SILVESTRI, Guido Postumo
– Ultimo di quattro figli, nacque a Pesaro nel 1479 da Guido di Bartolomeo e da Anna di Ludovico dall’Isola.
Nato dopo la morte del padre, ebbe l’appellativo di «Postumo», con il quale è generalmente conosciuto.
Nell’Epicedium in matrem Silvestri ricorda le affettuose cure materne e dà notizie sulla sua prima educazione: avviato agli studi da Giovan Francesco Superchi, detto Filomuso, e da Tommaso Foschi, passò diciassettenne allo Studio di Padova, dove conseguì la laurea in filosofia peripatetica e in medicina.
Agli studi filosofici è legato il suo esordio poetico: cinque distici in forma di dialogo, pubblicati in apertura dell’Expositio Egidii Romani super libros priorum analeticorum Aristotelis (Venetijs impensis Andreae Torresani, 1499). Durante il periodo di studi scoprì anche la poesia amorosa per una giovane chiamata Fannia, come la destinataria di versi amorosi di Giovanni Pontano.
Da quel momento l’esercizio poetico accompagnò gli impegni cortigiani e professionali di Silvestri e rappresenta primaria fonte autobiografica, oltre che preziosa testimonianza delle sue relazioni e di aspetti, anche mondani, della vita contemporanea.
Fannia non rimase pura voce poetica: dopo averne avuto un figlio, Enea, più tardi (1517) legittimato, Silvestri si unì con lei in matrimonio; tuttavia la donna morì precocemente nel 1500 e il dolore per la sua scomparsa divenne tema ricorrente nei versi degli anni successivi. Lo stesso anno fece ritorno in patria, benevolmente accolto da Giovanni Sforza, alla cui famiglia si riprometteva di dedicare in più matura età carmi epici. Ma sugli Sforza pesaresi incombeva la minaccia di Cesare Borgia, che, nell’ottobre, si impadronì di Pesaro e costrinse Giovanni alla fuga.
Silvestri ottenne ospitalità a Modena presso i fratelli Rangoni, figli di Bianca Bentivoglio, sorella di Giovanni, signore di Bologna. Qui probabilmente compose l’elegia Ad Pisaurenses, invitando i concittadini alla ribellione e denunciando i crimini dei Borgia. Egli stesso, in un’elegia indirizzata a Giulio de’ Medici, scrive di aver militato al servizio di Annibale Rangoni in Toscana, meritando la corona di quercia. Grazie all’intercessione dei Rangoni ottenne la cattedra di filosofia allo studio bolognese, certamente prima del 1505.
Testimonianza della notorietà poetica già allora acquisita è la partecipazione alle Collettanee grece, latine e vulgari per la morte di Serafino Aquilano (Bologna, per Caligola Bazalieri, 1504) con nove epigrammi in distici e un’epistola indirizzata al curatore della raccolta, Giovanni Filoteo Achillini. A Bologna compose anche una lettera gratulatoria per la parafrasi lucreziana di Raffaele Franchi (Raphaelis Franci Florentini in Lucretium paraphresis [sic]), stampata nel 1504 da Giovanni Antonio Benedetti.
Rimase al fianco dei Bentivoglio allorché questi furono cacciati da Giulio II (1506), militò per loro nei tentativi di riconquistare la città e finì imprigionato. Nutrì da allora un’acerba ostilità nei confronti del pontefice, anche se al momento ne implorò la clemenza con un’elegia Ad Iulium Secundum Pont. ut subiectis et victis parcat hostibus, che, a quanto pare, gli valse la grazia.
