n. 1), nel 1771 modellò la statua di S. Claudio che, con quella di S. Andrea realizzata da Luc-François Breton, orna la facciata della chiesa dei Ss. Andrea e Claudio dei Borgognoni (Diario ordinario della città di Roma [Chracas], 20 apr. 1771, p. 10).
La figura di S. Claudio è rappresentata, secondo la tradizione, con l'abito episcopale e la mano destra protesa verso il fedele. Il santo è avvolto da un ampio mantello che, fermato da una spilla al petto, scende a terra con un lembo ripiegato, come per un soffio di vento sopra la gamba leggermente flessa in avanti. L'artificio permette all'artista di spezzare la linearità verticale della figura marmorea, suggerendo all'insieme un movimento di ascendenza barocca.
A metà degli anni Settanta risulta attivo nel Museo Pio-Clementino, nella produzione di pezzi imitanti l'antico - un bizzarro candelabro ricco di bassorilievi e di fogliami (1776: inv. 2758) e un piedistallo intagliato a rami e uccelli (1779: inv. 2480) - ma anche come restauratore di candelabri antichi (1776, 1780) e, nel 1778, di un cippo elegantemente arabescato (C. Pietrangeli).
Nel contempo era impegnato come restauratore di antichità per conto di Giovanni Battista Piranesi, insieme con gli scultori Francesco Antonio Franzoni e Lorenzo Cardelli (Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.-B. Piranesi, in Erouart - Mosser).
Alcuni di questi pezzi restaurati dal G. - tra cui spiccano un grande vaso, inciso dal maestro (G.B. Piranesi, Vasi, Roma 1778, figg. 34 s.), proveniente da Torpignattara, lavorato a bassorilievo con due manici riccamente decorati e posto su una base ornata di sfingi, ippogrifi e arabeschi, e un camino, dove lo scultore inserì una cariatide moderna, copiata da una antica trovata a villa Adriana e ripristinata da Lorenzo Cardelli - furono venduti al sovrano svedese Gustavo III (Caira Lumetti).
Nell'ambiente piranesiano approfondì la conoscenza dell'antico e sperimentò la lavorazione di pietre, diverse per durezza e provenienza, distinguendosi per l'abilità di operare su materiali duri come il porfido e il granito, e per le capacità creative dimostrate nella rielaborazione di reperti antichi. Furono queste qualità ad attirare anche i forestieri, viaggiatori del grand tour, che acquistarono molte antichità da lui restaurate e spesso tradotte in pastiches, come un candelabro proveniente da Pantanello (Tivoli), poi trasferito in Germania, e un tripode antico trasportato in Inghilterra (Rocchegiani).
Non mancò l'apprezzamento da parte dell'aristocrazia romana, in particolare del principe Marcantonio Borghese, che gli affidò l'esecuzione di tre idoli per la sala egiziana della sua villa, rinnovata sotto la direzione dell'architetto Antonio Asprucci.
Tra il dicembre 1779 e il settembre 1781 lo scultore ricevette 510 scudi per un'Iside, rivestita in pietra di paragone e con gli arti e il volto in alabastro del monte Circeo, e per un Osiride, eseguito sempre in pietra di paragone secondo il modello dei telamoni del Museo Pio-Clementino e di una statua dei Musei Capitolini, provenienti da villa Adriana. Per una terza statua, raffigurante ancora un'Iside, modellata su un antico rocchio di granitello ed eseguita su modello di una statua capitolina, oggi in Vaticano, lo scultore ottenne 300 scudi, corrisposti dal settembre 1781 al giugno 1782 (Arizzoli-Clémentel). Queste opere, trasferite nel 1808 in Francia con il resto della collezione Borghese (le prime due a Fontainebleau, Musée national du Château; l'altra a Parigi, Musée du Louvre, Département des antiquités égyptiennes) sono di grande impatto visivo nell'impianto solenne delle figure e nell'attenzione ai particolari iconografici, secondo quel gusto dell'Egitto che si stava diffondendo nelle decorazioni e nell'arredo romano.
Dal dicembre del 1783 al giugno del 1787 il G. ricevette 750 scudi, comprensivi dello svuotamento, della lustratura e di una gratifica, per l'esecuzione di un vaso in granito verde minuto, di notevole impegno tecnico - tanto da richiedere circa due anni di lavorazione - che doveva essere posto nella cosiddetta stanza di Paride della palazzina (Faldi, pp. 54-56, n. 52).
