PEPOLI, Guido
PEPOLI, Guido. – Nacque a Bologna il 5 maggio 1560 da Cornelio, conte di Castiglione, e da Sulplizia Isolani dei conti di Minerbio. Apparteneva a uno dei lignaggi bolognesi più importanti, posto a capo di un’estesa fazione cittadina sin dal XIV secolo, ma che non era solito puntare alle carriere ecclesiastiche di alto livello. Pepoli, invece, facilitato dalla parentela con la famiglia di Gregorio XIII (un suo lontano cugino, il conte Girolamo Pepoli, aveva sposato Angela Boncompagni, figlia di un fratello del papa), dopo la laurea in diritto civile e canonico presso lo Studio di Siena intraprese decisamente il cursus honorum della Curia pontificia: fu referendario di entrambe le Segnature, protonotario apostolico partecipante e, dal dicembre 1584, chierico della Camera apostolica.
In questa veste, dopo che il pontefice era morto ed era succeduto al soglio Sisto V, egli si trovò coinvolto nella vicenda giudiziaria dello zio Giovanni Pepoli (arrestato all’inizio di agosto 1585 per favoreggiamento del bandito Grazino, o Gracino, e per non aver riconosciuto la giurisdizione pontificia sul suo feudo di Castiglione). Pepoli prese sollecitamente contatto con i cardinali Girolamo Rusticucci e Michele Bonelli (tra i più influenti rappresentanti del Collegio, all’inizio del pontificato Peretti). Nonostante il loro intervento presso il pontefice, la vicenda si concluse però con la repentina esecuzione del consanguineo (nella notte fra il 30 e il 31 agosto del 1585).
Il drammatico caso occorso allo zio non pregiudicò eccessivamente la posizione di Pepoli. Dopo che, nel settembre 1586, suo fratello Filippo ebbe ottenuto il seggio senatorio che era appartenuto al condannato, Guido fu nominato il 2 marzo 1587 tesoriere generale della Camera apostolica. Si trattava di una carica venale, che il pontefice poteva rendere disponibile creando cardinale chi la ricopriva. Succedendo a Benedetto Giustiniani (creato cardinale il 16 dicembre 1586), Pepoli corrispose 60.000 scudi d’oro (72.000 scudi di moneta) all’Erario pontificio.
Durante l’esercizio della sua carica, egli si mantenne in posizione piuttosto defilata, stretto tra la figura del cardinale camerlengo (dapprima Filippo Guastavillani, poi – dal 10 settembre 1587 – Enrico Caetani) e i depositari generali, i banchieri genovesi Castellino e Giovan Agostino Pinelli, che materialmente curavano l’esecuzione degli ordini di spesa da parte del pontefice. È inoltre documentato che Pepoli fu attivo nelle operazioni di collocazione sul mercato dei luoghi del Monte Sisto, eretto nel maggio 1587 con un capitale di 500.000 scudi. Poteva intervenire in modo più visibile nelle materie che riguardavano la sua città natale: nella primavera del 1588, quando Bologna ebbe l’autorizzazione a far arrivare grano dalla Romagna, incaricò Cristoforo Tanari di sorvegliarne la distribuzione in città. Quando poi Sisto V permise agli ebrei di tornare ad avere attività economiche a Bologna, fu Pepoli a imporre alcune condizioni (come quella che gli ebrei non potessero comunque essere proprietari di immobili e che fossero obbligati a portare un segno giallo sugli abiti, come previsto dalle norme allora vigenti). Infine, in occasione di un contrasto circa la competenza sulla gestione delle locali prigioni tra l’appaltatore dei servizi carcerari nello Stato della Chiesa (Giovanni Battista Gigli) e le autorità cittadine, Pepoli protesse le ragioni del Senato bolognese.
Nel novembre 1588 iniziarono a spargersi voci insistenti circa una sua promozione a cardinale (fra gli scommettitori, la sua nomina era pagata il 40% di quanto puntato). Effettivamente, Sisto V lo creò cardinale diacono nel concistoro del 20 dicembre 1589; Pepoli ricevette il titolo dei Ss. Cosma e Damiano il 15 gennaio 1590.
La notizia della sua designazione fu salutata da liriche celebrative: uscirono a Venezia a cura di Niccolò Angelini le Compositioni di molti chiari et illustri ingegni nell’assuntione dell’illustrissimo et reuerendissimo sig. Guido Pepoli al cardinalato (presso Girolamo Polo, 1590); anche lo scrittore Giulio Cesare Croce compose un Canto in dialogo tra il Reno, et Felsina. Sopra le allegrezze fatte per la creatione dell’illustrissimo, & reuerendiss. cardinale Guido Pepoli (pubblicato a Bologna da Giovanni Rossi nel 1590).
Nonostante gli ininterrotti legami con Bologna (Pepoli manteneva infatti tenute agricole nel territorio, che dava in locazione), egli non fu mai il referente del ceto dirigente felsineo all’interno della corte pontificia: gli erano preferiti altri membri del Collegio (Giovan Antonio Facchinetti, Gabriele Paleotti, Filippo Guastavillani). Pepoli, che era in condizioni finanziarie tanto precarie da dover accettare un prestito di 60.000 scudi al 6,5% annuo dal Monte dei baroni (istituito il 21 marzo 1591), era piuttosto percepito come un membro della fazione cardinalizia stretta attorno al nipote del pontefice Alessandro Damasceni Peretti. In effetti, durante i tre conclavi del 1590-91, che portarono all’elezione di Urbano VII, di Gregorio XIV e di Innocenzo IX (il citato Facchinetti), Pepoli si confermò fedele seguace del cardinal Montalto. Nello stesso schieramento affrontò anche il conclave del gennaio 1592 che portò all’elezione di Ippolito Aldobrandini (Clemente VIII), cardinale creato da Sisto V e bene accetto alla fazione dell’antico cardinal nipote.
