BONARELLI, Guidubaldo
Nacque a Pesaro il 25 dic. 1563 dall'anconitano conte Pietro Bonarelli della Rovere e da Ippolita di Montevecchio; il padre, cortigiano di Guidubaldo II duca di Urbino, alla morte del suo signore (1575) cadde in disgrazia presso il figlio Francesco Maria, che lo costrinse dapprima a riparare, con la sua famiglia, a Ferrara alla corte di Alfonso II e poi a Novellara presso Camillo Gonzaga.
Il giovane B., destinato dal padre alla carriera ecclesiastica, fu inviato in Francia nel 1579 per compiervi i suoi studi di filosofia e teologia, nei quali si dimostrò così brillante che, secondo una leggenda biografica tutt'altro che sicura, a soli diciannove anni gli venne offerta una cattedra di filosofia alla Sorbona; è certo invece che nel 1585 era a Pont-à-Mousson in Lorena, in un collegio di gesuiti.
Tornato in Italia, si fermò dapprima a Roma, dove rifiutò la carriera ecclesiastica perché, come scrive in una lettera del 1591 da Roma, "alla pretaria" non fu mai inclinato, ad essa preferendo semmai la carriera militare, "non conoscendo altro che l'una di queste due strade" un nobile quale egli era. Nel 1592 si trasferì a Milano, al servizio del cardinale Federico Borromeo. L'anno seguente, a causa di una relazione amorosa tra il B. e Costanza Gonzaga, nipote del conte Camillo, la famiglia fu sfrattata da Novellara e dovette rifugiarsi presso il duca di Ferrara Alfonso II, che ospitò a Modena Pietro e gli altri cinque figli tenendo presso di sé il B. come "maestro di camera" e affidandogli, tra il 1595 e il 1597, numerose missioni diplomatiche; anche il successore di Alfonso, il duca Cesare, continuò a utilizzarlo per missioni diplomatiche alla corte pontificia e in Francia, che ebbero sempre esito felice.
Ma il 22 ag. 1600, scoperte le nozze segrete del B. con Laura Coccapani, figlia del tesoriere ducale, il duca Cesare gli intimò l'esilio entro le ventiquattr'ore, indignato del matrimonio clandestino e maggiormente del fatto che il B. aveva finto di accettare altre nozze progettate per lui dal duca. Fu pertanto costretto a rifugiarsi presso Ercole Trotti, a Ferrara, riuscendo, nel 1601, a riappacificarsi col duca grazie all'intervento del cardinale Alessandro d'Este. Iniziò allora per lui un breve periodo di tranquillità, in cui poté dedicarsi a quell'attività letteraria che aveva sempre vagheggiato.
Fu, a Ferrara, tra i fondatori dell'Accademia degli Intrepidi, cui partecipò col nome di Aggiunto e per la quale compose la Filli diSciro, favola pastorale probabilmente rappresentata nel 1605 ed edita nel 1607 dagli accademici, ai quali aveva già letto, l'anno precedente, la Difesa del doppio amore di Celia, in risposta alle critiche suscitate dalla sua pastorale.
Nel 1607 aveva accettato l'invito a Roma come maggiordomo del cardinale Alessandro d'Este, ma, appena iniziato il viaggio, la morte lo colse a Fano, a soli quarantacinque anni, l'8 genn. 1608.
La Filli di Sciro è una favola pastorale dalla trama complessa e tuttavia svolta con notevole perizia costruttiva intorno a una duplice azione: quella del contemporaneo e pari amore di Celia per due pastori, Niso e Aminta, che l'avevano salvata dalle insidie di un centauro rimanendone entrambi feriti, e quella dei due fanciulli Filli e Tirsi, inviati come ostaggi al re di Tracia, da questo presi a benvolere e destinati a essere, da grandi, sposi, affidati a Oronte per essere condotti a corte, ma fortunosamente finiti prigionieri di un soldato del re di Smirne che, per salvarli, aveva cambiato i loro nomi in quelli di Clori e Niso, travestendoli da pastori, allontanandoli e convincendoli ognuno della morte dell'altro. I due bambini, ora giovinetti, si incontrano, dopo molte peripezie; si riconoscono grazie a un cerchio d'oro di cui ognuno conserva un'uguale metà a guisa di collare, e finalmente si sposano liberando l'isola di Sciro dal penoso tributo di bambini dovuto al re di Tracia; dal canto suo Celia, che si scopre sorella di Tirsi-Niso, sposerà Aminta.
