VERNANI, Guido.
– Nacque a Rimini intorno al 1280; nulla si sa dell’identità dei genitori.
Entrato nell’Ordine domenicano in data sconosciuta, studiò teologia a Bologna; un soggiorno di studio a Parigi è probabile, ma non certo.
A partire dal 1310 ricoprì l’incarico di lector presso il prestigioso Studium annesso al convento domenicano di Bologna; nel 1312 fu consiliarius dell’Inquisizione bolognese. Nel 1317 fu destinatario di una donazione testamentaria da parte del conte di Ceneda, Tolberto da Camino (marito in seconde nozze della riminese Samaritana Malatesta). Nessuna delle opere di Vernani a noi pervenute in forma completa sembra essere riconducibile in modo diretto e incontrovertibile al suo periodo bolognese.
La critica è tuttavia convinta che alcuni excerpta rinvenuti nelle glosse marginali alla traduzione latina dell’Ethica nicomachea tràdita dal Vat. lat. 2996 possano essere riconducibili alla sua attività di docenza nella scuola domenicana di Bologna, e si configurino come reportationes del suo insegnamento. Questi frammenti sotto forma di adnotatio sono fondamentali per testimoniare gli interessi di carattere scolastico e scientifico, sotto il cappello di Tommaso d’Aquino, intorno all’Ethica di Aristotele: interessi diversi da quelli pedagogici o divulgativi che avrebbero accompagnato la stesura dei commenti aristotelici del periodo romagnolo.
Il rientro avvenne in data imprecisata, ma prima del 1324 o entro tale anno. Vernani compare infatti come esecutore di un testamento confezionato a Rimini, nel mese di dicembre, e ciò fa ritenere che all’epoca egli si trovasse nuovamente nel convento riminese di S. Cataldo, ove aveva ricevuto gli ordini.
Negli anni successivi ulteriori documenti, per quanto sporadici, ci mostrano Vernani come testimone di atti solenni del vescovo riminese e come beneficiario di lasciti testamentari. A Rimini rimase sino alla morte e ivi compose la maggior parte delle sue opere, assumendo una posizione di riguardo nel clero locale.
La produzione filosofica, teologica e politica di Vernani, negli anni successivi al suo rientro a Rimini, si colloca lungo due direttrici distinte: una attenta al contesto locale, riminese (si tratti dei signori della città ovvero dei ceti intellettuali cittadini); l’altra, che si colloca sul piano del dibattito fra il Papato e le forze politiche ghibelline.
Nel 1324 – la datazione è considerata plausibile dal recente editore (L. Cova, Il Liber..., 2011) – Vernani scrisse forse il Liber de virtutibus quae ad vitam verae militiae requiruntur; un’opera poco diffusa, tramandata da un unico manoscritto conservato a Venezia (Biblioteca Marciana VI 13) e dedicata ai signori di Rimini.
L’occasione fu fornita dalle nozze tra Galeotto, figlio di Pandolfo Malatesta (de Malatestis), ed Elisa della Valletta. Fu allora che venne riconosciuta la militanza antighibellina di Pandolfo e dei suoi figli Malatesta Antico e Galeotto, oltre che di Ferrantino e di suo figlio Malatestino Novello. La Chiesa conferì a costoro il titolo di milites: appunto all’honor militaris fa riferimento Vernani nel prologo del Liber.
Consiste in un trattato dedicato alle virtù necessarie per dedicare la propria vita alla vera milizia, quella del miles christianus che deve combattere per la giustizia, con tutta l’anima e fino alla morte. Appartiene all’ambito della dottrina morale e la sua fonte può essere identificata nella Summa theologiae.
La parte meno studiata della produzione di Vernani, ma che è stata oggetto di indagini in anni recenti da parte di Luciano Cova, è quella costituita dai commenti ad alcune opere di Aristotele (Ethica, Politica, Rhetorica, De anima, Physica), allestiti dopo il ritorno al convento riminese di S. Cataldo, una volta conclusa l’esperienza bolognese. Tali commentari si rivolgono a un pubblico di laici impegnati in diverse occupazioni e ai signori Malatesta di Rimini. Non può sfuggire il rilievo storico di questa operazione di ‘divulgazione’ da parte di Vernani che, superando i limiti della scuola, dedica i propri scritti filosofici a un più vasto pubblico di dotti, di non chierici. Dall’esame dei riferimenti interni alle opere possiamo datare i commenti aristotelici del periodo riminese di Vernani tra il 1324 e il 1334.
