GUIDI, Guido (Guido Pace)
Primo a essere chiaramente indicato come conte di Romena, fu l'unico figlio maschio legittimo del conte Aghinolfo (I) - uno dei cinque figli del conte Guido (VII) - e della sua prima moglie Agnese. Nacque, presumibilmente, fra 1210 e 1215; il primo atto in cui compare risale infatti al 1233, quando chiese al vescovo di Arezzo la conferma del diritto di patronato sulla chiesa di S. Michele di Pian di Radice. L'anno successivo il G. vendette al Comune di Firenze la quarta parte spettante al padre del castello di Empoli, su cui peraltro da decenni Firenze aveva l'effettivo controllo.
Presumibilmente nell'arco degli anni giovanili il G. fu spesso al fianco del padre o, come nel caso precedente, lo sostituì in atti che lo coinvolgevano per questioni familiari; ancora nel 1242 li troviamo citati insieme come testimoni in Casentino a un contratto compiuto dal priore di Camaldoli. Tuttavia è possibile che il G. abbia anche trascorso un periodo al seguito della corte o dell'esercito di Federico II: dopo la morte di Aghinolfo l'imperatore, nell'aprile 1247 a Cremona, concesse al G. un diploma solenne di conferma di beni e diritti, in riconoscimento dei servigi prestatigli appunto dal padre e da lui stesso. In tale diploma vennero esplicitamente elencati castelli e quote parti su cui il G. poteva avere signoria e si può cogliere - rispetto alla divisione fra i fratelli, il padre e gli zii del G., precedente di quasi vent'anni - come vi siano significativi incrementi, sebbene forse più sulla carta che nei fatti.
Nel 1249, forse per i suoi minori interessi diretti in Romagna, fu mediatore negli accordi di pace fra i Comuni di Bologna e di Modena. Dopo la morte dell'imperatore nel 1250, il G. rimase fedele alla casata di Svevia e alla parte ghibellina. Nel 1251 accolse nei suoi castelli, come avevano fatto i cugini Guido Novello e Simone, i ghibellini scacciati da Firenze; quindi, sulla fine di luglio dello stesso anno, sempre con i cugini aderì a un trattato di alleanza con Siena, Pisa e Pistoia in funzione antifiorentina, in base al quale Siena inviò aiuti e mercenari in difesa dei conti, mentre questi si portavano con propri uomini a irrobustire l'esercito che i ghibellini stavano predisponendo in Valdarno.
Con il prevalere nel giro di poco più di due anni dei Fiorentini sui vari fronti della guerra, i conti furono costretti a ritirarsi dal Valdarno e a cedere anche alcuni castelli fra cui quello di Montevarchi, il più prestigioso. Il G. vendette per 5000 lire la sua quarta parte a Firenze l'8 apr. 1254 e nello stesso tempo confermò la vendita di Montemurlo fatta a suo tempo dal padre.
A tale cessione, avvenuta a Firenze, dette il suo consenso pochi giorni dopo, nel castello casentinese di Ragginopoli, Maria di Uberto Pallavicini che il G. doveva aver sposato fra il 1250 e il 1254. L'anno successivo anche il G. partecipò alla grande vendita a Firenze effettuata dai vari cugini Guidi dei castelli nel Valdarno inferiore (Empoli, Vinci, Cerreto, Collegonzi) e nel 1256 fu presente alle nozze di Margherita, figlia del conte Guido di Modigliana, con Bonifacio di Susinana.
Il diploma che Federico II aveva concesso al G., oltre al possesso per intero dei castelli casentinesi, prima divisi, di Ragginopoli e Lierna, aggiungeva anche quello dei centri di Partina e Corezzo sui quali però, in quanto parte della signoria di Camaldoli, aveva mire anche il Comune di Arezzo. Alla controversia e agli scontri che ne erano seguiti si mise fine nell'ottobre 1257, con il riconoscimento della signoria del G. sui primi due castelli, e l'obbligo a versare un tributo annuo ad Arezzo per poter continuare a tenere gli altri due.
