FIERAMOSCA, Guidone
Nacque il 22 febbr. 1479, secondogenito del nobile capuano Raynaldo. Fedele alla tradizione familiare, intraprese, come il più celebre fratello maggiore Ettore, il mestiere delle armi. Del resto, era stato allevato in quella prospettiva sin dalla più tenera età ed affidato, ancora giovinetto, alle cure di Fabrizio Colonna, uno dei condottieri più celebri del tempo, presso il quale aveva fatto il suo apprendistato. Appunto nelle schiere del Colonna lo troviamo alla difesa di Capua, assediata dai Francesi che si erano mossi a conquistare il Regno (1501). Nonostante il valore dei difensori, la città fu conquistata il 24 luglio e il F. venne fatto prigioniero. Allorquando si vide spenta per gli Aragonesi ogni speranza di riscossa, il F. seguì l'esempio di molti seguaci della casa d'Aragona, fra cui il fratello Ettore e lo stesso Fabrizio Colonna, passando al servizio degli Spagnoli. Luogotenente di una compagnia d'armi, ricevé in tale veste un pagamento di 60 ducati (31 genn. 1504). Nei mesi precedenti aveva partecipato alle ultime battute del conflitto che aveva opposto Francesi e Spagnoli per la spartizione del Mezzogiorno d'Italia. Tornata la pace e sottomesso il Regno alla monarchia iberica. il F. si inserì nel ristretto entourage di nobili ispano-napoletani che si riuniva attorno a Isabella d'Aragona e a Bona Sforza. Fu in questo ambiente che il F. conobbe la futura moglie, Isabella Castriota.
Il F. divideva il suo tempo fra gli impegni mondani nella società galante della capitale e gli incarichi ufficiali per la città della quale i Fieramosca erano originari, Capua. Quest'ultima, in occasione della venuta del re Ferdinando il Cattolico, nominò F. suo procuratore, unitamente a Fabrizio di Capua e Marino di Lagonessa, allo scopo di prestare in suo nome solenne giuramento di fedeltà al sovrano in Napoli (15 genn. 1507).
Nelle guerre d'Italia il F. militò sotto le insegne spagnole, al seguito di Fabrizio Colonna. È documentata la sua partecipazione alla battaglia di Ravenna, dove il viceré di Napoli Raimondo de Cardona fu gravemente sconfitto dalle truppe della Lega. Proprio il F. - e non Ettore, come pure è stato scritto - va identificato con quel Fieramosca che, ferito durante lo scontro, si rifugiò a Venezia, dove fu alloggiato in casa Bexalù, per poi raggiungere il viceré ad Ancona con il salvacondotto della Signoria (1512). L'anno seguente il re Cattolico gli fece pagare 500 ducati per risarcirlo dei danni patiti nella rotta di Ravenna.
Alla morte di Ettore (1515), il F. ne ereditò i beni da ultimo posseduti: innanzitutto, i feudi di Camigliano e di Mignano, con il titolo di conte, e 600 ducati di rendita sui fiscali di Civitella d'Abruzzo.
Nel 1522 (viceré Charles de Lannoy) il F. venne nominato governatore della Capitanata e del contado di Molise. In questa veste si trovò a svolgere una molteplicità di competenze, tutte egualmente importanti: tenere i rapporti con le comunità locali, facendo da tramite fra queste e il potere centrale; soprintendere alla difesa del territorio e provvedere all'alloggiamento delle truppe; mantenere l'ordine pubblico, assolvendo anche a compiti di polizia giudiziaria.
Nel 1523 il F. fu costretto a trasferirsi a Manfredonia per seguire da vicino i lavori di fortificazione ordinati dal viceré e vi dimorò fino alla fine del mese di agosto.
Sottoposta alle pressioni dei nemici esterni, la Capitanata non fu immune in quegli anni neanche dalle tensioni interne. Il F. contrastò nell'agosto 1522 la ribellione di San Severo. L'anno seguente tentò di contrastare invano la diffusione della peste, comparsa a Taranto ai primi di marzo ed estesasi ben presto a tutta la Puglia.
Alla fine del 1523 il Lannoy, alla testa delle sue truppe, partì alla volta dell'Italia settentrionale, dove si giocava la partita decisiva per il possesso di Milano. Probabilmente il F. lo raggiunse in un secondo tempo; il 15 febbr. 1525 era di stanza a Capua, quando fu ordinato alla città di anticipargli 500 ducati per pagare gli uomini della sua compagnia. Non si hanno però notizie di una sua partecipazione alla battaglia di Pavia, vittoriosa per gli Imperiali. L'anno successivo militava in Lombardia insieme con il fratello minore, Alfonso; l'uno era comandante di una compagnia, l'altro suo luogotenente. Mentre l'esercito spagnolo era occupato al Nord, truppe della lega occuparono l'Abruzzo, dove L'Aquila, ribellandosi agli Spagnoli, aveva per prima dato avvio alla rivolta. Contemporaneamente, le forze guidate dal Vaudemont invadevano il Regno e giungevano sino ai sobborghi della capitale. Il grave pericolo fu sventato dal Lannoy, ritornato con massicci rinforzi a Napoli. Anche il F. deve aver fatto allora ritorno; nell'estate del 1527 era di nuovo a Mignano, che proprio in quel mesi vendé a Francesco Caracciolo per 5.050 ducati.
Il 1528 si apriva tragicamente per la monarchia spagnola, la cui presenza in Italia meridionale appariva minacciata dall'offensiva militare della Lega santa. Ingenti forze, capitanate dal visconte di Lautrec, invaso in febbraio l'Abruzzo, scendevano in direzione della Puglia; il 13 marzo fu occupata San Severo; tre giorni dopo toccò a Foggia. Isabella Castriota si rifugiò in Gallipoli; il F., invece, si portò a Manfredonia per prendere il comando della difesa. La città era assediata dai Franco-Veneti per terra e per mare, ma poteva contare su un buon presidio di soldati.
Nell'agosto del 1528 corse voce che Manfredonia era caduta e che il F. vi aveva trovato la morte; ma la diceria era priva di fondamento. Anzi, il nuovo viceré, principe di Orange, il 1º nov. 1528 restituì al F. i feudi di Roccadevandro e Camino (già di Ettore e poi resi a Federico di Monforte), proprio per i servigi da lui prestati nell'assedio di Manfredonia.
Fallito il tentativo del Lautrec di conquistare il Regno, il ritorno della pace e della tranquillità appariva ancora lontano. Le truppe spagnole continuavano a imperversare nella capitale e nella regione circostante. Nell'agosto 1529 i soldati di Fabrizio Maramaldo taglieggiavano la città di Capua, sotto la minaccia di porla a ferro e a fuoco. Gli eletti scrissero allora al F., che dimorava nel vicino castello di Mignano, chiedendogli di venire in soccorso dell'università e di intercedere in suo favore. Non si sa se il F. aderisse alla richiesta; in ogni caso, il suo intervento a nulla valse, perché le bande del Maramaldo continuarono a vessare Capua e le comunità contigue, finché non si spostarono altrove. Capitano di una compagnia di uomini d'arme, come attesta un pagamento a suo favore della Tesoreria su Firenze (12 dic. 1529), il F. partecipò all'assedio di Firenze nell'esercito comandato dal principe d'Orange.
Morì nel castello di Mignano (Caserta) il 28 sett. 1531. Fu sepolto nel monastero di Montecassino, dove la moglie gli fece erigere un monumento da Giovanni Merliano da Nola. Non lasciava eredi diretti, essendo già morta l'unica figlia Maria.
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