GUIDO (Guido Fiorentino)
Nacque a Firenze, presumibilmente alla fine dell'XI secolo. Secondo Chacón (Ciaconius) discendeva dalla famiglia Bellagio, ma la notizia non è documentata; anche la sua talvolta supposta parentela con Gerardo di S. Croce di Gerusalemme (futuro papa Lucio II) non è provata.
La sua conoscenza della lingua francese - nonché del metodo scolastico nel risolvere problemi complessi di cui G. diede prova durante il suo cardinalato - mostra che egli compì la sua formazione in Francia. Non è certo se a Parigi sia addirittura stato allievo di Abelardo, del quale in seguito fu tra i difensori in Curia.
Fu creato cardinale prete di S. Crisogono da Innocenzo II (forse il 22 sett. 1139, forse già prima). Dal 10 genn. 1140 al 13 giugno 1157 G. compare regolarmente tra i sottoscrittori dei privilegi papali. Innocenzo II, Lucio II, Eugenio III e Anastasio IV lo impiegarono più volte in legazioni.
Il 3 apr. 1141 a Lucca G. compose una controversia a proposito dell'ordinazione del rettore di S. Maria "de Contatto", dopo aver chiesto il parere del vescovo di Lucca e del priore di S. Frediano. Nell'agosto 1144, insieme con Ubaldo, cardinale prete di S. Prassede, e con l'appoggio di Robaldo, arcivescovo di Milano, risolse una vertenza tra i canonici e i monaci di S. Ambrogio a Milano, sulla cui composizione era stato espressamente convocato un concilio a Novara. In seguito i due legati di Lucio II comunicarono la loro decisione con preghiera di conferma. Questa lettera, conservata nell'Archivio del capitolo di S. Ambrogio a Milano, merita particolare considerazione poiché è una delle due sole lettere di legati rimaste in originale.
L'11 marzo 1146, a Trastevere, G. - insieme con Ubaldo di S. Prassede, Ariberto, cardinale prete di S. Anastasia, e con il cardinale diacono Giovanni di S. Maria Nuova - pose fine a una vertenza tra l'arcidiacono Tedaldo e il prevosto Giovanni da una parte, e i canonici di Piacenza dall'altra, a proposito dell'ufficio del locale arcidiacono. Brixius e Zenker (pp. 62 s.) hanno identificato con G. il "Wido […] sancte Romane Ecclesie presbyter cardinalis licet indignus" che il 24 sett. 1139, per incarico di Innocenzo II, compose una lite a Piacenza tra il vescovo e il capitolo del duomo; Girgensohn ha però dimostrato che non si tratta di G., ma di Guido di S. Marco, futuro papa Celestino II. Cadono dunque anche le ipotesi secondo le quali G. in quel tempo si sarebbe non solo recato a Piacenza, ma anche trattenuto a lungo nell'Italia settentrionale.
L'incarico più significativo fu affidato a G. da papa Eugenio III nel 1147: insieme con Dietwin, cardinale vescovo di Porto, egli doveva rappresentare il papa e Bernardo di Chiaravalle alla seconda crociata. Dietwin e G. partirono alla volta dell'Oriente nel corso dell'estate 1147: dopo il 24 giugno quando entrambi sottoscrissero una bolla di Eugenio per Meaux, e probabilmente il 15 o 16 luglio, poiché Eugenio in una lettera spedita da Auxerre il 15 luglio 1147 comunicava al vescovo Enrico di Olomouc (Olmütz) la loro partenza, ed essi il 16 luglio non compaiono più tra i cardinali sottoscrittori.
Si è ritenuto che G. avesse incaricato il cardinale diacono Giovanni di S. Maria Nuova, cui lo avrebbe legato uno stretto rapporto di fiducia, di occuparsi dei suoi affari durante la sua assenza, e che abbia soprattutto pregato Giovanni di intercedere in favore di Vibaldo di Stavelot (Wibald von Stablo). Questa supposizione si basa su una lettera tramandata dall'epistolario di Vibaldo, non datata e assegnata dall'editore al 1147. In essa si parla effettivamente di G. e del suo "discessus" che può essere riferito alla partecipazione di G. alla crociata; non sono però documentati altri rapporti di alcuna specie di G. con Vibaldo; sappiamo invece con certezza che Vibaldo era in stretti rapporti con il cardinale prete Guido (Guido Pisano) che, da parte sua, nel novembre 1147 compì un lungo viaggio in Francia con il papa Eugenio III. La questione non può essere risolta senza un nuovo esame dei manoscritti.