Pare che il G. abbia combattuto a Montaperti nel 1260 e, a seguito della vittoria ghibellina, come uno fra i principali capi della parte, avrebbe partecipato al raduno dei vincitori a Empoli, nonché accompagnato il cugino Guido Novello nel suo insediarsi al vertice del potere a Firenze. Subito dopo egli rappresentò il nuovo potere ghibellino in Arezzo con la carica di podestà, che mantenne fino al 1263 per passarla poi al cugino conte Simone. A differenza di quest'ultimo pare però che il G. avesse tenuto un atteggiamento più mite verso i guelfi, e anzi fu successivamente promotore, nel luglio del 1264, insieme con il conte Guido di Modigliana, di una pacificazione fra le parti cui spinsero ad aderire anche il vescovo Guglielmino degli Ubertini. Probabilmente fu proprio tale azione a procurargli il nome di Guido Pace e a indurre Guittone di Arezzo a celebrarlo in una epistola in versi.
Nel luglio 1263 il G. si era accordato con i cugini figli di Marcovaldo per la sistemazione dei diritti signorili che i rispettivi padri avevano tenuto indivisi in Romagna. Nella sostanza lasciò loro la prevalenza su Dovadola, pur mantenendo una quota del castello e dei diritti, mentre, attraverso uno scambio di diritti sugli uomini, ottenne di prevalere sul castello e il territorio di Tredozio che pure restava indiviso. Proprio per tale castello, a seguito di una ribellione, dovette nel maggio del 1271 concludere un accordo con gli abitanti che regolasse reciproci diritti e doveri.
Nel 1277 era podestà a Rimini e forse doveva aver svolto un qualche ruolo nelle lotte di fazione che sconvolgevano la Romagna: gli uomini del cugino Guido Salvatico di Dovadola, infatti, che con le truppe guelfe fiorentine erano stati respinti dalla Romagna, tornando verso l'Appennino si erano diretti a Tredozio per liberare gli ostaggi tenuti lì dal G., ma furono respinti dagli abitanti del castello. Come podestà di Rimini l'anno seguente, nel luglio, ratificò l'obbedienza dei Riminesi alla Chiesa, dopo che l'imperatore Rodolfo I d'Asburgo aveva ceduto al papa la sovranità sulla Romagna.
Da un atto riguardante i suoi figli maschi, Alessandro, Aghinolfo, Guido e Ildebrandino (aveva anche tre femmine, Sofia, Beatrice e una rimastaci sconosciuta) il G. risulta già morto nel 1281.
Alcuni storici, fondendo in una le due figure del G. e di suo figlio Guido, hanno individuato un solo Guido, figlio di Aghinolfo (I) e fratello di Aghinolfo (II), Alessandro e Ildebrandino (Davidsohn, IV, p. 252; Torraca, in Petrus Cantinellus); ma l'esame dei documenti - basti pensare al testamento di Aghinolfo (II) del 1338, in cui questi si dice figlio del conte Guido, o al diploma dell'imperatore Federico II del 1247 concesso a Guido figlio del fu Aghinolfo - e della storiografia nel suo complesso consente chiaramente di distinguere padre e figlio.
