GUIDOTTI (Borghese), Paolo, detto il Cavalier Borghese
Figlio di Giacomo, nacque a Lucca intorno al 1560, in una famiglia di nobili origini. Dopo una formazione iniziale nella sua città natale, di cui però non si ha alcuna notizia, giunse a Roma, secondo il suo primo biografo G. Baglione, all'epoca di papa Gregorio XIII. I primi lavori del G. risalgono tuttavia, sempre secondo Baglione, agli anni del pontificato di Sisto V (1585-90).
Non esistendo testimonianze documentarie, sono stati ipoteticamente attribuiti al G. alcuni affreschi nei maggiori cantieri promossi da quel pontefice: nella Scala santa, il gruppo degli Angeli con la Croce nella volta dell'atrio, e, dubitativamente, il riquadro con Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre e quello con il Passaggio del Mar Rosso (Zuccari, 1992); nella Biblioteca apostolica Vaticana, il Concilio di Firenze, il Concilio Lateranense V e la Cappella papale di S. Maria del Popolo (ibid.); nel palazzo lateranense, gli Angeli e le Figure allegoriche nella sala di David (D'Amico), due figure nel fregio della sala dei Pontefici, o dei "patti lateranensi", raffiguranti S. Cornelio papa e S. Lucio papa, e il Battesimo di Costantino nella sala di Costantino (Papi, 1997).
Il primo documento relativo al G. risale al 1589, quando il suo nome compare in una "lista delle candele" dell'Accademia di S. Luca in cui il pittore figura come "m[esse]r il Cavalier Paulo Guidotto lucchese" (Melasecchi, 1993): troppo precoce per alludere alla futura onorificenza, il titolo può riferirsi alle sue origini nobili. Entro il luglio del 1591, come registrano i documenti dei pagamenti relativi all'intera commissione (Mangia Renda), il G. dipinse in uno dei pennacchi della cupola di S. Girolamo degli Schiavoni S. Matteo Evangelista, esplicitamente ricordato da Baglione: a questo la critica ha di recente aggiunto anche S. Marco Evangelista, in un altro pennacchio (ibid.). Terminati i lavori in questa chiesa l'artista si spostò a Napoli, dove, nel 1593, dipinse gli affreschi con Storie mariane nell'abside di S. Maria del Parto (firmati e datati).
Sin dagli esordi lo stile del G. si rivela bizzarro e anticonformista, erede del manierismo colto. L'opera pittorica del G. è difficilmente classificabile, in quanto soggetta a un continuo e ipersensibile trasformismo: dai bagliori irreali di D. Beccafumi ai forti contrasti caravaggeschi, ai volumi cubizzanti di L. Cambiaso, il G. cambia continuamente stile, fedele sempre però a un linguaggio anticlassico.
Nell'ottobre del 1593 era già di ritorno a Roma, dal momento che il 18 del mese risulta nuovamente presente alla riunione per la vendita delle candele in occasione della festa di S. Luca (Roma, Arch. storico dell'Accademia nazionale di S. Luca, scat. 69, c. 307v). Il 29 apr. 1594 presentò querela contro l'architetto Onorio Longhi "perché l'aveva preso per la collarina, menandogli più pugni e tirando anche fuori il pugnale" (Bertolotti). Dall'ottobre al novembre del 1599, insieme con altri artisti già presenti nei cantieri sistini, il G. fu pagato per alcuni affreschi nella cupola della chiesa di S. Maria dei Monti (Tiberia), all'interno della quale gli sono stati attribuite anche altre opere su muro e su tela (Barroero; D'Amico). Nel settembre del 1602 dipinse per i padri del Gesù di Roma un "piccolo quadro in tavola" raffigurante il Martirio dei ss. Abondio e Abondanzio, oggi perduto (Pecchiai), così come è andato disperso un S. Sebastiano a olio su tela realizzato nel 1602-03 per il distrutto oratorio di S. Giacomo a Scossacavalli, visto per l'ultima volta da I. Faldi (1957) nel Museo Petriano in Vaticano, del quale è rimasta solo una testimonianza fotografica.