Si tratta di un'anfora (m 0,78 di altezza, m 0,40 di diametro) particolarmente apprezzata dai contemporanei, chiusa da un coperchio che riprende il motivo decorativo a fogliame ripetuto alla base e all'imboccatura. La parte centrale è arricchita da una striscia orizzontale, a motivi floreali, che ne spezza lo slancio verticale originato dalla forma allungata del vaso, dal sottile piedistallo scanalato posto su una base ridotta. I manici, fermati da pomelli effigiati con un volto tondeggiante ornato da un tipico copricapo egizio, donano una nota esotica all'elegante pezzo, che si conserva ancora oggi nella Galleria Borghese (inv. n. CXXXII).
Un'altra anfora, da lui realizzata per il principe Borghese, di dimensioni minori, in alabastro a tartaruga, è interessante per le macchie naturali della pietra al centro del vaso e della linea più chiara che ne accompagna la curvatura, sottolineandone l'armoniosa conformazione ovale. L'artista la lavorò nel 1783 per la sala dell'Ermafrodito, con il guadagno di 40 scudi, imitando le forme di uno dei due vasi cinerari conservati nelle sale del Museo Pio-Clementino, da pochi anni allestite in Vaticano (Faldi, p. 56 n. 53).
Nello stesso periodo il G. modellò una statua dell'Immacolata, destinata all'altare maggiore della chiesetta settecentesca di piazza di Siena, che costituiva la cappella di villa Borghese, eretta da Mario Asprucci e decorata nella volta da Felice Giani.
Coerente stilisticamente con quanto già espresso nel S. Claudio, la figura è rappresentata mentre porta le mani al petto, avvolta da un ampio mantello con pieghe fluttuanti che rimandano, nell'impostazione e nella morbida lavorazione del marmo, a una tradizione tardobarocca, fortemente sentita anche nell'esecuzione dei cherubini della transenna che fino a qualche tempo fa separava il presbiterio dai fedeli (Lefevre).
In quegli anni il G. abitava al vicolo del Merangolo, in un edificio adiacente al collegio Liegese, nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina con la moglie Girolama Girod e quattro figli sopravvissuti, Pietro, Gaspare, Giuditta, Giltrado (ne erano nati undici durante il loro matrimonio: Roma, Archivio del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Stato delle anime, 1781, c. 108r; 1782, c. 90r; Battesimi, 1771-76, cc. 55v, 133v, 241v; 1776-80, c. 62; Morti, 1765-81, cc. 88, 124v, 246r, 174r; 1781-89, cc. 37r, 102v).
L'attività successiva dello scultore è meno nota. Dalle fonti però sappiamo che la sua bottega era caratterizzata dalla presenza di marmi rari e pregiati, venduti anche ad altri artisti. Il 17 genn. 1783 lo scultore Vincenzo Pacetti vi comprò un pezzo di porfido a 10 scudi, per soddisfare la richiesta di un abate (Roma, Biblioteca Alessandrina, ms. 321: Giornale riguardante li principali affari e negozi dello stato di scultura, ed altri suoi interessi particolari, incominciato l'anno 1773 fino all'anno 1803, c. 21).
Il G. si dedicò inoltre alla lavorazione di un tipo di suppellettile molto richiesto all'epoca, come il "surtout de dessert", poi semplicemente "deser" o "desert". Si trattava di centrotavola eseguiti in marmi colorati e pietre dure ornati con piccoli busti, statuine, colonne, obelischi ecc. che celebravano il gusto dell'antichità. Alcuni di questi divennero particolarmente famosi per la preziosità dei materiali e la raffinatezza dell'insieme, come il Desert Braschi (1783: parte disperso e parte, dal 1984, al Louvre, inv. MR XI, suppl. 139), una superba opera di Luigi Valadier realizzata con la collaborazione, forse, di Lorenzo Cardelli e dello stesso Grandjacquet, il quale, il 12 sett. 1789 chiese una licenza di esportazione per un altro "desert" composto di vari marmi e con bronzi moderni del valore di 120 scudi (Bertolotti).
L'originale produzione dello scultore, di cui rimane un bel ritratto che l'effigia mentre scolpisce una statua (Roma, collezione privata: Arizzoli-Clémentel, fig. 18), dimostra il suo inserimento nell'ambiente artistico romano della seconda metà del secolo, ancora lungo il solco scavato dall'ampia tradizione tardobarocca, ma già vicino alla nuova sensibilità settecentesca, soprattutto nell'ambito decorativo, grazie alla formazione piranesiana e alle sollecitazioni del mercato.
