ORLANDI, Guido
ORLANDI, Guido. – Nato attorno al 1264 probabilmente a Firenze, identificabile con un figlio di Orlando di Guido di ser Orlando della famiglia magnatizia fiorentina dei Rustichelli, ricoprì incarichi pubblici dal 1290. Il padre (ascritto agli Anziani nel 1254) e il fratello Tedaldo furono entrambi giudici e notai.
Dell’Arte di Calimala, fu tra gli approbatores securitatum Magnatum (approvatori delle cauzioni dei magnati) in carica tra gennaio e marzo 1290 e appartenne al Consiglio delle capitudini delle dodici arti maggiori nel 1292. Si ha notizia di suoi interventi al Consiglio dei cento tra il 1294 e il 1296 e di altri incarichi a fine Duecento. All’inizio del XIV secolo era apertamente schierato con i guelfi Neri e nel 1313 compare nella lista dei Neri fiorentini dichiarati ribelli dall’imperatore Enrico VII di Lussemburgo. Nel 1333 il suo nome risulta ancora in uno strumento privato (Delizie..., 1783, XVI, pp. 101 s.; Levi, 1906, p. 11).
Difficile dunque considerarlo senz’altro un «battagliero popolano» (Davidsohn, 1965, p. 342) o un «villan rifatto» (Del Lungo, 1879, I, pp. 358-360); dal punto di vista patrimoniale dovette tuttavia appartenere al ceto medio, se poté essere eletto nel Consiglio dei cento (Pollidori, 1995, p. 62).
Si attribuiscono a Orlandi tre ballate e 17 sonetti (più uno di dubbia paternità). Parte della produzione poetica è accolta tra i rimatori fiorentini del fascicolo XX del Vat. lat. 3793 (Biblioteca apost. Vaticana), nella più importante raccolta trecentesca di poesie stilnovistiche, il Chig. L.VIII.305 (ibid.), «in grazia della sua corrispondenza con Guido Cavalcanti» (Pollidori, 1995, p. 64), e poi ampiamente nel Vat. lat. 3214. Particolarmente numerose le poesie di corrispondenza: con Bonagiunta monaco (da non confondere con Bonagiunta Orbicciani da Lucca), Dante da Maiano (Orlandi rispose a un famoso sonetto ‘circolare’, Provedi, saggio, ad esta visïone), Dino Compagni, Guido Cavalcanti, Monte Andrea e forse Dante Alighieri (ma è ipotesi difficilmente dimostrabile, cfr. Barbi - Maggini, 1956, pp. 227 s.).
Dalla produzione poetica si deducono ulteriori notizie biografiche. Il sonetto rinterzato S’avessi detto, amico, di Maria risponde a Una figura della Donna mia di Cavalcanti, dove vengono descritti i miracoli di un’immagine della Madonna esposta nella loggia del mercato di S. Michele in Orto (poi Orsanmichele), databili al luglio 1292 sulla base della cronaca di Giovanni Villani (I, 3, cap. CLV, p. 628). L’interpretazione dell’atteggiamento di Cavalcanti nei confronti dell’immagine sacra è problematica (Martinez, 2003; Scarabelli, 2009); sembra invece plausibile che Orlandi si proponesse, impossibile dire se per intimo convincimento o per adesione programmatica tipica del joc partit trobadorico, come il «difensore di auctoritates e valori tradizionali» (Pollidori, 1995, p. 172). Lo scambio di sonetti con frate Guglielmo de’ Romitani (La luna e ’l sole son pianeti boni, in risposta a Saturno e Marti, stelle infortunate) è datato dalle rubriche del Vat. lat. 3214 ai primi di ottobre 1301 e dovette essere effettivamente composto attorno a quella data. I due poeti interpretano i movimenti dei corpi celesti secondo gli schemi dell’astrologia giudiziaria: secondo la lettura tradizionale, Guglielmo ritiene infausto l’arrivo a Firenze di Carlo di Valois, visto invece favorevolmente da Orlandi, a conferma delle simpatie per i guelfi Neri. Il sonetto Color di cener fatti son li Bianchi, databile all’epoca delle condanne dei Bianchi nel 1302 o al 1304, quando i Neri appiccarono il fuoco alle case degli avversari, è un’ulteriore prova dell’adesione alla parte nera.