Già in questi anni il G. godeva di una certa fama, se, nel 1604, C. van Mander lo ricordava come "eccellente e superiore, di natura tutta diversa dagli altri maestri, formando concetti ed invenzioni rarissime" (in Vaes, p. 203): si dedicò, infatti, anche allo studio delle lettere, della matematica, dell'astrologia e della musica e si addottorò in legge. F. Baldinucci racconta che tentò anche il volo con ali costruite in osso di balena, ma cadde sopra un tetto "spiccando dal suo volo la rottura di una coscia" (p. 637): con la stessa curiosità e lo stesso spirito scientifico il G. studiò anatomia, andando di notte, secondo il suo allievo Matteo Boselli, nei cimiteri per prelevare dai cadaveri "quella parte del corpo, che faceva per lo bisogno suo […] e faceva sopra di essa quello studio in disegno" (Baldinucci, p. 638).
Nell'ottobre degli anni 1604, 1607 e 1608 il nome del G. risulta ancora presente in una lista dell'Accademia di S. Luca (Roma, Arch. storico dell'Accademia nazionale di S. Luca, vol. 42, cc. 25, 35, 38v), della quale, nel settembre del 1605, era stato nominato segretario (D'Amico); l'anno successivo risulta tra gli artisti iscritti nella prestigiosa Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Al 1608 risale il suo primo quadro da cavalletto noto, firmato e datato, raffigurante Davide con la testa di Golia, conservato nella basilica di S. Paolo fuori le Mura (Ficacci). Il 13 settembre dello stesso anno venne insignito da Paolo V Borghese del titolo onorifico di cavaliere della Milizia di Cristo, come ricompensa per "un gruppo di sei figure dentro un pezzo di marmo bianco, tutte intiere" (Baglione, p. 303) donato dal G. al cardinale Scipione Borghese. Già ricordata da Mander, l'opera doveva essere di una certa rilevanza, in quanto lo stesso pontefice oltre all'onorificenza, volle concedere all'artista, e su sua espressa richiesta, il privilegio di fregiarsi del cognome Borghese aggiunto al proprio (donde l'epiteto di "Cavalier Borghese" con cui è ricordato dalle fonti).
Il gruppo scultoreo è citato in alcuni documenti conservati nell'Archivio Borghese, nei quali si legge che l'opera venne ricompensata il 18 ag. 1608 con 250 scudi e che, in data 15 nov. 1610, fu collocata nel palazzo Borghese a Borgo Nuovo (ora Torlonia), sopra un piedistallo di marmo giallo (Faldi, 1957). Sull'attività di scultore del G. si hanno notizie scarse; l'unica opera nota è la statua di S. Potito consegnata nell'ottobre del 1615 per l'altare dell'Incoronata nel duomo di Pisa (Tanfani Centofanti).
Il G. dipinse anche un Autoritratto, firmato, rintracciato da Faldi (1961) in collezione privata, con indosso l'abito con la croce della Milizia di Cristo e nelle mani una penna e un libro, allusivi forse al manoscritto della "Gerusalemme distrutta" da lui composta in ottave (Baglione, p. 304: "si dilettava di poesia, e vi aveva genio"). L'Autoritratto, del quale esiste una replica autografa più tarda in collezione privata (Faldi, 1961), è stato collegato, su basi stilistiche (ibid.), al Ritratto di s. Giovanni Leonardi conservato nella casa generalizia dei chierici regolari della Madre di Dio, raffigurante l'effigie del santo dopo la morte (1609).
Dal 4 luglio al 5 ott. 1610 il G. lavorò nel palazzo del marchese Vincenzo Giustiniani (ora Odescalchi) a Bassano Romano, dove, con l'aiuto di Domenico Tolomei e Giulio Donnabella (Faldi, 1957), decorò la sala del Cavaliere.
Si tratta di un ambiente rettangolare con volta a padiglione, trasformata illusionisticamente in volta a cupola, al centro della quale, in un occhio aperto sul cielo, è la personificazione della Aeterna Felicitas; nel cornicione, tra otto gruppi di telamoni, sono quattro figure allegoriche (il Disprezzo del mondo, la Purezza, la Sapienza che discende da Dio e il Sacrificio di sé: l'interpretazione di quest'ultimo soggetto è controversa) alternate ad altrettante scene bibliche (Giuseppe e la moglie di Putifarre, Susanna e i vecchioni, il Giudizio di Salomone e Giuditta e Oloferne). Questi affreschi sono da considerarsi una specie di summa del linguaggio pittorico tardomanierista romano, dove la visione plastica, che traspare sia nella costruzione prospettica, sia nella volumetria dei corpi, è amplificata dall'uso accentuato del chiaroscuro secondo la tendenza caravaggesca. Il risultato di questo "bel composto" è uno spazio scenico di forte impatto, ancora aderente allo "spirito sofisticato e capzioso della "poetica della meraviglia" dell'estremo manierismo" (Faldi, 1957, p. 283). L'aderenza, in alcuni particolari, a un linguaggio neocambiasesco, qui evidente per la prima volta, può essere messa in collegamento con il committente, di origine genovese e collezionista di opere di L. Cambiaso.