Gli sono dubitativamente attribuiti alcuni vasi in porfido - facenti parte della collezione del duca d'Aumont (da lui commissionati in Italia), comparsi dopo la sua morte alla vendita dei beni, avvenuta a Parigi nel 1782: acquistati per il re Luigi XVI, sono oggi al Louvre (González-Palacios) - e uno simile, offerto sul mercato antiquario di Londra (Colnaghi). Si tratta di un'anfora (cm 85 x 60), in porfido rosso, fortemente scanalata, con doppi manici che lateralmente disegnano le corna del capo di caprone sottostante, uno dei motivi decorativi più cari all'équipe piranesiana degli anni Ottanta.
Il G. morì a Roma il 22 febbr. 1801.
Dei suoi eredi fu soprattutto Gaspare (1774-1844) a dare lustro alla famiglia e ad arricchire il patrimonio familiare, grazie anche al matrimonio con Rosalinda Benucci. Dalla loro numerosa prole, di cui si ricordano Antonio, Elena, sposa di Giuseppe Guerrieri (S. Rebecchini, L'avventura napoleonica di due fanciulle romane, in Strenna dei romanisti, XXV [1964], pp. 419-425), Pietro, Camillo, Maria e Francesca, discendono numerosi personaggi, proprietari terrieri nei dintorni della capitale spesso legati alle vicende storico-economiche della città, come la fondazione della Cassa di risparmio di Roma (G.F. Tomassetti, La campagna romana, antica, medioevale e moderna, II, Firenze 1976, pp. 191, 261; IV, ibid. 1979, p. 261).
Fonti e Bibl.: L. Rocchegiani, Raccolta di 100 tavole rappresentanti i costumi religiosi, civili e militari degli antichi (1804), Roma 1821, nn. 29, 32; P. Zani, Enciclopedia metodica… delle belle arti, Firenze 1835, p. 158; A. Bertolotti, Esportazione di oggetti di belle arti da Roma per l'Inghilterra, in Archivio storico, artistico, archeologico e letterario della città e provincia di Roma, IV (1878), 6, p. 299; A. Castan, La Confrérie, l'église et l'hôpital de St-Claude des Bourguignons de la Franche-Comté à Rome, Paris 1881, pp. 34 s., 69; I. Faldi, Galleria Borghese. Le sculture dal secolo XVI al XIX, Roma 1954, pp. 54-56, nn. 52 s.; C. Pietrangeli, in G. Lippold, Die Skulpturen des Vaticanischen Museums, III, 2, Berlin 1956, pp. 544 n. 54, 553 n. 27; G. Hubert, La sculpture dans l'Italie napoléonienne, Paris 1964, p. 39; P. Arizzoli-Clémentel, Charles Percier et la salle égyptienne de la Villa Borghèse, in Piranèse et les français, Colloque tenu à la Villa Médicis, … 1976, Roma 1978, pp. 10 s. fig. 18 (con bibl.); G. Erouart - M. Mosser, À propos de la "Notice historique sur la vie et les ouvrages de J.B. Piranesi": origine et fortune d'une biographie, ibid., p. 241; P. Colnaghi - D. Colnaghi, The adjectives of history. Furniture and works of art 1550-1870, 14 June to 30 July, London 1983, p. 63 n. 26, fig. 26 p. 58; A. González-Palacios, Il tempio del gusto. Le arti decorative in Italia fra classicismo e barocco, I, Milano 1984, pp. 175 s.; R. Lefevre, La chiesetta settecentesca di piazza di Siena: da Mario Aspucci e Felice Giani a Pietro Canonica, in Strenna dei romanisti, XLVI (1985), pp. 334, 336; G. Pietrangeli, I Musei Vaticani. Cinque secoli di storia, Roma 1985, p. 107; R. Caira Lumetti, La cultura dei lumi tra Italia e Svezia. Il ruolo di Francesco Piranesi, Roma 1990, p. 243 nn. 36, 38; A.M. Leander Touati, Ancient sculptures in the Royal Museum. The eighteenth-century collection in Stockholm, I, Stockholm 1998, p. 58; Art in Rome in the eighteenth century (catal.), a cura di E. Peters Brown - J.J. Rishel, Philadelphia 2000, p. 206; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 509 s.