GUIDI, Guido (Guido Guerra III)
Settimo di questo nome, figlio del conte Guido (VI), nacque verso la fine del quarto decennio del XII secolo.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1157, il G. e il patrimonio familiare furono affidati alle cure della zia Sofia, badessa di Pratovecchio, figura di spicco nella compagine dei Guidi. Della madre del G. non si conosce, invece, nemmeno il nome. Con tutta probabilità quindi, dato il silenzio delle fonti, non doveva né avere un'origine particolarmente eminente - nel qual caso sarebbe lecito aspettarsi una frequente presenza accanto al marito, come appare per altre donne sposate con esponenti dei Guidi - né aveva conquistato un ruolo attivo nella "nuova" famiglia.
Nella seconda metà del secolo la famiglia del G., al pari di altre schiatte comitali, attraversava una delicata fase per la necessità di contrastare l'ascesa, particolarmente vivace nei centri urbani, di nuovi ceti legati alle attività mercantili e alla detenzione di ricchezza mobile.
L'azione politica e militare del G. si distinse in tale contesto per il suo incondizionato sostegno alle istituzioni tradizionali che avevano il loro fulcro nel potere imperiale. A partire dalla seconda metà del secolo XII il G. compare infatti a più riprese accanto a Federico I Barbarossa: il suo ruolo nella politica italiana, in particolare in Tuscia, fu senz'altro centrale, come dimostra la sua costante presenza accanto al Barbarossa o a suoi legati, nonché la sua partecipazione a spedizioni militari e a trattative diplomatiche.
Sembra che già dalla fine degli anni Cinquanta il G. fosse attivamente presente nelle azioni imperiali, assistendo nell'estate 1158 all'assedio e alla resa di Milano e combattendo in seguito con Pisa e Siena schierate con l'imperatore contro Firenze e Lucca fino alla pace del 1159. Nel 1160 partecipò alla Dieta di San Genesio presso San Miniato, voluta da Guelfo di Baviera, allora marchese di Toscana, allo scopo di riaffermare l'autorità imperiale sull'intera regione: in tale occasione le città, i conti, fra i quali il G., e i feudatari prestarono solenne giuramento nelle mani di Guelfo. Nel marzo 1162 era di nuovo presente a un'altra spedizione contro Milano, nel corso della quale il Barbarossa distrusse la città.
Intorno alla metà del secolo XII i Guidi dovevano dunque aver assunto una posizione di contiguità al potere imperiale, testimoniata tra l'altro dalla nascita nel 1162 di un figlio del Barbarossa nel castello di Modigliana, uno dei più antichi centri del potere comitale dei Guidi, dove l'imperatrice Beatrice si trovava in compagnia della badessa Sofia.
Risale, poi, al 28 sett. 1164 un privilegio emanato da Federico I, con il quale il G. otteneva la cessione di tutte le regalie, i diritti di giudicato, nonché altri diritti connessi allo sfruttamento delle risorse minerarie nei territori di sua pertinenza.
Si tratta di un documento assai noto, che descrive con grande minuzia i beni della famiglia Guidi. Proprio tale puntualità, sebbene trovi riscontro in coevi privilegi redatti in favore di altri alleati dell'imperatore, ha indotto gli studiosi a utilizzare con una certa prudenza il documento, pervenutoci attraverso una copia notarile del 1295. Nonostante le incertezze espresse, questa è stata considerata utile, pur nei suoi limiti generici, per conoscere l'ampiezza dei possessi dei Guidi nei decenni tra i secoli XII e XIII. È interessante in questa sede rilevare in particolare la sottolineatura data dallo stesso dettato del diploma alla bipartizione dei beni del G., distribuiti in Romania - sono quelli elencati per primi - e in Tuscia: una distinzione quindi presente anche nella coscienza familiare di questa stirpe comitale. I possessi toscani del G. erano all'epoca concentrati nel Mugello, nel Valdarno inferiore e nel Casentino, nella Val d'Elsa e nel territorio del Chianti.
L'accorta e costante politica di prossimità con l'imperatore diveniva, in questi anni, elemento tanto più utile e importante per una famiglia come quella dei Guidi perché il potere esercitato dal vecchio ceto comitale iniziava a essere messo seriamente in discussione, come già detto, dalla crescita delle classi dominanti nei Comuni cittadini. In tale prospettiva va visto anche il matrimonio del G., attestato proprio intorno al 1164, con Agnese di Guglielmo V marchese di Monferrato, appartenente a una famiglia di antica origine, che proprio in questo suo remoto prestigio trovava in quei decenni - e sarebbe riuscita a trovare per molto altro tempo ancora - uno dei propri elementi di forza. Il prestigio del G. fu quindi rafforzato da un legame matrimoniale con un'esponente di una casata direttamente imparentata con Federico I, cugino del marchese Guglielmo.