I rapporti con Clemente VIII non furono però particolarmente fruttuosi per Pepoli (che dal 6 febbraio 1592 fu cardinale diacono di S. Eustachio). La sua condotta di vita appariva agli osservatori poco in linea con il modello di cardinale che la nascente Controriforma stava imponendo: il poeta e traduttore inglese Robert Tofte, che fu a Roma durante i primi anni del pontificato Aldobrandini, descrive Pepoli addirittura come un frequentatore della vita serale, pronto all’eccentricità o alle galanterie. Le ristrettezze finanziarie lo fecero però presto ritirare dalla mondanità (Pepoli abitava a Roma in un palazzo nei pressi dell’attuale piazza Nicosia che, intorno al 1592, per qualche tempo sembrò dover diventare la sede del Seminario romano). Così, trascorse l’estate 1595 a Soriano nel Cimino. All’inizio di agosto, gli arrivò il sostegno delle rendite dell’abbazia di S. Solutore, presso Torino (beneficio concessogli dal pontefice non senza opposizioni da parte della corte sabauda), quindi, a metà settembre, fu nominato governatore di Tivoli. Pur ringraziando calorosamente, mentre accettava l’incarico non poté fare a meno di notare «una certa difficoltà […] per conto d’interesse pecuniario» (Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, Serie III, 102e-f, c. 16r, Pepoli al cardinale Pietro Aldobrandini, Soriano, 19 settembre 1595).
La materia finanziaria continuava a impensierirlo non poco: qualche settimana dopo domandò a Clemente VIII l’autorizzazione a vendere fuori dello Stato della Chiesa 300 rubbia di grano (pari a 650 q circa) e 60 rubbia di miglio (130 q) raccolti in alcuni suoi poderi presso Sezze (Pepoli aveva infatti preso parte ai progetti di bonifica dell’Agro pontino varati da Sisto V e possedeva tenute in quel territorio).
Anche il primo impatto con il governo di Tivoli non fu pacifico: presto lamentò che le cause già istruite nel suo tribunale erano spesso sottratte alla sua competenza e fatte conoscere dai tribunali romani; per questo vietò ogni trasferimento di processi senza ordine espresso di Clemente VIII o del cardinal nipote Aldobrandini: altrimenti, egli argomentava, «non sarebbe differenza alcuna da un dottor governatore ad un cardinale al quale non conviene patire questa indecentia» (ibid., c. 25r, Pepoli al papa, Tivoli, 20 dicembre 1595).
Nel luglio 1596 (dopo che in gennaio aveva optato per il titolo di S. Pietro in Montorio) la situazione precipitò: la Camera apostolica prese possesso di Castiglione nel Bolognese (per quanto attinente alla quota di proprietà di Pepoli); il papa decise di affidare l’esecuzione del provvedimento al cardinale Bartolomeo Cesi, anch’egli ex tesoriere generale. Pepoli rientrò a Roma verosimilmente intorno alla metà del 1597; dovette allora avvicinarsi ai padri barnabiti.
Quando morì, il 15 gennaio 1599, volle essere sepolto nella loro chiesa romana di S. Biagio all’Anello (di cui aveva rivestito il titolo cardinalizio da giugno a dicembre 1595).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Camerale I, bb. 935-936, 1570; Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, Serie III, 102 e-f, cc. 13r-16r, 24r-25v; 108 f-g, c. 206r; Die Hauptinstruktionen Clemens’ VIII (1592-1605), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1984, ad indicem.
B. di Galeotti (pseud. di F. Bianchi), Trattato degli huomini illustri di Bologna, Ferrara, per Vittorio Baldini, 1590, p. 55; C. Faleoni, Memorie historiche della Chiesa bolognese, Bologna 1649, p. 629; F.L. Barelli, Memorie dell’origine… della Congregazione dei chierici di San Saolo chiamati volgarmente Barnabiti, I, Bologna 1703, p. 270; G. Gozzadini, Giovanni Pepoli e Sisto V. Racconto storico, Bologna 1879, pp. 261-264, 364, 374, 378; L. von Pastor, Storia dei papi, X, Roma 1942, ad ind.; Mandati della Reverenda Camera Apostolica (1418-1802). Inventario, a cura di P. Cherubini, Roma 1988, pp. 53, 123; A. Gardi, Lo Stato in provincia. L’amministrazione della Legazione di Bologna durante il Regno di Sisto V (1585-1590), Bologna 1994, ad ind.; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato Pontificio, 1550-1809, Roma 1994, pp. 402, 834; Genealogien zur Papst-geschichte, a cura di Ch. Weber, II, Stuttgart 1999, p. 741; N. Reinhardt, Macht und Ohnmacht der Verflechtung: Rom und Bologna unter Paul V., Tübingen 2000, ad ind.; L. Testa, Fondazione e primo sviluppo del Seminario romano (1565-1608), Roma 2002, pp. 244 s.; L. Sickel, Laura Maccarani, una dama ammirata…, in Mélanges de l’École française de Rome. Italie et Méditerranée, CXVII (2005), pp. 331-350, in partic. p. 334; Offices et Papauté (XIVe-XVIIe siècle). Charges, hommes, destins, a cura di A. Jamme - O. Poncet, Roma 2005 (in partic. N. Reinhardt, Bolonais à Rome, Romains à Bologne? Carrières et stratégies entre centre et périphérie, pp. 237-249; M.C. Giannini, Note sui tesorieri generali della Camera apostolica, pp. 859-883).