PAJETTA, Guido
PAJETTA, Guido (Azzone Paolo Giuseppe). – Nacque a Monza l’8 febbraio 1898 da Augusto e da Pellegrina Fabbiani, in una famiglia di pittori veneti: il nonno Paolo (1809-1879) aveva una fiorente bottega di frescanti nella quale si formarono i figli Pietro (1845-1911) e Mariano (1851-1923; Pajetta, 2009, p. 1217).
Da bambino studiò prima violino e poi pianoforte (ibid., p. 76), ma dimostrò un precoce interesse per la pittura. I primi lavori mostrano una notevole padronanza dei fondamenti del linguaggio pittorico, la conoscenza della pittura realista e della Scapigliatura lombarda, oltre a una notevole abilità nell’uso della spatola, senza rinunciare alle sfumature atmosferiche dei colori degli elementi naturali (di lontana influenza veneta) e alla prospettiva: si vedano gli oli su tela Processione sulla spiaggia e Al pascolo (1914, Milano, Collezione Pajetta; ripr. in Crispolti, 2009, pp. 18, 69).
Nel 1915 e nel 1916 si iscrisse al Primo e Secondo corso comune della Regia Accademia di belle arti di Brera, dove ebbe come maestri due pittori della Scapigliatura milanese, Camillo Rapetti e Vespasiano Bignami. Nel 1917 ricevette il primo premio al Secondo corso artistico di pittura. Nel marzo venne arruolato nel 60° reggimento di fanteria; poi durante la ritirata sul Piave si ammalò e venne ricoverato alcuni mesi presso un ospedale militare a Parma (Pajetta, 2009, p. 1217).
Terminata la guerra, nel 1919, riprese gli studi iscrivendosi al Terzo corso comune della Regia accademia di Brera per allievi reduci di guerra o ancora sotto le armi. Nell’agosto dello stesso anno venne traferito all’81° reggimento di fanteria in servizio di ordine pubblico postbellico (ibid., p. 1217). Ancora in servizio, nel 1920 si iscrisse alla Scuola di disegno dal nudo presso la Regia Accademia di Brera, corso tenuto da Ambrogio Alciati. In maggio si congedò dall’esercito con una menzione d’onore, ma riportando sofferenze che lo costrinsero nel tempo a sottoporsi a varie cure psichiatriche (Pajetta, 2013, pp. 38, 85). In Accademia frequentò, tra gli altri, Fausto Melotti, Arturo Carena e Bruno Fontana (cugino di Lucio). Nell’ottobre dello stesso anno si iscrisse al Primo corso di pittura dell’Accademia, sempre sotto la guida di Alciati, come fece anche l’anno successivo. Nel 1922 si diplomò in pittura, con menzione onorevole, e poi per alcuni anni girò il Veneto alla ricerca delle radici dell’arte della sua famiglia: a Padova vide i dipinti dello zio Pietro e a Verona frequentò per alcuni mesi l’altro zio Mariano e il cugino Mario Paolo (Pajetta, 2009, p. 1218).
Nel 1925 partecipò all’Esposizione nazionale d’arte della Regia accademia di Brera e Società per le belle arti a Milano. In questi anni ritornò a frequentare con costanza gli artisti milanesi e conobbe Anselmo Bucci e Mario Sironi, fondatori di Novecento, cresciuti nella Parigi modernista (ibid., pp. 1218-1221). L’influenza di questo gruppo, e di Sironi in particolare, fece virare la pittura di Pajetta dalla matrice del colorismo veneto, ereditata dalla famiglia, a quella, appresa con lo studio, del sintetismo volumetrico derivato da Masaccio e Piero della Francesca, conservando a volte un profilo sfrangiato delle forme: si vedano gli oli La modella e l’uomo con la mela, del 1928, nella collezione M. Stoppani di Milano o altri più palesemente sironiani, come le Bagnanti del 1933 della collezione Pascale di Alba (entrambi ripr. in Crispolti, 2009, pp. 34, 83).
Nel 1928 partecipò alla XVI Biennale di Venezia (dove fu presente costantemente fino al 1932) e alla I Mostra regionale d’arte lombarda. In quel periodo conobbe Lucio Fontana e iniziò la collaborazione con il gallerista Massimo Cassani (durata fino al 1982), stabilendosi nei locali attigui alla sua ditta di produzione di cornici e opere di belle arti, insieme all’amico scultore Arturo Carrera (Pajetta, 2009, pp. 1221 s.). Nel 1930 partecipò all’Esposizione d’arte italiana di Barcellona e collaborò come illustratore a Il secolo XX. L’anno seguente espose alla I Quadriennale di Roma (poi anche nel 1935, 1939 e 1948) e dal 1932, quando partecipò alla III Mostra d’arte del sindacato lombardo (Biennale di Brera), ottenendo elogi da parte di Sironi, iniziò a presenziare con regolarità alle esposizioni sindacali lombarde (ibid., pp. 1222-1224).