La fedeltà allo schieramento imperiale fu di nuovo suggellata dalla partecipazione del G. alle campagne militari promosse da Federico in Italia; in particolare il G. è ricordato in occasione della vittoriosa battaglia di Tuscolo (30 luglio 1167), in seguito alla quale le truppe imperiali guidate da Rainaldo di Dassel spianarono la strada per la conquista di Roma da parte del Barbarossa. Successivamente il G. fu fedele collaboratore del legato Cristiano di Magonza, giunto in Toscana ai primi del 1172 con l'intenzione di riaffermare l'autorità imperiale sulle città di Firenze e Pisa, e fu quindi coinvolto nelle diverse azioni militari intraprese nella regione dall'arcivescovo magontino. In occasione di queste campagne il G. fu costretto, nonostante l'alleanza con Siena, a cedere definitivamente i suoi diritti su Poggibonsi, già erosi nel corso dei decenni per le continue mire di Firenze, giungendo a sottoscrivere con questa nel 1176 dei patti di pacificazione. Proprio tali accordi sono ritenuti dalla storiografia il terminus post quem per datare il suo secondo matrimonio, che ebbe notevoli conseguenze riguardo in particolare i nuovi equilibri politici che il G. perseguì. In seguito alla morte in quel torno di anni della prima moglie, Agnese, dalla quale il G., stando le fonti, non ebbe figli, o quanto meno questi non giunsero mai a un'età adulta, il G. si sposò infatti con Gualdrada di Bellincione di Uberto dei Ravignani.
Quest'unione si inserisce in un quadro completamente diverso, sul piano sociale, rispetto al precedente matrimonio in quanto la sposa apparteneva a una famiglia borghese fiorentina. L'unione assicurò una copiosa discendenza alla famiglia, capovolgendo una tendenza pluridecennale che aveva visto concentrare su un solo discendente maschio tutte le risorse dinastiche. Se ciò aveva permesso, da un lato, il mantenimento coerente di tutti i poteri, dall'altro aveva però messo a rischio di estinzione la famiglia. Con i figli del G. e Gualdrada iniziò invece un processo di frammentazione in quattro rami principali che assunse, di fatto, i caratteri di una vera e propria divisione in distinte aree geografiche ciascuna delle quali attuò autonome scelte politiche destinate a condurre gli eredi del G., in alcune fasi, in netto contrasto fra di loro. Le conseguenze del matrimonio con Gualdrada non si fermarono, comunque, alla sola prolificità della coppia e a tale divisione in più rami. In primo luogo, grazie a tale unione fu possibile per i Guidi acquisire notevoli ricchezze, mobili e immobili, anche all'interno della città di Firenze, con la quale ormai si cercava di mantenere un rapporto non più conflittuale. Quale conseguenza di tale unione perveniva alla famiglia il possesso di un palazzo all'inizio del borgo S. Piero, ricordato per la prima volta in un documento del 1218, ma già esistente quando il G. era in vita.
Il matrimonio tra il G. e la giovane borghese è anche il segno del formarsi di una nuova coscienza, di una nuova cultura della quale abbiamo testimonianze anche illustri di provenienza letteraria. Lo stesso Dante, per esempio, mostra di considerare come assai importante l'apporto della famiglia di Gualdrada alla formazione dell'identità familiare dei Guidi, come indicano sia la notissima citazione di Guido Guerra di Dovadola - ricordato come "nepote fu de la bona Gualdrada" (Inferno, XVI, v. 37) sia il verso "i Ravignani onde è disceso / il conte Guido" (Paradiso, XVI, vv. 97 s.), meno noto ma forse anche più significativo per evidenziare il ruolo assunto da Gualdrada nel consolidamento dell'identità familiare.
È indubbio che proprio con il suo secondo matrimonio il G., sia pure in una continuità con le sue origini comitali di fine secolo X, prendesse definitivamente coscienza del mutare dei tempi, accettando di inserirsi in una nuova dimensione della quale anche altre citazioni letterarie potrebbero dare ulteriormente il segno: basti pensare alla testimonianza del Boccaccio ancora per Gualdrada, nel suo De mulieribus claris (in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di V. Branca, X, Milano 1967, pp. 422-427). Anche il rilievo dato alla famiglia da un'altra fonte tutta "cittadina", la Nuova cronica di Giovanni Villani, è un chiaro indizio dello stretto legame tra il G. e la sua famiglia con Firenze, confermato, del resto, dalle parole dello stesso Villani che, a conclusione di una lunga digressione a lui dedicata, volendo dare ragione di tale ampio spazio dedicato alla famiglia spiega proprio che i "suoi discendenti molto si mischiarono poi de' fatti di Firenze". Il Villani, poi, ci offre un ulteriore elemento per considerare il G. come l'iniziatore di una vera e propria nuova fase della famiglia, laddove egli afferma che "di lui sono tutti i conti Guidi discesi", facendogli di fatto assumere un sorta di profilo di capostipite.
Nel 1177 il G. fu tra i partecipanti al congresso di Venezia che doveva riportare un accordo stabile fra autorità imperiale e potere papale, mettendo così fine allo scisma che dal 1159 aveva opposto al pontefice "romano" Alessandro III l'antipapa di orientamento filoimperiale Vittore IV e il successore di questo, Pasquale III.
