GUIDO
Ignoriamo il luogo e la data della sua nascita, che è da collocare nella seconda metà del sec. XII.
La tradizione che lo vuole appartenente alla famiglia romana degli Spatafora non è sostenuta da nessuna conferma documentaria, così come quella che considera un cognome l'ordinale secundus con cui già i contemporanei lo distinguevano da Guido (I), suo predecessore immediato sulla cattedra assisiate. Alla luce degli intensi rapporti successivamente intrattenuti da G. con la Sede apostolica e considerata la mancanza di attestazioni che ne riconducano l'origine all'ambito locale, si può sostenere in via del tutto ipotetica un intervento di Innocenzo III nella scelta del presule.
La cronotassi tradizionale dei vescovi di Assisi che ne fa iniziare l'episcopato nel 1204 è priva di fondamento, in quanto il suo predecessore, Guido (I), era ancora sicuramente attivo l'11 ott. 1208. Dato che la più risalente attestazione documentaria dell'episcopato di G. è del 14 sett. 1212, è impossibile stabilire con certezza l'inizio del suo episcopato. Tuttavia la prossimità di questa data con quella del ritrovamento, alla presenza di G., delle reliquie di s. Rufino patrono di Assisi (5 ag. 1212) e la contestuale assenza di precedenti attestazioni avvalorano l'ipotesi che il suo insediamento sia avvenuto in una data più prossima al 1212 che al 1208.
Tutto ciò comporta che non G., a torto considerato in sede storiografica come l'unico vescovo di Assisi che compare nelle fonti agiografiche relative a s. Francesco, ma il suo omonimo predecessore fu coinvolto sicuramente almeno nella vicenda della conversione di Francesco (1206). Si collocano, invece, nella zona d'ombra della cronotassi finora delineata i successivi episodi della biografia francescana che coinvolsero il vescovo di Assisi. Molto probabilmente non fu G. ma Guido (I) il prelato che incontrò Francesco a Roma e che ne agevolò l'accesso alla Curia (1209 o 1210). A favore di questa ipotesi depongono la relativa precocità dell'episodio rispetto alle prime attestazioni di G., nonché il fatto che gli agiografi esprimano un giudizio morale ampiamente positivo sul vescovo che vi compare. Tale apprezzamento corrisponde con quelli espressi a proposito del prelato che aveva assistito Francesco nei primi tempi della sua conversione.
Ben diverso il giudizio su G. che si rinviene nelle stesse fonti francescane relative al contrasto scoppiato tra lui e il podestà di Assisi, Carsedonio, nel giugno 1225, e risolto grazie all'intervento pacificatore di Francesco. G. è dipinto come un iracondo, che ammetteva l'inconciliabilità di questo suo vizio con l'umiltà richiesta dal suo ufficio. G. intrattenne buoni rapporti con Francesco, consigliandolo e ospitandolo a più riprese presso l'episcopio, ma anche nell'episodio, tramandato dagli agiografi francescani, dell'espulsione violenta di G. dalla cella dove Francesco stava pregando, perché il vescovo non era degno di vederlo, è implicito un giudizio negativo sulla figura del presule, che è forse da ricondurre alle relazioni conflittuali intercorse tra la dirigenza dei frati minori e G. nell'ultima fase della vita di Francesco e nei due anni nei quali il vescovo gli sopravvisse.