Concluso il prestigioso incarico a Bassano Romano, nel suo momento di maggior gloria il G. tornò per un lungo periodo nella sua città natale. Sulla base di una testimonianza documentaria è quasi certo che il pittore partì entro il 1610, per consegnare ai padri della chiesa di S. Romano a Lucca il quadro raffigurante la Vergine che porge il Bambino a s. Agnese da Montepulciano, dipinto a Roma in quello stesso anno (Ambrosini). Nel 1611 firmò e datò una grande tela raffigurante la Libertà lucchese già nel palazzo degli Anziani e ora al Museo nazionale di Villa Guinigi; nella primavera di questo stesso anno è documentato a Reggio Emilia impegnato nella decorazione ad affresco della conca absidale della chiesa di S. Giovanni Evangelista dove dipinse una Resurrezione di Cristo sorprendente per l'antinaturalismo delle forme accentuato da un forte contrasto chiaroscurale (D'Amico). Rientrato a Lucca nel 1613 dipinse il suo primo affresco in quella città, una Madonna col Bambino tra i ss. Pietro e Paolino nella loggia del palazzo pretorio, oggi staccato, ed entro il 1615 decorò il catino absidale della chiesa di S. Giovanni con una grande Annunciazione.
Più difficile è collocare cronologicamente il resto della produzione lucchese che comprende numerose opere ancora esistenti: il Miracolo di s. Silao per la chiesa del monastero di S. Giustina, ora nell'oratorio di S. Lorenzo; una Madonna col Bambino e i ss. Stefano e Lorenzo nella chiesa di S. Alessandro; S. Carlo Borromeo in quella dei Ss. Paolino e Donato; S. Zita disseta un pellegrino già per l'altare della cappella dedicata alla santa in S. Frediano, ora nella guardaroba; e, per la stessa chiesa, una Deposizione definita dalla critica "sconvolgente incunabolo caravaggesco (Papi, 1997, p. 110). Sono andati invece perduti l'affresco raffigurante i Ss. Carlo Borromeo e Giorgio nella chiesa di S. Giovanni e quello con la Caduta degli angeli ribelli, dipinto per la tribuna della chiesa di S. Michele "degno di stima per la gran quantità degl'ignudi, bizzarri d'invenzione" (Baldinucci, p. 635); così come non sono più rintracciabili altri quadri ricordati dalle antiche guide della città: una "mezza figura" per la collezione Baroni, che sul retro mostrava "una […] franca e bella testa di vecchio" dipinta dal G. "col dito grosso del piede destro" come era scritto sulla stessa tela con le firme dei testimoni (Trenta, p. 129); un'Assunta in S. Romano (Marchiò); un Cristo risorto in S. Martino; una Venere nella collezione Orsucci; e una Vergine e s. Giovanni Battista "mezze figure al naturale" nella collezione Spada (Ambrosini).
Nel 1615 il G. era a Pisa, dove dipinse per la tribuna del duomo i quadri raffiguranti Mosè che fa scaturire l'acqua dalla roccia (firmato e datato) e l'Ultima Cena, saldato il 5 marzo 1616 (Tanfani Centofanti, p. 417): opere di tono fortemente beccafumiano, ispirate forse dalla presenza, nella fascia inferiore della stessa tribuna, di dipinti dello stesso Beccafumi. Al 13 novembre successivo risale l'ultimo pagamento per un ciclo di affreschi, ora staccati, nel camposanto pisano, raffiguranti Giuditta dinanzi ad Oloferne e Giuditta decapita Oloferne, intervallati da due figure di soldati e da un portatore di stendardo. Nella città toscana, del G. si trovano ancora un'Annunciazione e una pala con i Ss. Torpè, Orsola, Cecilia e Ranieri, già nella chiesa di S. Silvestro, ora rispettivamente nei depositi di palazzo reale e in quelli del Museo nazionale e civico di S. Matteo.