Tra i commenti svolti nell’ambito della scientia moralis, secondo Cova, il più antico dovrebbe essere quello alla Rhetorica trasmesso da tre codici, conservati a Erlangen (Universitätsbibliothek, 380, cc. 2r-76v), Firenze (Biblioteca Laurenziana, Ashburnham 249, cc. 1r-29v) e Venezia (Biblioteca nazionale Marciana, Lat. XI, 24 (= 3926), cc. 1r-29v).
Nella Sententia libri De anima, giuntaci grazie a due testimoni, uno in Francia (Parigi, Bibliothèque nationale, Nouv. acq. Lat. 1739, cc. 1r-74v), l’altro in Spagna (Valencia, Biblioteca del Cabildo de la Catedral, 47 [300], cc. 181r-232v), Vernani espone la sua proposta di esporre la filosofia di Aristotele con uno stile comprensibile per un pubblico desideroso di conoscere, ma impegnato in occupazioni e trattenuto dallo studio e dalla difficoltà dei testi, per accedere più facilmente all’intelligenza della verità.
Il prologo del De anima ci permette di sapere che con il suo commentario si inaugurò il programma di Vernani di trattare la scienza naturale; è successiva dunque la sua perduta opera, Sententia libri Physicorum, che alcuni antichi cataloghi registrano.
Il commentario aristotelico di Vernani che riscosse maggiore successo ed ebbe maggiore diffusione tra i contemporanei fu però la Sententia libri Ethicorum, nota generalmente con il titolo di Summa de virtutibus secundum Aristotelis sententiam o semplicemente Summa moralium, tramandata da ben quindici manoscritti, segnalati da René-Antoine Gauthier (1969, pp. 38 s.), Charles Lohr (1968) e Thomas Kaeppeli (1970-1980, nota 75). L’opera è stata studiata di recente da Cova (2006). Nel panorama italiano i commenti dell’Ethica Nicomachea composti nella prima metà del XIV secolo non godettero di grande fortuna, fatta eccezione proprio per la Summa de virtutibus di Vernani e per il Compendium moralium notabilium, composto nel 1310 dal giudice padovano Geremia da Montagnone.
Il commentario alla Politica di Vernani si presenta come una sorta di guida pratica, con finalità pedagogiche, basata su materiali eterogenei, che propone una certa frequenza di riferimenti all’attualità politica dell’Italia del XIV secolo. Nonostante il numero esiguo di codici che la tramandano, Jean Dunbabin (G. Vernani of Rimini’s Commentary..., 1988) ha messo in luce diversi temi di interesse del commento, che si trova trasmesso da tre manoscritti conservati a Padova (Biblioteca universitaria, 1574, cc. 36r-124v), Venezia (Biblioteca nazionale Marciana, Lat. VI, 94 [= 2492], cc. 57r-142v) e Valencia (Biblioteca del Cabildo de la Catedral, 47 [300], cc. 80r-179r). Anche in questo commento Vernani fa ampio uso di Tommaso d’Aquino. Nel testo emergono alcuni rimandi e un vivace interesse per le dinamiche delle autonomie cittadine, per la limitazione del potere dei governanti, per la rotazione nell’assunzione delle cariche. Si tratta di un atteggiamento coerente con la presa di posizione a favore del primato papale, a condizione che tale pluralità di autonomie cittadine e altri poteri locali riconoscesse la superiorità del pontefice.
Sull’altro versante, quello del dibattito tra i poteri universali, l’anno successivo al rientro a Rimini (1325) il vescovo di Rimini affidò a Vernani il compito delicato di annunciare pubblicamente, nella cattedrale di S. Colomba, il processo papale a carico di Castruccio Castracani, e la sentenza di scomunica con la quale si era concluso il procedimento. Negli anni di Vernani, e grazie alla sua opera di ardente difensore della potestas directa in temporalibus della Chiesa, Rimini divenne in effetti uno dei centri maggiori dello scontro in difesa della teocrazia papale e contro la teoria politica di Dante.