Successiva di pochi anni al Pastor fido del Guarini, la Filli ne ripete parecchi elementi costitutivi della struttura narrativa: l'alto lignaggio dei protagonisti (Filli e Tirso discendono da Achille), l'antefatto complesso e avventuroso, lo svolgimento contrastato, l'agnizione finale e l'attuazione dell'oracolo (la liberazione di Sciro dal tributo al re trace) sono ormai elementi tipici della favola pastorale così come il Guarini l'aveva codificata. La sapiente utilizzazione del vecchio e fortunato tema degli amici rivali (Aminta e Niso innamorati di Celia, Filli e Celia di Niso), l'abile dosaggio dei temi comici e di quelli tragici, lo svolgimento narrativo perfetto fino all'agnizione e allo scioglimento finale, la musicale versificazione madrigalesca in cui è presente sia il modello dell'Aminta tassesco sia una più personale e originale disposizione ad ardite metafore di gusto secentesco e barocco determinarono l'enorme successo della Filli, che ebbe prologhi, tra gli altri, del Marino e del Testi, più di trenta edizioni nei secc. XVII e XVIII, nonché numerose traduzioni, specialmente in francese.
Vivente il poeta, doveva già essere presente nella critica italiana una pesante riserva, del resto non documentata, sulla moralità del doppio amore di Celia per i due pastori Aminta e Niso, amore che per la sua imparzialità e la sua intensità spinge la ninfa a un tentato suicidio; infatti il B. fu indotto a scrivere i Discorsi indifesa del doppio amore della sua Celia letti in tre giorni, nel 1606, agli accademici Intrepidi di Ferrara, che li fecero pubblicare postumi (Ancona 1612) a proprie spese e a cura di Prospero, fratello del Bonarelli.
I Discorsi sono un vero e proprio trattato scolastico in cui, con rigoroso metodo deduttivo si dimostra, in generale, la legittimità del doppio potenziale amore e, in particolare, la sua verisimiglianza e necessità nella Filli "per la tessitura e per lo conducimento della favola", in relazione cioè allo svolgimento e alla successione dei fatti rappresentati e per la condizione e i caratteri dei protagonisti.
Questa polemica sulla moralità del doppio amore di Celia, e poi sulla scarsa naturalezza delle situazioni rappresentate nella Filli, è documentata invece dalla critica francese nei secc. XVII e XVIII, fino a A. Baillet e al padre D. Bouhours, cui replicarono G. D. Orsi e L. A. Muratori.
Del B. si ricordano ancora: Orazione per l'inaugurazionedell'Accademia degli Intrepidi (Ferrara 1602); un sonetto, due madrigali, un'egloga nel Parnaso dei poetici ingegni (Parma 1601) rist. in Versi per nozze Beer-Coen (Ancora 1880); due lettere in Lettere di A. Guarini (Ferrara, 1611, pp. 36 e 132); due lettere nel Perfetto segretario di A. Ingegneri (Milano, 1613, pp. 138 e 142); una lettera nell'Istruzionedi segreteria dell'abate Parisi (Roma 1781, III, p. 195); quindici lettere in Commentario... di G. Campori.
Bibl.: L'elenco delle ediz. nella Filli di Sciro, a cura di G. Gambarin, Bari 1941 (comprende i Discorsi, con elenco delle ediz., e i prologhi di G. B. Marino, F. Testi e I. Aurispa); F. Ronconi, Vita del conte G. B., premessa alla Filli, Roma 1640 e Mantova 1703, pp. 3-16; Ianus Nicius Erythraeus (G. V. Rossi), Pinacotheca imaginumillustrium doctrinae vel ingenii laudevirorum,qui,auctore superstite,diem suum obierunt, Coloniae Agrippinae 1645, pp. 14-17; L. Crasso, Degli elogi degli uominiillustri, II, Venezia 1666, pp. 99-104; A. Baillet, Jugemens dessavans sur lesprincipaux ouvrages des auteurs, IV, Paris 1685, p. 109; V, ibid. 1722, p. 1378; D. Bouhours, La manière de bienpenser dans les ouvragesd'esprit, Paris 1687, Dialogues II, p. 248; A. Zeno, Vita di G. B., in Filli di Sciro, Venezia 1700; G. D. Orsi, Considerazioni sopra la "Maniera di ben pensare ne'componimenti" del P. D. Bouhours, Modena 1735, Dialogo VII, pp. 326 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia, 1762, pp. 1549-1553; L. A. Muratori, Della perfettapoesia italiana, Milano 1821, pp. 331-335; G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., Milano 1833, IV, pp. 567 s.; E. Camerini, pref. a I drammi dei boschi e delle marine, Milano 1874, pp. 16-19; G. Campori, Commentario della vita e delle opere di G. B., Modena 1875; G. Franceschini, G. B. e la Filli di Sciro, Vicenza 1887; G. Malagoli, Studi,amori e lettere inedite di G. B., in Giorn. stor.d. lett. ital., XVII (1891), pp. 177-211.