Nei primi anni Trenta iniziò periodicamente a recarsi a Parigi (Pajetta, 2013, p. 55) per studiare le opere dei protagonisti dell’arte francese, come Paul Gauguin, Henri Matisse, Pierre Bonnard, Henri de Toulouse-Lautrec e Claude Monet, fino ad allora viste solo durante le biennali veneziane, stabilendo contatti con artisti e galleristi. Nel 1933 la galleria Milano, nell’omonima citta, gli dedicò un’esposizione personale, come fece anche l’anno seguente: da quel momento iniziò a seguire la sua evoluzione artistica Carlo Carrà (1933, pp. nn.).
Nel 1934 partecipò alla V Mostra del Sindacato regionale fascista a Milano, esponendo Sogno pompeiano (1934; Milano, collezione R. Stoppani; ripr. in Crispolti, 2009, p. 114) in cui emerge quell’ironia verso la classicità e l’accademismo incarnati dal gruppo Novecento, dal quale la sua poetica si era appena allontanata. Nello stesso anno presentò le sue opere presso la galleria Maria Kunde di Amburgo e venne invitato a partecipare alla Biennale di Venezia con l’opera Piazza Venezia (1934; Brescia, collezione Pajetta; ripr. ibid., p. 115), ma venne escluso perché si ritenne che il quadro nascondesse accenti polemici verso il regime. Nel 1935 prese parte alla Mostra d’arte italiana a Budapest e si recò nuovamente a Parigi, dove la galleria Le Niveau gli organizzò una mostra (poi anche nel 1937 quando conobbe Giorgio De Chirico; Pajetta, 2009, pp. 1225-1227), nella quale espose opere di matrice surrealista-organicista, che conservavano una forte componete segnica: in alcuni lavori sono evidenti le influenze dei collage di Braque e Picasso, in altri un’adesione palese alle invenzioni onirico-mitologiche di De Chirico e della Metafisica (cfr. Crispolti, 2009, pp. 92-96, 102-104). Nella capitale francese conobbe gli artisti della Scuola di Parigi, entrando in contatto con Raoul Dufy in particolare e con i Fauves, che influenzarono molte sue opere. Nel 1936 firmò un contratto di esclusiva con l’amico gallerista Cassani, espose alla galleria Il Milione e a Berlino presso la galleria F&F.
Nel 1938 sposò la sua modella Maria Panizzutti e trasferì il suo studio presso l’abitazione di via Borgonuovo 31, a Milano. Nel 1940 tenne una personale alla galleria Gian Ferrari, partecipò al Premio Bergamo (poi anche nel 1941 e 1942) e diventò padre di Augusto (Pajetta, 2009, pp. 1227 s.). Nel 1941, nelle opere presentate alla galleria Grossetti a Milano rivelò pienamente gli echi della pittura postimpressionista, bonardiana e matisseiana in particolare, maturata durante i soggiorni parigini (Crispolti, 2009, pp. 187, 192). Nel 1942 nacque il suo secondogenito Giorgio. L’anno seguente ebbe Massimo, il suo ultimo figlio e, a causa della guerra, la famiglia si trasferì sul lago di Como a Tremezzo, accanto alla villa di Tito Fontana, fratellastro di Lucio (Pajetta, 2009, p. 1228). In questo periodo si accostò alle modalità pittoriche del Chiarismo lombardo, movimento formatosi attorno ai suoi compagni d’accademia circa dieci anni prima (Crispolti, 2009, p. 197).
Nel 1946 ritornò a Milano, trasferendosi in via Cadore n. 43, dove, a causa dell’esperienza bellica, delle devastazioni urbane e della miseria della popolazione, mutò il suo registro stilistico. Nel 1947, anno in cui espose alla galleria S. Spirito a Milano (nel catalogo il suo testo Caro visitatore), si creò una frattura fra la pittura chiarista-neofauve e le nuove modalità linguistiche espressioniste (definizione che però l’artista ricusava; Pajetta, 2013, pp. 187). L’anno seguente espose alla galleria Drouant-David di Parigi (Pajetta, 2009, p. 1231). Fra i lavori della fine degli anni Quaranta non mancano colori cupi (nero e ombre pesanti), a sottolineare il dramma dei soggetti: si vedano Deposizione (1949; Milano, Museo diocesano) e Pietà (1949; Milano, coll. priv., ripr. in Crispolti, 2009, p. 284).