In territorio pisano gli sono stati attribuiti la tela con il Miracolo del b. Salvatore da Orta nella chiesa di S. Croce in Fossabanda, e un'Ultima Cena nella chiesa di S. Maria Assunta a Fabbrica di Peccioli (Contini, 1992).
L'intervallo toscano terminò sicuramente nel 1618, in quanto nell'ottobre di quell'anno il G. risulta di nuovo presente nella lista delle elemosine per la festa del patrono dell'Accademia di S. Luca. Ricordato, il 6 gennaio seguente, in una riunione di congregazione, il 10 agosto ne venne eletto principe. Rinunciò alla carica dopo pochi mesi (nel febbraio del 1620 risulta principe Antiveduto Grammatica), "per l'età, et cure sue particolari", secondo la giustificazione addotta il 29 ag. 1620, rifiutando qualsiasi altro incarico (Faldi, 1957). Non rinunciò invece alle carica di conservatore del Popolo romano conferitagli da papa Borghese, e in questa veste emanò un decreto contro le inadempienze dei pittori verso le regole dell'Accademia di S. Luca (Missirini). Dal 1° aprile al 1° luglio 1621 fu conservatore per il rione di Castello (Salerno), periodo durante il quale realizzò un piccolo quadro, firmato e datato, raffigurante Cristo crocifisso trionfante sopra la morte, la carne e il diavolo, ora in collezione privata a L'Aquila.
Nel 1622 progettò, in qualità di architetto, l'apparato effimero in legno all'interno di S. Pietro in Vaticano per la canonizzazione (12 marzo) dei ss. Ignazio, Francesco Saverio, Filippo, Isidoro e Teresa d'Ávila "con molti Archi lavorato di bianco, et colori di pietra et oro con vaghissimo disegno" (G. Gigli); molto apprezzato dai contemporanei (ibid.), si può vedere riprodotto in una rara incisione a bulino di M. Greuter (Melasecchi, 1995).
In occasione dei restauri alla basilica di S. Crisogono, tra il 1620 e il 1623, Scipione Borghese commissionò al G. due dipinti a olio su muro raffiguranti una Crocifissione e i Ss. Domenico, Francesco e Angelo Carmelitano, saldati il 14 giugno 1624 (Faldi, 1957); nella stessa chiesa sono stati attribuiti al G., o alla sua scuola, anche il Miracolo di s. Alberto degli Abati da Trapani, le Ss. Barbara e Caterina e una S. Francesca Romana, tutti dipinti a olio su muro (L. Gigli).
L'ultima opera nota del G. è il soprapporta ad affresco raffigurante la Negazione di s. Pietro collocato nel settembre del 1628 su un altare in S. Pietro in Vaticano (Avviso del 20 sett. 1628: Pastor), ma presto ricoperto, come già ricordava Baglione (p. 304), da un dipinto di Giovan Francesco Romanelli. Fuori Roma è stata di recente accostata ai suoi modi una tela con la Decollazione di s. Giovanni Battista nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Capena (Zuccari, 1996).
Il 20 febbr. 1629 il G. fece testamento nel suo palazzo a Borgo, "di fronte a quello del cardinale di S. Clemente", Giovanni Domenico Spinola (Roma, Arch. storico Capitolino, Archivio urbano, sez. XLII, prot. 15, "Notaio Agostino Theoli", cc. 105-107).
Nominò suoi eredi la moglie Ursula Turini, romana, il fratello Giacomo Guidotti, un tal Giovanni Maria Brancaleoni, e istituì erede universale l'unica figlia, Giustiniana, che nel 1651 figurò in una lista di donne artiste dell'Accademia di S. Luca (Melasecchi, 2000).
Il G. morì a Roma il 10 marzo 1629 e venne sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Maria in Traspontina.
Della produzione grafica del G. sono stati finora rintracciati un volto di Putto, a lui attribuito da P. Pouncey, conservato alla Escola de bellas artes a Porto, e una Figura femminile in atto di scrivere, di sua invenzione, ma incisa a bulino da G. Cungio, un esemplare della quale è nella Biblioteca Casanatense di Roma (20.B.I. 73/246).