Guido parrebbe il terzo in ordine di età dei figli maschi del G., e la sua nascita dovrebbe potersi collocare fra 1255 e 1260. Compare per la prima volta nella documentazione nel febbraio 1281 quando, con i fratelli, aderì tramite un procuratore agli accordi di pace fra guelfi e ghibellini fiorentini promossi dal legato di papa Niccolò III, cardinale Latino Malebranca. Nello stesso anno i bandi di condanna, che a seguito di tali patti erano stati tolti ai conti, vennero però rinnovati dopo che si scoprirono a Firenze alcuni fiorini falsi e se ne attribuì la loro fabbricazione e diffusione a un maestro Adamo, al servizio dei conti di Romena, che avrebbe pagato con la vita la sua perizia di falsario (l'episodio è ricordato da Dante, Inferno, XXX, vv. 73-78); Guido, Alessandro e Aghinolfo non subirono, peraltro, alcuna ritorsione perché erano troppo potenti e perché proprio allora decisero di passare politicamente allo schieramento guelfo e all'alleanza con Firenze. Nel 1283 Guido fu chiamato come podestà a Siena dove pare si sia segnalato nel perseguitare i fuorusciti; inoltre, dopo aver lasciato come suo sostituto in città messer Benincasa di Arezzo, assediò Ruffredo degli Incontri nel castello di Torri che questi aveva fatto ribellare alla città. Nel 1288 era chiamato come podestà a Todi, che però dovette lasciare dopo soli due mesi di incarico per un ordine del papa di cui non è chiara la motivazione, ma pare dovuto a contrasti interni che il suo agire stava creando. L. Passerini (in Litta) formula l'ipotesi che Guido possa essere quel conte Guido che un cronista aretino dice esser morto combattendo nella battaglia di Campaldino (1289) per la parte ghibellina, ma sembrerebbe strana una simile scelta di campo a breve distanza di tempo dall'adesione alla parte guelfa e con i fratelli Alessandro e Aghinolfo militarmente impegnati con essa. Sicuramente, comunque, Guido era già morto nel 1292 e le sue quote di beni e diritti erano passate ai fratelli; nel dicembre di tale anno il Comune di Firenze, infatti, concesse a un certo Gherardo Lupo di agire in rappresaglia contro i beni dei conti Aghinolfo e Alessandro fino a un valore di 1114 fiorini per un credito di 557 fiorini che questi vantava nei confronti del loro defunto fratello Guido e che non aveva potuto riscuotere. Dallo stesso documento si evince che Guido non si era sposato e non aveva avuto figli.
Fonti e Bibl.: Cronache senesi, a cura di A. Lisini - F. Iacometti, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XV, 6, p. 68 (per il figlio Guido); Petrus Cantinellus, Chronicon, a cura di F. Torraca, ibid., XXVIII, 2, p. 26; Delizie degli eruditi toscani, VIII (1777), pp. 139 s., 142, 144, 171-173; pp. 176 s. (per il figlio Guido); R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1908, pp. 287, 561-563; Le consulte della Repubblica fiorentina, a cura di A. Gherardi, II, Firenze 1898, p. 663 (per il figlio Guido); Documenti per la storia della città di Arezzo nel Medio Evo, a cura di U. Pasqui, II, Firenze 1920, pp. 323-326, 374; p. 450 (per il figlio Guido); Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze. Appendice, a cura di P. Santini, Firenze 1952, pp. 59, 67, 73, 78, 84 s., 134, 327 s.; Guittone d'Arezzo, Lettere, a cura di C. Margueron, Bologna 1990, pp. 128 s.; G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, I, Parma 1990, p. 266; A. Brentani, Tredozio sotto la dominazione dei conti Guidi, Faenza 1930, pp. 6-8, 15 s., 22, 49, 59 s., 69, 72, 75; R. Davidsohn, Storia di Firenze, II, Firenze 1956, pp. 547, 549, 562, 671, 734; III, ibid. 1957, pp. 182, 252; A. Vasina, I Romagnoli fra autonomie cittadine e accentramento papale nell'età di Dante, Firenze 1964, pp. 410 s.; E. Sestan, Dante e i conti Guidi, in Id., Italia medievale, Napoli 1968, pp. 344 s. (per il figlio Guido); P. Pirillo, Due contee e i loro signori: Belforte e il Pozzo tra XII e XV secolo, in Castelli e strutture fortificate nel territorio di Dicomano in età medievale, Firenze 1989, p. 26; S. Valenti Muscolino, Origine dei conti Guidi e il ramo da Romena, Policoro 1994, pp. 110-116; p. 128 (per il figlio Guido); R. Nelli, L'inizio della fine. L'accomandigia dei Guidi di Bagno a Firenze nel 1389, in Comunità e vie dell'Appennino tosco-romagnolo, a cura di P.G. Fabbri - G. Marcuccini, Bagno di Romagna 1997, pp. 77 s.; Enc. dantesca, III, p. 322 (per il figlio Guido); P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v.Guidi di Romagna, tav. XII.