PIOVENE, Guido
Scrittore, nato a Vicenza il 27 luglio 1907. Già critico dell'Ambrosiano e redattore di Pan, dal 1935 fa parte del Corriere della sera.
La narrativa del P., da Lettere di una novizia, Milano 1941 (anzi, per certi aspetti, già dai racconti della Vedova allegra, Torino 1931), a La Gazzetta nera, Milano 1943, a Pietà contro pietà, ivi 1946, appare ispirata da motivi di critica del costume, in una esplorazione lenta e minuta delle passioni, dei vizî umani, colti nel loro sinuoso trasformarsi o dissimularsi in virtù (a cominciare dall'egoismo così spesso atteggiato a pietà). Esplorazione che se si richiama, con sottile gusto letterario, agli esempî dei moralisti e romanzieri francesi del Sei e Settecento, proficuamente contaminati con quelli dei Russi e degli scrittori freudiani ed esistenzialisti; rivela poi nel narratore l'ansia di una ricerca soggettiva, di un personale riscatto. Di qui quel procedere della narrazione, entro una cornice apparentemente oggettiva, per monologhi - sia in forma epistolare, sia di diarî, di confessioni o demonici "esercizî spirituali" - dei protagonisti: come il loro subcosciente ha infatti bisogno, per giungere alla luce della coscienza, della prima persona; così lo scrittore si giova di quella cornice o ribalta non solo per graduare i modi di queste rivelazioni, ma per eludere, come in un giuoco o finzione scenica (i suoi romanzi hanno spesso una cert'aria di melodramma, con ruoli e "caratteri" prestabiliti), quel di più di autobiografico che urge al fondo della sua arte. La quale, se è insidiata da un eccesso di casistica, trova le sue soluzioni più felici là dove il paesaggio, gli "esterni", sfumati in toni elegiaci, più intimamente si accordano con il coro dolente delle cose.
Bibl.: G. A. Borgese, in Corriere della sera, 1° novembre 1931; G. Bellonci, in Il Giornale d'Italia, 11 maggio 1941, 3 settembre 1946; A. Piccone Stella, in Il Messaggero, 8 luglio 1941, 17 giugno 1943; E. Cecchi, in N. Antologia, 1° marzo 1942; P. Pancrazi, Scrittori d'oggi, IV, Bari 1946; A. Bocelli, in Il Tempo, Roma, 30 giugno 1946.