BENAMATI, Guidubaldo
Nacque a Gubbio, da nobile famiglia, verso la fine del sec. XVI. Nei primissimi anni della sua vita passò a Parma, dove suo padre Marco Antonio aveva trovato un posto come poeta di corte. Applicatosi anch'egli agli studi umanistici, cominciò a esercitarsi nella poesia fin dall'età di tredici anni e a diciassette scrisse due favole pastorali. Una di esse è quasi certamente l'Alvida, pubblicata a Parma nel 1614; l'altra potrebbe essere La pastorella d'Etna, uscita a Venezia nel 1627.
La sua già abbondante produzione poetica fu riunita ben presto ne Il Canzoniere diviso in tre parti (Venezia 1618): versi facili e vuoti, nei quali si avvertono gli echi delle più diverse suggestioni ]etterarie, ma che gli meritarono la protezione del duca di Parma, Ranuccio I Farnese, che lo nominò poeta di corte, e l'apprezzamento di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, e di suo figlio Federico.
Il B. fu in rapporto con i letterati più noti del suo tempo; fra gli altri con A. Aprosio, C. Achillini, G. Preti, T. Stigliani e, in particolare, col Marino, verso cui dimostrò sempre una profonda ammirazione. Il Marino, al contrario, non ne fece mai gran conto, come si ricava da una lettera indirizzata allo Stigliani a Parma: "non parli con esso lui delle risate, e motti, che costì facemmo delle sue compositioni acciò che esso non se ne turbi, perché quantunque egli vaglia poco è però da stimare l'amicizia di tutti". Né il B. si tenne in disparte dalla vita delle Accademie: il suo nome appare, infatti, fra gli Affidati di Pavia, gli Erranti di Bologna, i Signori Incogniti di Venezia e i Disinvolti di Pesaro.
Nel 1621 a Parma diede alle stampe un poemetto in ottava rima, Il Colosso, Panegirico per la statua di Ranuccio duca di Parma, e ne inviò un esemplare al Marino, ricevendone ampia lode. L'anno appresso usciva, sempre in Parma, Delle due trombe i primi fiati, cioè tre libri della Vittoria navale e tre libri del Mondo nuovo.
Era una sorta di saggio dei due poemi eroici cui aveva posto mano contemporaneamente il B.: il primo ispirato alla battaglia di Lepanto, il secondo alla scoperta dell'America. Subito ne mandò copie ad un gran numero di accademie e di letterati, primo fra tutti il Marino, che tuttavia riuscì ad esimersi dal pronunciare il giudizio richiestogli. Parere totalmente negativo ne diede invece l'Accadernia della Crusca, che tacciò le "costruzioni" di "dure, e nuove, e malagevoli a ritrovarsi, onde ne nasce l'oscurità" e gli "epiteti" di "oziosi, ... replicati spesso, e alcuni che non operino acconciamente".
Il Mondo nuovo fu abbandonato. La Vittoria navale invece fu portata a termine in trentadue libri e pubblicata a Bologna nel 1646. Nelle prime pagine dell'opera, non numerate, si leggono le testimonianze relative all'edizione del 1622.
Morto nel 1622 Ranuccio I, il B. passò al servizio del duca Odoardo Farnese. Per le sue nozze con Margherita de' Medici compose I mondi eterei (Parma 1628), un poema in cinque parti cui il B. volle dare il sottotitolo di "commedia eroica". Ma il periodo della sua fortuna alla corte di Parma s'era ormai concluso; così che, intorno al 1630, chiesto ed ottenuto il congedo, il B. tornò a Gubbio. Qui fondò l'Accademia degli Addormentati, di cui fu principe, e tentò, senza riuscirvi, d'essere eletto gonfaloniere.
La produzione letteraria del B., intanto, s'arricchiva di nuovi titoli. Nel 1630 era stato pubblicato a Venezia un suo "poema eroicivico" in venti canti, Il Trivisano, con gli argomenti del marchese G. F. Malaspina. Nel 1639 dava alle stampe a Perugia una raccolta di poesie, La selva del sole, e un'altra raccolta in due parti, La penna lirica, dedicata a G. F. Loredano, usciva a Venezia nel 1646-48.
Dopo la lirica e il poema eroico, il B. tentò anche il romanzo con Il principe Nigello (Venezia 1640), che fu poi messo all'indice, nonché il teatro con la commedia in prosa Il prodigo ricreduto (Bologna 1652).
Morì a Gubbio nel 1653, lasciando gran copia di opere manoscritte, oggi perdute, fra cui altri volumi di versi, una tragedia, La Susanna difesa, e la favola pastorale Il dardo di Cille.
Fonti e Bibl.: G. B. Marino. Lettere gravi, argute e facete, Venetia 1628, pp. 213-255; ibid. 1673, pp. 170, 304-322; Le glorie de gli incogniti o vero gli huomini illustri dell'Accad. de' Signori Incogniti di Venetia, Venetia 1647, pp. 296-299; L. Jacobilli, Bibliotheca Umbriae, sive de scriptoribus Provinciae Umbriae, I, Fulginiae 1658, p. 127; A. Aprosio, Biblioteca aprosiana, Bologna 1673, p. 104; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, 1, Milano 1741, pp. 296,297, 507; II, 2, ibid. 1742, p. 121; III, 2, ibid. 1744, p. 349; IV, Bologna 1739, pp. 195, 682; G. M. Mazzucchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, pp. 779-781; F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca picena, II, Osimo 1791, pp. 156-161; G. B. Passano, I novellieri italiani in prosa, I, Torino 1878, p. 8; A. Bertolotti, Varietà archivistiche e bibliografiche: i primi poemi di un poeta, in Il Bibliofilo, VI, 7 (1885), pp. 107 5.; G. Mazzoni, Glorie e memorie dell'arte e della civiltà d'Italia, Firenze 1905, pp. 210-212; A. Belloni, Il Poema epico e mitologico, Milano s.d., pp. 279, 292; Id.. Il Seicento, Milano 1947, pp. 86, 92, 228.