Tali contrasti erano forse originati dalla politica ecclesiastica di potenza perseguita da G., che si ispirava agli indirizzi elaborati da Innocenzo III e dal concilio Lateranense IV circa la necessità di ricompattare le circoscrizioni ecclesiastiche territoriali a detrimento degli Ordini religiosi esenti o che a ogni modo rivendicavano la propria autonomia dai vescovi. In questo senso riesce facile - per quanto senza prove certe - attribuire a G. il rifiuto opposto dal vescovo di Assisi a Francesco (circa 1210) che chiedeva una chiesa per la sua fraternità. Infatti anche nel seguito del suo episcopato G. aprì numerose vertenze contro gli enti religiosi presenti nella sua diocesi. Ostacolò in tutti i modi il passaggio di S. Apollinare sul Sambro (diocesi di Assisi) all'abbazia di S. Croce di Sassovivo, sebbene Innocenzo III fin dal 1212 avesse incaricato proprio lui di denunciare pubblicamente Enrico di Crescicompagna, che occupava illecitamente il monastero dopo aver malmenato i vescovi - tra i quali Guido (I) di Assisi - che dovevano restituire alla rete monastica folignate il cenobio. Dopo aver liberato dalla scomunica Enrico di Crescicompagna per ordine dello stesso Innocenzo III (20 apr. 1213), G. gli ordinò di presentarsi davanti a lui e di porre fine all'occupazione di S. Apollinare (25 maggio 1216), ma in realtà non sembra che egli fosse particolarmente ansioso di far eseguire il mandato papale che prevedeva la sottomissione di S. Apollinare a Sassovivo. La sua negligenza gli fu vibratamente rimproverata da Innocenzo III (30 apr. 1215), ma G. continuò a intromettersi nelle vicende del monastero con il quale aprì una vertenza la cui soluzione fu affidata a tali Bonomo, Forte e Gianni (12 ott. 1216). La lite dovette durare ancora poco, in quanto G. e i monaci che detenevano illegittimamente il monastero di S. Apollinare erano alleati contro il cenobio folignate. Così Angelo e Giacomo, rispettivamente priore e camerario di Sassovivo, in una lettera riservata, scritta fra l'estate 1218 e l'inverno 1219, mettevano in guardia il loro abate, che si trovava probabilmente a Roma, dalle trame ordite da G. in Curia, paragonandolo addirittura al demonio.
La sua politica di potenza non risparmiò i canonici assisiati di S. Rufino. La vertenza si concluse con l'arbitrato dei cardinali Ugolino di Ostia e Cencio di S. Lorenzo in Lucina (17 ag. 1217), confermato da Onorio III (8 marzo 1217). L'accordo consentì ai canonici e a G. di costituire un fronte unico contro le istituzioni comunali nella lotta per il possesso di consistenti beni sul monte Subasio. Proprio questi contrasti spiegano forse il già citato scontro del 1225 tra il podestà di Assisi e G., a cui Onorio III fornì il massimo appoggio, assegnandogli dapprima i beni detenuti dalla Sede apostolica sul monte Subasio e "in Torcella", la "curia Podii" e il castello di Sterpeto (1° apr. 1219), quindi la giurisdizione sul castello e sugli uomini di Colle Mancio (2 dic. 1223).
Già nel 1220 G. aveva ricondotto sotto la sua giurisdizione il convento di S. Uberto "de Monte Iano" che aveva tentato di dimostrare la propria esenzione. Si prolungò per tutto il suo episcopato la controversia con l'abbazia di S. Benedetto del monte Subasio, alla quale il cardinale Romano Bonaventura (1217) e Onorio III (1224) riconobbero l'esenzione, nonostante l'aiuto fornito a G. dal rettore del ducato di Spoleto, Alatrino. Non dissimile fu l'atteggiamento di G. nei confronti di una dipendenza di Nonantola, il priorato di S. Maria di Valfabbrica, che dovette difendere la propria esenzione nel 1227.
Inevitabile fu anche l'urto con l'ospedale assisiate detto "de Fontanellis", dell'Ordine dei crociferi bolognesi, che si proclamava del tutto esente, ma dovette cedere di fronte a una lettera di Onorio III (22 apr. 1224) che assegnava al vescovo notevoli prerogative di controllo sull'ente.
L'ospedale detto "de Pariete" nel 1224 rispose agli attacchi di G., accusandolo a sua volta di essere stato scomunicato tre anni prima per avere rubato un tino di vino e percosso un presbitero. Onorio III istruì un'indagine, il cui esito non ci è noto, ma la presenza di G. alla consacrazione della chiesa matrice di Bettona (19 ott. 1225) pare indicare che le accuse non sortirono alcun effetto.
G. morì il 30 luglio 1228.
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