Passò quindi a Ferrara, al servizio del cardinale Ippolito d’Este, e dal 1510 al 1513 ricoprì la cattedra di medicina e filosofia. A Ferrara ebbe modo di coltivare l’amicizia con Ludovico Ariosto, che ne fece onorevole menzione nelle Satire (I, 30) e nell’Orlando furioso (XLII, 89), ricordandone la doppia competenza, poetica e medica. Nella primavera del 1511 fu per qualche tempo a Mantova, presso Isabella d’Este. A giugno seguì Ippolito nella sua missione in Francia e di qui inviò lettere di ragguaglio a Isabella. Tra il 1511 e il 1512 risulta a Bologna, segretario di Lucrezia Bentivoglio: a Isabella descrive per lettera il solenne ingresso in città del cardinale Federico Sanseverino e, quindi, il 16 aprile 1512, il miserando spettacolo dei luoghi dove si era svolta, pochi giorni prima, la cruenta battaglia di Ravenna. Nell’agosto gli fu affidato il governatorato della Garfagnana, dove si trovò a dover fronteggiare turbolenze militari; ma già il 25 settembre chiese al cardinal Ippolito di essere rimosso perché «infirmato de una febra continua trista» (Sforza, 1926, p. 105), e, a ottobre, aveva ormai lasciato quell’incarico. Negli anni successivi sono frequenti le notizie intorno alla cagionevole salute di Silvestri: nel marzo del 1515 Giovanni Antonio Flaminio (1744) si rammaricava di saperlo malato (p. 197).
Dopo la morte di Giulio II Silvestri diede sfogo al suo odio in un lungo carme di 308 faleci, di cui diede notizia in una lettera del 18 aprile 1513 a Isabella d’Este, invitata a leggerlo «a fine che la notasse se ben ho descripto li costumi di quella rabiosa tigre» (Renier, 1894, p. 257).
Nell’autunno del 1515 si recò presso i Della Rovere e si prestò a un delicato servizio a favore di Francesco Maria I e della moglie Eleonora Gonzaga, figlia di Isabella: a lui fu affidata la custodia dell’erede del Ducato, allora di appena un anno, di fronte alle minacce di Leone X, presto concretizzate con l’espulsione dei Della Rovere e l’attribuzione del Ducato di Urbino al nipote Lorenzo. Ne scrisse a Isabella il 21 ottobre 1515 dalla fortezza di San Leo (Luzio - Renier, 1893, p. 217).
Di nuovo a Ferrara, l’8 maggio 1516 scrisse a Isabella per discolparsi del sospetto di essere in procinto di pubblicare una raccolta di versi dedicata a Leone X anziché, come promesso, a lei stessa. Per soddisfare la richiesta del papa di poter leggere suoi versi, Silvestri avrebbe fatto allestire una silloge allo scopo, che, a sua insaputa, era stata arbitrariamente aperta da un’elegia dedicata al pontefice; l’equivoco, scrive, «presto se levarà perché io sono al presente dietro a rassettarlo per stamparlo intitulato a V. Ex.» (Renier, 1894, p. 258). L’edizione non si realizzò e a Ferrara, nel 1517, furono stampati solo due esili volumetti con l’elegia Ad Laedam e l’epicedio In matrem preceduto da una Praefatio a Isabella d’Este.
Nel settembre del 1517 era in procinto di seguire, seppur di malanimo, il cardinale Ippolito «in quella maledetta Ungaria» (p. 258). Ma, come l’Ariosto, riuscì a evitare quel viaggio periglioso trasferendosi a Roma, già nello stesso anno, presso la corte pontificia di Leone X, forse chiamatovi dal suo antico mecenate, Ercole Rangoni, nel frattempo assunto al cardinalato. Qui entrò nelle grazie del pontefice, di cui fu anche medico, e divenne uno fra i più apprezzati poeti di corte.
A Roma compose le elegie che più hanno attirato l’interesse degli storici moderni, dedicate alla descrizione della fastosa vita della corte pontificia: particolare fortuna godette la lunga elegia in cui è descritta una partita di caccia nella tenuta pontificia di Palo. L’acquisita fama poetica è testimoniata da numerosi contemporanei: Baldassarre Castiglione, ad esempio, lo introdusse come interlocutore nelle prime fasi redazionali del Cortegiano (poi lo escluse quando, nel corso della elaborazione dell’opera, la fama di Silvestri declinò).
Mentre era all’apice del successo cortigiano si accentuarono i sintomi della malattia che da tempo lo affliggeva: si ritirò allora a Capranica, contando sui benefici di un’aria più salubre, e qui morì nel 1521.
Ludovico Siderostomo curò la stampa postuma di un’ampia raccolta dei versi latini di Silvestri con il titolo Guidi Posthumi Silvestri Pisaurensis Elegiarum libri II (Bologna, per Girolamo Benedetti, 1524). Numerosi letterati contemporanei gli dedicarono versi e lo ricordarono con parole encomiastiche, da Antonio Tebaldeo (che ne compose l’epitaffio), a Paolo Giovio, a Marco Antonio Flaminio, a Benedetto Lampridio, ad Achille Bocchi; ma neppure mancarono giudizi maligni, in particolare da parte di Angelo Colocci e di Lilio Gregorio Giraldi che lo dichiarò poeta e medico mediocre, e dedito alle crapule (Giraldi, 1999, p. 98).
