GUIDI, Guido
Secondo di questo nome, figlio del conte Tegrimo (II) e di Ghisla, nacque intorno agli anni Settanta del X secolo.
Gli esordi della vita attiva del G. videro l'uscita dei Guidi dalla zona d'ombra in cui erano finiti per l'azione intrapresa dallo zio paterno, il diacono Ranieri, contro l'arcivescovo ravennate Pietro (IV), che aveva posto la famiglia in cattiva luce presso il potere imperiale. Tale azione di recupero si prolungò per tutta la prima metà del secolo XI dopo aver conosciuto una prima, importante, fase, tanto nell'adesione al programma politico-culturale del marchese Ugo di Tuscia, imperniato su fondazioni monastiche nonché su donazioni a istituzioni ecclesiastiche da parte della nobiltà, quanto nello stesso matrimonio del padre del G. con Ghisla, figlia del marchese Tedaldo (Ubaldo).
Proprio in tale contesto il G. è presente per la prima volta in una fonte relativa a una donazione compiuta nel 992 insieme con Ghisla a favore del monastero di Strumi, fondato da Tegrimo. Nell'atto il G. compare in una posizione subordinata alla madre: non sappiamo se - come è stato supposto - per l'importante posizione di Ghisla o se, più semplicemente, perché ancora in minore età. La prima ipotesi ben si concilierebbe con quella che appare una caratteristica presente con una certa insistenza a più livelli dinastici della storia dei Guidi, ossia il rafforzamento familiare avvenuto proprio grazie a un'accorta politica matrimoniale, mentre la seconda potrebbe trovare un qualche punto d'appoggio nel relativamente ampio arco cronologico lungo il quale vediamo attivo il G., dal 992 al 1029.
Nel 1007 si ha una seconda attestazione, attribuitagli da diversi studiosi, relativa alla presenza di un conte Guido alla stesura di un breve recordationis.
In quell'anno l'imperatore Enrico II emanava da Neuenburg un precetto favorevole ai cenobi di S. Salvatore al monte Amiata e di S. Antimo in Val di Starcia. A tale atto risultavano presenti diversi abati di importanti monasteri del Regno e alcuni conti dei comitati di Siena, Arezzo e Chiusi: Ildebrando, che si ritiene fosse degli Aldobrandeschi, Ranieri e Ardengo, entrambi probabilmente esponenti degli Ardengheschi, e un Guido (ritenuto il Guidi). A sostegno di tale identificazione è stato notato dal Rauty che, subito dopo, il conte Guido è citato nell'atto Pietro "Traversarii", della famiglia dei duchi Sergi di Ravenna, città con la quale i rapporti dei Guidi erano assai stretti. La presenza del G. a tale atto mostrerebbe, così, un'evoluzione positiva nei rapporti con il potere imperiale cui la famiglia era forse approdata grazie alla politica di vicinanza con il marchese di Tuscia.
Nella rarefatta documentazione relativa al G. si deve compiere un salto di ben dieci anni per ritrovare un'attestazione, peraltro molto puntuale, che mostra una continuità della sua azione con quella paterna: nel 1017 il G. compiva, infatti, una donazione a favore di S. Fedele di Strumi in memoria del padre, ricordato quale fondatore del monastero.
Ma l'azione della famiglia non si limitava alle aree rurali. Un'altra attestazione, circoscritta ma di buon interesse, ci informa della presenza, nel 1024, di una "terra et casa Widi comitis" (cfr. Zaccaria, p. 317) accanto alla cattedrale - S. Zeno - di Pistoia, città e istituzione ecclesiastica con le quali si possono seguire i rapporti della famiglia fin dal IX secolo. Si viene così a mostrare un inserimento in ambito urbano della famiglia del G. costante e di lungo periodo: indizio, peraltro, di un certo interesse anche in riferimento a una più generale conoscenza dei rapporti tra potere, famiglie eminenti e città nei secoli tra l'alto e il pieno Medioevo.