Nel 1952 si recò per la prima volta a Londra, dove venne influenzato dalla nuova figurazione inglese (Henry Moore, Francis Bacon e Graham Sutherland): tenne una mostra con Emilio Greco presso Roland Browse and Delbanco (poi ancora nel 1955, 1957, 1960, 1963). Nel 1953 la galleria Gussoni di Milano ospitò una sua esposizione (Pajetta, 2009, p. 1233). Nei primi anni Cinquanta i temi dei Nudi e delle Bagnanti rivelano un profondo studio degli analoghi soggetti di Auguste Renoir, Paul Cézanne e Picasso: prevale un linguaggio sintetico postcubista, che ha perso gran parte della rigidità tipica della pittura del gruppo Novecento (cfr. Crispolti, pp. 383-385). Da Picasso mutua anche i soggetti degli Arlecchini e delle Maschere, spunti per opere di intensa drammaticità e lirismo.
Nel 1954 gli venne conferito il premio Lorenzo Delleani. Nel 1958 tenne una mostra presso la galleria Sacerdoti di Milano (poi ancora nel 1960) e l'anno seguente un'altra alla galleria Fogliato di Torino (Pajetta, 2009, pp. 1233-1235): in questi anni abbandonò la cromia accesa in favore di una grafia più corsiva e abbozzata (Crispolti, 2009, p. 529).
Nel 1963 aprì un secondo studio a Sestri Levante, dove, fra il 1963 e il 1972, dimorava stabilmente in primavera e in estate (Pajetta, 2009, p. 1235). Qui, nella prima metà degli anni Sessanta, realizzò alcune marine improntate a uno spiccato lirismo, che rivela anche l’eco dell’impressionismo monetiano (ripr. in Crispolti, 2009, p. 703 s.). Nel 1963 espose presso la galleria del Lauro a Milano (poi, con cadenza regolare, anche nel 1966 e nel 1968, fra il 1970 e il 1974, fra il 1977 e il 1982).
Nel 1967 prese parte alla XXV Biennale nazionale d'arte di Milano e iniziò a usare i colori acrilici, abbandonando progressivamente la pittura tonale e arrivando a spremere direttamente il tubetto di colore sulla tela (Pajetta, 2013, pp. 177-183). Nel 1973 tenne una personale alla galleria A. G. di Milano e nel 1976 un’altra, con un testo di autopresentazione, alla Galerie Walcheturm di Zurigo (in questo periodo iniziò a non accettare che fosse un critico ad analizzare la sua pittura, rifiutando anche il contatto con il pubblico).
Nel 1981 si ammalò gravemente e dovette osservare periodiche astinenze dal lavoro: aumentò la sua depressione e nelle tematiche si alternarono espressioni di vitalità all’angoscia e al dolore (come nei dipinti dedicati ai temi della vecchiaia e dell'infanzia); una sofferenza meditata per tutta una vita attraverso la lettura di Nietzsche, Rilke, Beckett. Nelle sue ultime opere pittoriche il segno si fece molto più rigido e spesso nero (Id., 2009, pp. 1237 s.) .
Morì a Milano il 15 febbraio 1987.
Fonti e Bibl.: Brescia, Archivio Guido Pajetta; Giorgio Pajetta, G. P. Viaggio al termine della pittura (dattiloscritto, Brescia 15 febbraio 2013; con bibl.); Roma, Galleria nazionale d’arte moderna, Archivio Bio-iconografico, b. Guido Pajetta; C. Carrà, P. e Benvenuti, in L’ambrosiano, 12 gennaio 1933; P. Levi, Curioso inquieto P., in Capital, febbraio 1990, pp. 153-157; A. Negri - P. Rusconi, Verso il “Novecento”, in G. P. fra primo e secondo Novecento, a cura di P. Biscottini - E. Crispolti - A. Negri (catal.), Milano 2003, pp. 15-30; E. Crispolti, G. P. catalogo generale ragionato dei dipinti, I-II, Milano 2009; Giorgio Pajetta, Biografia, ibid. II, pp. 1217-1238 (con bibl.); G. P. interprete dell’arte figurativa del Novecento, a cura di L. Sansone, Milano 2011.