Versi di Silvestri sono diffusi in numerosi manoscritti; le due maggiori sillogi sono conservate presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Vaticano latino 3168 e Reginense latino 1371, dove si legge il carme contro Giulio II. L’erudito pesarese Domenico Bonamini si accinse intorno al 1770 a un’edizione completa e commentata, che non ebbe però esito a stampa, salvo che per la biografia del poeta: il suo lavoro, utile per chi si accingesse a una edizione moderna, è consultabile nei manoscritti della Biblioteca Oliveriana, 1076, 1077, 1078, 1079.
Fonti e Bibl.: Lettere di Silvestri sono conservate presso l’Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga (cfr. P.O. Kristeller, Iter Italicum, I, ad ind.): vari stralci sono editi da R. Renier, Dalla corrispondenza di G.P. S. Spigolature, in Nozze Cian – Sappa-Flandinet, Bergamo 1894, pp. 241-260; cinque lettere dalla Garfagnana, conservate nell’Archivio di Stato di Modena, sono pubblicate da G. Sforza, Documenti inediti per servire alla vita di Lodovico Ariosto, Modena 1926, pp. 102-105; sei lettere, indirizzate alla comunità pesarese nel 1519 (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 960, VI), sono edite da V. Cocco, Inediti di G.P. de’ S., in Studia Oliveriana, VI (1958), pp. 65-81 (vi è anche edito il carme contro Giulio II); per l’insegnamento bolognese cfr. G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori forestieri che in Bologna hanno letto teologia, filosofia, medicina e arti liberali, Bologna 1623, pp. 39 s.; per l’insegnamento ferrarese cfr. F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gymnasii, II, Ferrara 1735, p. 126; G.A. Flaminio, Epistolae familiares, Bologna 1744, pp. 197 s., 256. V. inoltre: B. Castiglione, La seconda redazione del “Cortegiano”, a cura di G. Ghinassi, Firenze 1968, pp. 235, 277; L.G. Giraldi, Due dialoghi sui poeti dei nostri tempi, a cura di C. Pandolfi, Ferrara 1999, pp. 98 s.; carmi di Silvestri e testimonianze di contemporanei si leggono in D. Bonamini, Memorie istoriche di G.P. S. pesarese, in Nuova Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, 1770, vol. 20, pp. 1-26; G.F. Lancellotti, Ludovici Lazzarelli Septempedani [...] Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque poetarum carmina, Aesii 1775, pp. 131-157; W. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X tradotta e corredata di annotazioni e di alcuni documenti inediti da [...] L. Rossi, Milano 1817, VII, pp. 188-196; VIII, pp. 184-210; D. Gnoli, Le cacce di Leone X (1893), in Id., La Roma di Leone X. Quadri e studi originali annotati e pubblicati a cura di A. Gnoli, Milano 1938, pp. 217-265; A. Luzio - R. Renier, Mantova e Urbino. Isabella d’Este ed Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Torino 1893, p. 217; A. Luzio - R. Renier, Cultura e relazioni letterarie d’Isabella d’Este, in Giornale storico della letteratura italiana, 1900, vol. 35, pp. 242-244; M. Catalano, Vita di Lodovico Ariosto, I, Genève 1930, pp. 198-201; V. Cocco, G. dei S. detto Postumo, in Studi urbinati di storia filosofia e letteratura - B, n.s., XXXIV (1960), pp. 124-175; S. Bertelli, Noterelle machiavelliane: un codice di Lucrezio e Terenzio, in Rivista storica italiana, LXXIII (1961), pp. 548 s.; P. Parroni, La cultura letteraria a Pesaro sotto i Malatesta e gli Sforza, in Pesaro tra Medioevo e Rinascimento, Venezia 1989, pp. 214, 221; U. Motta, Castiglione e il mito di Urbino. Studi sulla elaborazione del “Cortegiano”, Milano 2003, pp. 150-153, 162, 332-340.