In un documento più tardo (marzo 1029) il monastero di S. Fedele, in favore del quale il G. compì alcune donazioni in memoria della moglie Imilda, è di nuovo nominato quale luogo privilegiato del G., che lo definisce "monasterio meo Sancti Fedeli" (Rauty, p. 254). Di poco successivo è un atto ulteriore - redatto l'11 apr. 1029, relativo alla querelle tra i Guidi e la cattedra episcopale di Ravenna - in cui il G. compare attivo per l'ultima volta. In quell'occasione il potente arcivescovo Gebeardo di Eichstätt, in una sistematica operazione di tutela dei beni ecclesiastici, ottenne dal G. la conferma del possesso integro di una proprietà che l'arcivescovo ravennate già da tempo pretendeva.
Un atto anche, in qualche misura, emblematico della fine di una fase della storia dinastica dei Guidi, quella in cui i diversi rami, posti a nord e a sud degli Appennini, continuavano ad agire in comunicazione tra loro. In seguito, infatti, pur conoscendo ulteriori atti che mostrano i Guidi agire al di fuori delle vicende relativa alla Marca di Tuscia, la famiglia si ancorerà sempre più fortemente a questa unità istituzionale, pur mantenendo alcuni possessi nella fascia appenninica della Romania.
Dal matrimonio con Imilda, della quale non è nota la famiglia d'origine, il G. ebbe due figli, Guido (III) e Tegrimo (III) che, nell'aprile del 1034, donarono alcuni beni ai canonici pistoiesi di S. Zeno. In questo documento entrambi sono ricordati con il titolo di conte e sono qualificati come "germani bone memorie Guidi qui fuit comes" (Regesta chartarum, p. 57). Tra il 1029, data dell'ultima attestazione relativa al G., e il 1034 deve essere perciò collocata la sua morte, che fu forse di poco successiva all'ultimo atto documentato se, come sostiene il Delumeau (p. 605), sarebbe da riferire al G. la visione riportata da Pier Damiani in una lettera risalente all'incirca al 1030 e relativa a un suo viaggio compiuto nell'aldilà, nella quale il G. è collocato all'inferno per aver danneggiato la badia fiorentina: una testimonianza a un tempo della fama dei Guidi e degli alterni rapporti tra la famiglia e i monasteri della Tuscia.
Fonti e Bibl.: F.A. Zaccaria, Anecdotorum Medii Aevi maximam partem ex archivis Pistoriensibus collectio, Augustae Taurinorum 1755, pp. 317 s.; Codex diplomaticus Amiatinus, a cura di W. Kurze, II, Tübingen 1982, p. 72; Regesta chartarum Pistoriensium. Canonica di S. Zenone. Secolo XI, a cura di N. Rauty, Pistoia 1985, p. 57; C. Della Rena - I. Camici, Della serie degli antichi duchi e marchesi di Toscana, Firenze 1764, pp. 49-51, 57 s.; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze 1956, pp. 191, 230 s.; C. Curradi, I conti Guidi nel secolo X, in Studi romagnoli, XXVIII (1977), p. 50; Y. Milo, Political opportunism in Guidi Tuscan policy, in I ceti dirigenti in Toscana nell'età precomunale. Atti del I Convegno, Firenze… 1978, Pisa 1981, pp. 208 s., 211, 219; P. Pirillo, Porciano "in partibus Casentini". Appunti per una indagine documentaria, in Il castello di Porciano in Casentino. Storia e archeologia, a cura di G. Vannini, Firenze 1987, p. 16; J.-P. Delumeau, Arezzo. Espace et sociétés, 715-1230, Roma 1996, pp. 390 s., 395, 605, 967; R. Rinaldi, Le origini dei Guidi nelle terre di Romagna (secoli IX-X), in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno italico, secc. IX-XII. Atti del II Convegno, Pisa… 1993, Roma 1996, pp. 239 s.; N. Rauty, I conti Guidi in Toscana, ibid., pp. 248-251, 254, 256.