Vernani scrisse le sue due opere più significative in questa direzione – il Tractatus de potestate summi pontificis e il Tractatus de reprobatione Monarchiae compositae a Dante, al quale egli deve principalmente la sua fama – rispettivamente nel 1327 e negli anni fra il 1327 e il 1334.
Il De potestate summi pontificis viene infatti citato esplicitamente più volte nel De reprobatione, che ha come terminus ante quem il 2 giugno 1334, anno in cui venne bandito il cancelliere del Comune bolognese, Graziolo de’ Bambaglioli, cui il De reprobatione è dedicato.
Il De potestate summi pontificis appartiene a quel genere di trattati de potestate papae, che agli inizi del Trecento affrontavano il tema della teoria politica, discutendo le prerogative dell’ufficio papale e cercando di definirne le competenze non solo all’interno della Chiesa, ma anche nei confronti degli altri poteri temporali. In questo trattato trovano spazio posizioni che si confrontavano nel dibattito accesosi al tempo dello scontro tra Filippo IV di Francia e Bonifacio VIII, e poi rinfocolato dal lungo contrasto tra Giovanni XXII e Ludovico IV il Bavaro. Vernani non solo sostiene la superiorità del potere spirituale su quello temporale, ma giunge anche ad affermare che non esiste un potere legittimo al di fuori da quello instaurato dalla somma autorità spirituale; ne deriva che gli imperatori romani prima di Costantino non sono stati che usurpatori. In un breve capitolo Vernani difende anche la tesi per la quale il potere temporale non è necessario di per sé a reggere il popolo cristiano, mentre lo è ovviamente quello spirituale.
Il testo fu edito criticamente da Francis Cheneval nel 1995, sulla base di due manoscritti che tramandano anche il Tractatus de reprobatione Monarchiae e di un codice conservato a Firenze presso la Biblioteca nazionale.
Contraddistinta dallo stesso retroterra ideologico/teocratico della respublica christiana e dell’ordinatio ad unum è anche un’altra opera di Vernani, l’Expositio super decretali Unam sanctam, pubblicata da Martin Grabmann nel 1934 sulla base del manoscritto conservato a Firenze (Biblioteca nazionale centrale, Conv. Soppressi j.X.51, cc. 60r-69r). In quest’opera Vernani tende a corroborare la tesi di papa Bonifacio VIII, secondo cui la subordinazione al pontefice romano è condizione necessaria per la salvezza eterna.
Dopo tale edizione è emerso un nuovo testimone, anonimo, nel codice della Classense di Ravenna che trasmette anche la Monarchia dantesca e il De potestate summi pontificis di Vernani. Non siamo in questo caso di fronte a un’opera originale quanto piuttosto a un compendio. Ricerche ulteriori hanno infatti dimostrato che il commento all’Unam sanctam è una versione breve di un commento che circolava, anche anonimo o attribuito al teologo francescano Francesco di Mayronnes; sicché per la ricostruzione del pensiero politico di Vernani è preferibile continuare a dare la preminenza alle opere di originalità e paternità certa (Lambertini, 2011).
Risale agli anni successivi, come si è detto, il De reprobatione, la stesura del quale è certamente da porre in relazione certa con la condanna inflitta alla Monarchia dal cardinale Bertrando del Poggetto (che stando a Giovanni Boccaccio fece bruciare pubblicamente, a Bologna nel 1328, l’opera dantesca). Si tratta di un pamphlet indirizzato a Graziolo de’ Bambaglioli commentatore della Commedia e cancelliere del Comune di Bologna; raro caso di trattato dedicato a un laico, che fu anche una personalità di rilievo della cultura e della politica bolognesi. Si tratta di una scelta significativa: secondo Ruedi Imbach (2003), Vernani (che come si è visto si era pur rivolto al pubblico laico riminese, desideroso di venire a contatto con saperi filosofici e morali) intese con questa dedica contrastare Dante sul suo terreno, quello di una filosofia per i laici cui Dante intendeva rivolgersi, e scelse a bella posta un estimatore del poeta nonché commentatore della Commedia.
Non c’era in realtà una proposta politica alternativa a quella dantesca, nella riflessione di Vernani. Il De reprobatione non offre molto di più che la pars destruens del discorso politico, con la negazione dell’esistenza di un fine terreno dell’umanità e con la proposta del papa, invece che dell’imperatore, come sovrano universale.