Morì prima del 1338 (Delizie, 1783, XVI, p. 398, per la citazione dei suoi eredi).
Fin dal Cinquecento si è ritenuto che la canzone di G. Cavalcanti Donna me prega fosse una risposta al sonetto Onde si move, e donde nasce Amore, nel quale Orlandi chiede al destinatario di descrivere la natura e la fenomenologia del sentimento amoroso. Si ritiene infatti che Cavalcanti «intervenne nel dibattito sull’amore in occasione di un sonetto-inchiesta di Guido Orlandi […]» (Marti, 1984, p. 198; così Fenzi, 1999, p. 78 e Inglese, in G. Cavalcanti, Rime d’amore ..., 2011, p. 151; Favati, 1975, pp. 101 s., considera al contrario il sonetto un centone composto a partire dalla canzone). Nel sonetto Per troppa sottiglianza il fil si rompe, Orlandi rimprovera invece Cavalcanti per aver utilizzato un lessico troppo ‘sottile’ e complesso, come aveva già fatto Bonagiunta Orbicciani nei confronti di Guido Guinizzelli. Benché il rapporto con Donna me prega debba essere considerato nel quadro di un’ampia tradizione di testi sulla natura d’amore (in un altro sonetto Orlandi chiede a Bonagiunta monaco di spiegare quale tipo di amore sia più potente; cfr. Più ch’amistate intera nulla vale), viene confermata la posizione di Orlandi a stretto contatto con gli stilnovisti.
Buona parte della produzione di Orlandi è dunque costituita da poesie d’occasione e di corrispondenza; la dimensione dialogica, pubblica e realistica è infatti del tutto caratteristica della poesia italiana del Duecento e del Trecento. Nella poesia amorosa, che rappresenta in ogni caso il fulcro della sua attività poetica, si riscontrano elementi tipici della lirica toscana coeva. Dal punto di vista stilistico, il lessico provenzale o provenzaleggiante, i gallicismi, i tecnicismi della fin’amor mediati dai poeti siciliani e alcune espressioni tipiche di Guittone e dei guittoniani. Sul piano tematico è possibile attribuire a Orlandi una concezione, «fortemente solidale con quella di Bonagiunta da Lucca di un amore tutto positivo e nobilitante che si traduce, allo stesso modo per l’amante e per l’amata, in un fervoroso e sollecito esercizio di vita virtuosa» (Pollidori, 1995, p. 70), come in Amico, i’ saccio ben che sa’ limare, indirizzato a Cavalcanti, dove oggetto del contendere è la visione dell’amore doloroso tipica di Guido. Si ritrovano inoltre temi e motivi tradizionali, come l’innamoramento ‘da lontano’ (Le gran bellez[z]e ch’audo in voi contare) e il plazer, l’elenco di piacevolezze di ispirazione trobadorica (A ssuon di trombe, anzi che di corno), assieme ai testi nei quali Orlandi espone in versi le nozioni dell’amor cortese (come nel sonetto Chi non sapesse che la gelosia, indirizzato a Compagni). Secondo Valentina Pollidori (p. 72), che descrive un poeta «debitore verso la tradizione cortese […], organico all’esperienza del movimento siculo-toscano per il metodo centonistico e combinatorio […], solidale col moralismo guittoniano e davanzatiano nell’impegno di nobilitare eticamente la materia amorosa», l’attività di Orlandi andrebbe tenuta ben distinta dallo stilnovismo e considerata appartenente piuttosto all’«ambiente fiorentino arcaizzante, segnato da Guittone ma indirettamente indebitato con la cultura siciliana e trobadorica» (pp. 63, 70, 73). Già per Gianfranco Contini (1970, p. 172), infatti, Orlandi sarebbe stato «qualche volta, impropriamente, annesso agli stinovisti». In ragione della prossimità storico-geografica e di alcune caratteristiche stilistiche (come la predilezione per le ballate, per certi aspetti affini a quelle di Cavalcanti, cfr. Pagnotta, 1995, p. XLVII) va tuttavia tenuta in considerazione la tesi secondo la quale spetterebbe a Orlandi «il titolo almeno di fiancheggiatore, se non proprio di terzo» (Giunta, 1998, p. 31), accanto a Guinizzelli e Cavalcanti, nell’ambito della scuola stilnovistica.