Fonti e Bibl.: M. Vaes, Appunti di Carel van Mander su vari pittori italiani suoi contemporanei (1604), in Roma, IX (1931), p. 203; G. Gigli, Diario romano, 1608-1670, a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, p. 58; T. Stigliani, Il canzoniere del signor cavalier fra' Tomaso Stigliani, Roma 1623, p. 36; G. Baglione, Vite de' pittori scultori ed architetti… (1642), Roma 1649, pp. 303 s.; G.V. De Rossi (I.N. Erythraeus), Pinacotheca imaginum illustrium…, Coloniae 1642, pp. 121 ss.; F. Baldinucci, Notizie dei professori del disegno… (1681-1728), III, Firenze 1846, pp. 634-638; V. Marchiò, Il forestiero informato delle cose di Lucca, Lucca 1721, ad nomen; T. Trenta, Guida del forestiere per la città e il contado di Lucca, Lucca 1820, ad nomen; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, p. 85; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma, Milano 1881, I, p. 70; L. Tanfani Centofanti, Notizie di artisti…, Pisa 1897-98, pp. 417-419; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, p. 947; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma 1952, p. 93; L. Salerno, Commento a G. Mancini, Considerazioni sulla pittura (1617-21), Roma 1956, p. 158, n. 1157; I. Faldi, P. G. e gli affreschi della "sala del Cavaliere" nel palazzo di Bassano di Sutri, in Bollettino d'arte, XLII (1957), 3-4, pp. 278-295 (con bibl.); Id., Il cavalier Bernini, il cavalier Baglione e il cavalier G. Borghese, in Arte antica e moderna, XIII (1961), pp. 297 s.; V. Tiberia, Una notizia sul Gentileschi e su altri pittori alla Madonna dei Monti, in Storia dell'arte, 1973, n. 19, pp. 181-184; L. Gigli, Trastevere, II, Roma 1979, p. 202; L. Barroero, Monti, III, Roma 1982, pp. 50 s.; F. D'Amico, Su P. G. Borghese e su una congiuntura di tardo manierismo romano, in Ricerche di storia dell'arte, 1984, n. 22, pp. 71-102 (con bibl.); Claude Mellan, gli anni romani. Un incisore tra Vouet e Bernini (catal.), a cura di L. Ficacci, Roma 1989, pp. 358, 364 s.; R. Contini, in La pittura in Italia, Il Seicento, II, Milano 1989, pp. 774 s.; R.P. Ciardi, Un caso esemplare: la decorazione del Camposanto, in R.P. Ciardi - R. Contini - G. Papi, Pittura a Pisa tra manierismo e barocco, Milano 1992, pp. 14-42; R. Contini, Interludio pisano di P. G., anticonformista lucchese di stanza romana, ibid., pp. 106-122; A. Zuccari, I pittori di Sisto V, Roma 1992, ad indicem; O. Melasecchi, in Roma di Sisto V. Le arti e la cultura, a cura di M.L. Madonna, Roma 1993, pp. 533 s.; A. Zuccari, La Biblioteca Vaticana e i pittori sistini, ibid., p. 73; P. Mangia Renda, S. Girolamo degli Schiavoni, ibid., pp. 148 s.; A. Ambrosini, in La pittura a Lucca nel primo Seicento (catal.), Lucca 1994, pp. 172-180; Id., in La tribuna del duomo di Pisa. Capolavori di due secoli (catal., Pisa), a cura di R.P. Ciardi, Milano 1995, pp. 180-187, 194-203; O. Melasecchi, in La regola e la fama. S. Filippo Neri e l'arte (catal.), Roma 1995, p. 450; A. Zuccari, rec. a Capena e il suo territorio, Filacciano e il suo territorio, Monterotondo e il suo territorio, a cura del Centro regionale per la documentazione dei beni culturali e ambientali della Regione Lazio, Bari 1995, in Bollettino d'arte, 1996, n. 98, p. 102; G. Papi, Nuove proposte sull'intervento di P. G. nel palazzo lateranense, ibid., 1997, n. 100, pp. 107-112; O. Melasecchi, Ginnasi, Caterina, in Diz. biogr. degli Italiani, LV, Roma 2000, pp. 21-23; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, p. 287; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani…, pp. 238 s.