G. e Dietwin ebbero il difficile compito di mediare tra il re tedesco e quello francese e di evitare tensioni tra i due eserciti. G. - probabilmente per la sua conoscenza della lingua - dovette accompagnare l'esercito francese, lo svevo Dietwin quello tedesco. Ambedue ebbero scarso successo nella conduzione del loro incarico e non poterono impedire gravi contrasti tra le singole componenti dell'esercito crociato.
Il giudizio in gran parte negativo che pesò per lungo tempo sui legati dipende soprattutto dal verdetto pronunciato da Giovanni di Salisbury. Nella sua Historia pontificalis (composta nel 1164 e basata su ricordi personali) Giovanni attesta che G. e Dietwin erano uomini onesti, ma che non erano stati preparati al loro gravoso compito: "viri quidem boni sed tanto officio minus idonei". Stando a Giovanni, sarebbero state soprattutto la natura erudita di G. e la sua inesperienza delle cose del mondo a portare all'insuccesso della sua attività di mediazione. La storiografia più recente chiama in causa come motivi del fallimento soprattutto l'insufficienza dei poteri conferiti ai due legati e l'enorme difficoltà del compito.
Il 24 giugno 1148, a Palmarea presso Acri, G. partecipò all'assemblea della Haute Cour, il Consiglio regio di Gerusalemme, nel corso della quale fu presa la decisione di assediare Damasco.
Dopo il fallimento della crociata G. - a differenza di Dietwin che alla fine del 1148 tornò in Italia - rimase alcuni anni in Oriente per tenere al corrente il papa sull'evoluzione degli avvenimenti e per tutelare gli interessi pontifici in Palestina e in Siria. Nel 1149 G. tenne un concilio in Oriente nel quale sospese il vescovo eletto di Tripoli.
Giovanni di Salisbury nell'Historia pontificalis fornisce a questo proposito un resoconto dettagliato, ma nondimeno impreciso: l'eletto, di cui non conosciamo il nome, aveva ripetutamente provocato l'indignazione di G., specialmente per aver ottemperato agli ordini del patriarca di Gerusalemme, invece che a quelli del legato papale. G. lo minacciò di annullare la sua elezione, cosa che fu impedita unicamente con una appellazione al papa. Il vescovo eletto di Tripoli si recò quindi a Roma dove fu ricevuto freddamente e dove gli fu ampiamente chiarito che doveva riconoscere il primato del papa e sottomettersi incondizionatamente agli ordini del legato papale. Il vescovo fece penitenza e fu quindi rispedito in Oriente, latore di una lettera del papa a G. in cui questo era invitato a reinsediare l'eletto nel suo ufficio e consacrarlo. Sugli esiti della vicenda non si sa nulla.
Il nome di G. ricompare il 10 apr. 1153 fra i sottoscrittori di una bolla pontificia.
Nella seconda metà di settembre 1154 G. fu inviato da Anastasio VI a Verona dove, insieme con Ubaldo di S. Prassede e con il patriarca di Aquileia, risolse questioni di proprietà e problemi di decime dei monasteri di S. Fermo e S. Rustico. Il 18 ottobre si trovava nuovamente in Curia.
Federico Barbarossa giunse a Roma nel giugno 1155 per ricevere la corona imperiale dalle mani di Adriano IV, dovette incontrare anche G., il quale fece una così positiva impressione sull'imperatore che, su richiesta dello stesso G., Federico compì non solo una generosa donazione alla sua chiesa titolare, ma fece anche a lui doni personali.
La data esatta di morte di G. non è nota. Bonadie, il suo successore, appare per l'ultima volta come cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria il 18 marzo 1158, ed è indicato come cardinale prete di S. Crisogono per la prima volta il 7 maggio 1158. G. deve essere morto nell'intervallo tra queste due date.
La personalità di G. e la sua attività per il Papato devono essere riprese in considerazione; Giovanni di Salisbury, che aveva espresso un giudizio così duro sull'operato di G. durante la crociata, ha dato una descrizione decisamente positiva della personalità di Guido. Da questa si deduce che G. conosceva - anche se poco - il francese, era generoso, di temperamento mite e linguaggio gentile, distinguendosi quindi nettamente dalla "superbia romana" imperante in Curia; era amante della cultura e dei libri, detestava il chiasso e l'irrequietezza, aveva un'aperta predilezione per la dialettica e le questioni filosofiche. Un giudizio su G. in una prospettiva moderna deve prendere in considerazione il fatto che egli deve aver posseduto eccezionali qualità diplomatiche e deve aver goduto della fiducia straordinaria di Eugenio III, che altrimenti non gli avrebbe affidato il difficile incarico di mediazione nella crociata né, dopo la partenza dell'esercito crociato, lo avrebbe ulteriormente incaricato della tutela degli interessi papali in Oriente.
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