Opere: E. Lamma, Rime di G. O. rinvenute sui codici e sulle stampe, Imola 1898; E. Rivalta, Liriche del «dolce stil nuovo». G. O., Gianni Alfani …, Venezia 1906, pp. 21-52; Dante Alighieri, Rime della «Vita Nuova» e della giovinezza, a cura di M. Barbi - F. Maggini, Firenze 1956, pp. 227 s.; l’edizione critica è a cura di V. Pollidori, Le Rime di G. O., in Studi di filologia italiana, LIII (1995), pp. 55-202.
Fonti e Bibl.: Delizie degli eruditi toscani …, XI, Firenze 1777, p. 131; XVI, ibid. 1783, pp. 101 s., 398; I. Del Lungo, Dino Compagni e la sua Cronica, I, Firenze 1879, pp. 120 s., 358-360; II, ibid. 1887, pp. XXVII-XXX; Le consulte della Repubblica fiorentina dall’anno MCCLXXX al MCCXCVIII, a cura di A. Gherardi, I, Firenze 1896, p. 358, II, ibid. 1898, p. 223; G. Villani, Nuova cronica, ed. critica a cura di G. Porta, Parma 2007; G. Cavalcanti, Rime d’amore e di corrispondenza, a cura di R. Rea e Donna me prega, a cura di G. Inglese, Roma 2011. E. Lamma, G. O. e la scuola del «dolce stil nuovo», in Rassegna nazionale, LXXXV (1895), pp. 767-785; F. Torraca, Studi sulla lirica italiana del duecento, Bologna 1902, pp. 223 s.; E. Levi, G. O.: appunti sulla sua biografia e sul suo Canzoniere, in Giornale storico della letteratura italiana, XLVIII (1906), pp. 1-35; S. Debenedetti, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello 1912, pp. 19 s.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, IV, I primordi della civiltà fiorentina, 3, Il mondo della Chiesa …, Firenze 1965, p. 342; S. Orlando, Una tenzone di G. O. (Appunti di lettura), in Studi di filologia italiana, XXXIV (1967), pp. 55-60; G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze 1970; G. Favati, Inchiesta sul Dolce stil nuovo, Firenze 1975; S. Orlando, Una ballata di G. O., in Lettere italiane, XXXV (1983), pp. 333-340; M. Marti, O. G., in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1984, pp. 197 s.; G. Petrocchi, Il Dolce stilnovo, in Storia della letteratura italiana. Le origini e il Duecento, Milano 1987, pp. 773 s.; C. Calenda, Di vil matera: ipotesi esplicativa di una ipertrofia strutturale (1982), in Id., Appartenenze metriche ed esegesi…, Napoli 1995, pp. 61-71; S. Orlando, Dall’ossequio nei confronti di Guittone all’intenerimento stilnovista. I casi di Onesto da Bologna e di G. O., in Guittone d’Arezzo nel settimo centenario della morte, Atti del Convegno …, a cura di M. Picone, Firenze 1995, pp. 295-306; L. Pagnotta, Repertorio metrico della ballata italiana: secoli XIII e XIV, Milano-Napoli 1995; S. Carrai, La lirica toscana del Duecento …, Roma 1997, pp. 141-145; I. Bertelli, L’attività letteraria di G. O., Milano 1998; C. Giunta, La poesia italiana dell’età di Dante. La linea Bonagiunta-Guinizzelli, Bologna 1998; E. Fenzi, La canzone d’amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi commenti, Genova 1999;L. Rossi, Maestria poetica e grivoiserie nelle tenzoni O. - Cavalcanti, in Studi di filologia e letteratura …, a cura di V. Masiello, I, Roma 2000, pp. 27-42; C. Giunta, Versi a un destinatario. Saggio sulla poesia italiana del Medioevo, Bologna 2002; R.L. Martinez, Guido Cavalcanti’s «Una figura della donna mia» …, in Exemplaria, XV (2003), pp. 297-324; M. Scarabelli, «Una figura della donna mia». Un episodio di polemica antifigurativa …, in Italianistica, XXXVIII (2009), 2, pp. 21-37; S. Diacciati, Popolani e magnati. Società e politica nella Firenze del Duecento, Spoleto 2011, p. 132.