Sono ben noti gli acerbi accenti polemici contro Dante. Sulla corretta interpretazione delle tesi che Vernani attribuisce ad Alighieri nella Monarchia, la critica ha espresso più di qualche riserva, anzi è emersa un’opinione concorde secondo cui Vernani male intende in diversi luoghi del trattato il pensiero di Dante.
La tesi generale del primo libro della Monarchia, la necessità, cioè, dell’impero, è accettata da Vernani, ma in modo diametralmente opposto a quanto concluso da Dante. Vernani riprende con vis polemica e in maniera puntuale le affermazioni da lui attribuite ad Alighieri e in particolar modo si scaglia contro quello che definisce «error pessimus», secondo cui «intellectus possibilis non potest actuari, idest perfici, nisi per totum genus humanum», convinzione che conduce Vernani ad accusare esplicitamente Alighieri di averroismo.
Diversa la situazione per quanto riguarda il secondo libro, la cui tesi generale è assolutamente rifiutata da Vernani che resta ancorato all’interpretazione agostiniana della storia di Roma, che difende contro Dante, secondo la cui tesi il popolo romano «de iure et non usurpative imperium acquisivit». Gli argomenti utilizzati da Alighieri vengono puntualmente confutati da Vernani, perché egli non ritiene di riscontrare nelle vicende della storia romana la presenza di Dio. Vernani è egualmente insensibile al valore dimostrativo di certe argomentazioni di Dante, mosse da profonda sensibilità giuridica, anzi confuta anche l’ultimo argomento del secondo libro della Monarchia, riguardante la legalità dell’Impero romano, rifiutandolo come «vile et derisibile argumentum».
Vernani confuta anche la tesi generale del terzo libro della Monarchia secondo cui l’autorità dell’imperatore deriva direttamente da Dio, poiché ciò comporterebbe l’autonomia del potere temporale da quello della Chiesa. Vernani a questo proposito difende al contrario la pienezza della potestas ecclesiastica in temporalibus del papa e riafferma che «solus dominus Iesus Christus et nullus alius fuit verus monarcha», tesi da cui deriva e conclude che la «Monarcha ergo mundi est summus pontifex Christianorum, generalis vicarius Iesu Christi».
Egli si oppone recisamente a Dante negando l’idea che la beatitudine terrena sia il fine ultimo dell’uomo in questa vita, come sostenuto da Alighieri nella Monarchia (III, XV 6), sovrainterpretando il pensiero di Dante riguardo al senso da assegnare al sintagma ad ultimum che Vernani carica di un significato assoluto ed eccessivo. Con il Tractatus de reprobatione Monarchiae Vernani intende confutare sistematicamente gli argomenti di Dante, in particolar modo la teoria dei duo ultima, secondo cui anche la felicità temporale, raggiungibile in questo mondo operando secondo le virtù morali e quelle intellettuali, costituisce per l’uomo un fine ultimo, non meno della beatitudine eterna, che le virtù teologiche permettono di conseguire nella vita ultramondana.
Il De reprobatione è tràdito da due manoscritti: il codice già personale possesso di Vernani e proveniente dal convento di S. Cataldo, conservato a Londra (British Museum, Cod. Add. 35325, cc. 2r-9v), e l’altro più tardo, il cui testo appare di qualità inferiore, conservato a Ravenna (Biblioteca Classense, Cod. 335, cc. 61v-65v).
Secondo la testimonianza di Pietro Maria Domaneschi (1767) la prima edizione a stampa del De reprobatione risalirebbe al 1741 (Roma, apud Palearinios), ma dal momento che tale edizione non è mai stata trovata, occorre fare riferimento, come prima stampa accessibile, all’edizione curata da Tommaso Agostino Ricchini nel 1746 sulla base del codice della Classense di Ravenna. Fondamentale resta l’edizione curata da Kaeppeli, nel 1938, che giustamente si valse del manoscritto londinese. Tale edizione è riprodotta anche da Nevio Matteini nel 1958. Le due edizioni sono state poste a confronto da Carlo Dolcini (1982); un’utilissima edizione commentata con traduzione italiana è stata curata da Paolo Chiesa e Andrea Tabarroni (Dante Alighieri, Monarchia, 2013).
Nulla è noto circa gli ultimi anni di vita di Vernani. L’ultimo documento che lo nomina in vita è del 20 gennaio 1344. Non è dunque conosciuta la data della sua morte.
Opere. T.A. Ricchini, Fr. Guidonis Vernani Ariminensis Ordinis Praedicatorum De potestate summi Pontificis et De reprobatione Monarchiae compositae a Dante Aligherio Florentino tractatus duo nunc primum in lucem editi, Bologna 1746; M. Grabmann, Studien über den Einfluss der aristotelischen Philosophie auf die mittelalterlichen Theorien über das Verhältnis von Kirche and Staat, München 1934; Th. Kaeppeli, Der Dantegegner Guido Vernani O. P. von Rimini, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XXVIII (1937-1938), pp. 107-140; N. Matteini, Il più antico oppositore politico di Dante: G. Vernani da Rimini. Testo critico del “De reprobatione Monarchie”, Padova 1958; J. Dunbabin, G. Vernani of Rimini’s Commentary on Aristotle’s «Politica», in Traditio, XLIV (1988), pp. 373-388; G. Vernani, Tractatus de potestate summi pontificis, in F. Cheneval, Die Rezeption der Monarchia Dantes bis zur Editio Princeps im Jahre 1559. Metamorphosen eines philosophischen Werkes, München 1995, pp. 423-445; L. Cova, Il Liber de virtutibus di G. Vernani da Rimini. Una rivisitazione trecentesca dell’etica tomista, Turnhout 2011; D. Alighieri, Monarchia, a cura di P. Chiesa - A. Tabarroni, Roma 2013.
Fonti e Bibl.: P.M. Domaneschi, De Rebus coenobii Cremonensis Ordinis Praedicatorum, Cremona 1767, p. 382; B. Nardi, Di un’aspra critica di fra G. V. a Dante, in Alighieri, VI (1965), pp. 42-47; Ch.H. Lohr, Medieval Latin Aristotle Commentaries, in Traditio, XXIV (1968), pp. 194-245; R.-A. Gauthier, Praefatio, in Thomas Aquinas, Sententia libri Ethicorum,a cura di R.A. Gauthier, in Opera omnia, XLVII, 1-2, l. I, Roma 1969, pp. 1-275; P.G. Ricci, V., G., in Enciclopedia dantesca, IV, Roma 1970, s.v.; Th. Kaeppeli, Scriptores Ordinis Praedicatorum Medii Aevi, I-III, Roma 1970-1980; R.-A. Gauthier, Praefatio, in Aristoteles, Ethica Nicomachea, Leiden-Bruxelles 1974; C. Dolcini, G. V. e Dante. Note sul testo del de reprobatione Monarchie, in Letture classensi, IX-X (1982), pp. 257-262; Ch. Trottmann, G. V. critique des Duo ultima de Dante: théories de la béatitude et conceptions du pouvoir politique, in Les philosophies morales et politiques au Moyen Âge, a cura di B.C. Bazán - E. Andújar - L.G. Sbrocchi, II, Ottawa 1995, pp. 1147-1159; R. Imbach, Dante, la filosofia e i laici, Genova-Milano 2003, ad ind.; A. Cassell, Logic and spleen: a post-mortem dialogue between Dante and G. V., in Alighieri, XXIV (2004), pp. 5-24; L. Cova, Felicità e beatitudine nella Sententia Libri Ethicorum di G. V. da Rimini, in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, XVII (2006), pp. 363-404; L. Cova, L’eredità tommasiana negli scritti etici di G. V. da Rimini, in Praedicatores, doctores. Lo Studium generale dei frati Predicatori nella cultura bolognese tra il ’200 e il ’300, a cura di R. Lambertini, in Memorie domenicane, XXXIX (2008), pp. 75-86; R. Parmeggiani, Studium domenicano ed Inquisizione, ibid., pp. 117-141; R. Lambertini, Cultura teologica dei frati mendicanti tra G. V. e Gregorio da Rimini, in Storia della Chiesa di Rimini, a cura di A. Vasina, II, Rimini 2011, pp. 371-390; Id., G. V. contro Dante: la questione dell’universalismo politico, in «Il mondo errante». Dante fra letteratura, eresia e storia, a cura di M. Veglia - L. Paolini - R. Parmeggiani, Spoleto 2013, pp. 359-369; L. Tromboni, G. V. de Ariminio, in Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi (500-1500), Firenze 2014, pp. 562 s.