Un successivo diploma emanato nel 1191 dalla Cancelleria di Enrico VI evidenzia il consolidamento del G. e della sua famiglia in alcune aree di loro tradizionale pertinenza come il Casentino e il progressivo abbandono, nel contempo, di altre aree eccentriche al loro dominio, ancora nominate nel precedente privilegio di Federico I.
I rapporti costanti che il G. mantenne con personalità di spicco dell'entourage imperiale sono di nuovo testimoniati da una lettera indirizzata nel 1198 dal G. al senescalco Marquardo di Annweiler, dalla quale si traggono notizie puntuali su alcune azioni militari compiute dal G. per conto dell'imperatore nel corso di quell'anno e conclusesi con la conquista e la riedificazione del castrum di Vinci.
Il progressivo inserimento del G. in dinamiche politiche di area cittadina non escluse affatto il prosieguo da parte sua di una costante attenzione verso le aree rurali sulle quali la sua famiglia aveva fondato il proprio potere e la propria identità. Un documento anche questo ben noto agli studiosi, relativo alla causa fra la badessa Sofia e le religiose del monastero di Rosano, ci informa, fra l'altro, su alcuni aspetti riguardanti l'azione del G. in qualità di dominus del contado fiorentino.
Il documento fornisce infatti interessanti informazioni sui funzionamenti interni di un dominatus loci: Brancoli Busdraghi ha in particolare sottolineato come grazie a esso è possibile conoscere con esattezza lo status dei testimoni del G., dodici dei quali vengono definiti come "fidelis comitis" e ventidue come "homo comitis": una differenza che doveva afferire al rilievo sociale e ai modi della soggezione personale di ciascuno di essi, mentre va notato che tanto i fideles quanto gli homines comitis dichiaravano di essere legati al conte da giuramento di fedeltà e che almeno gran parte degli esponenti di entrambe le categorie apparteneva al seguito comitale, concorrendo in parte alla formazione delle masnade del conte.
La nuova prospettiva sociale assunta dal G. con il matrimonio è testimoniata dall'acquisizione di notevoli ricchezze mobili e immobili all'interno di Firenze anche se sembra che, in tale fase, il G. abbia preferito non assumere cariche comunali negli ambiti cittadini: nel 1207, quando gli fu offerta la carica di podestà di Pistoia per uno dei suoi figli maggiori, Tegrimo o Guido, il G. rispose infatti di non volere che alcuno dei suoi figli ricevesse "illud dominium" (Liber censuum…, pp. 13 s.).
La dimensione per così dire "nobiliare" del G. fu quindi una costante anche dei suoi ultimi anni di vita ed è attestata da un documento di un certo interesse, in grado di mostrarci alcuni dettagli sulle modalità di conduzione del potere signorile da parte del G. e della sua famiglia in un'area, quella aretina, dove la loro presenza era stata fortemente radicata, anche se già posta in crisi nel corso dei decenni precedenti.
Si tratta di uno statuto che la storiografia fino a pochi anni fa attribuiva con certezza al G., con il quale avrebbe emanato diverse concessioni a favore dei suoi fedeli di Val d'Ambra nel 1208: una fonte, dunque, che ci si mostra in tutta la sua natura di statuto "signorile". L'estensione e la natura dei diritti del conte, il modo d'esercizio del potere, il rapporto con i fideles, il livello di autonomia palesato dalle sei Comunità che costituivano il viscontado sono stati gli elementi che hanno destato maggiormente l'interesse degli studiosi.
È evidente che già tale statuto mostrerebbe l'esistenza di momenti di scontro tra le due parti, il potere signorile e le collettività sottomesse; ma pare anche che si possa dire che, all'epoca di stesura del documento, i rapporti di potere tra i Guidi e i fedeli si inscrivessero in una situazione di non formale contestazione dei diritti signorili da parte degli abitanti, che venivano precisamente delimitati proprio attraverso questo documento, che regolamentava una sorta di partecipazione e di collaborazione per il buon funzionamento della vita locale.
Solo recentemente (cfr. Ascheri; Bicchierai) sono state mosse alcune perplessità in merito all'assegnazione di tale statuto all'epoca del G., perplessità che porterebbero a spostare la datazione di questo documento al settimo decennio del secolo XIII. Se tale spostamento, dunque, non renderebbe più possibile attribuire al G. la concessione dello statuto - ma potrebbe anche essere lecito supporre che il testo pervenutoci sia composto da una stratificazione di redazioni di diverse epoche che farebbero risalire almeno parte delle concessioni agli inizi del secolo XIII - i motivi di interesse, incentrati su una situazione favorevole al potere signorile che già sembrava in qualche misura notevole per l'inizio del secolo XIII, crescerebbero ulteriormente poiché il potere dei Guidi, ancora nella seconda metà di quel secolo, sembrerebbe notevolmente solido, sottolineando ancor di più, nel caso, un carattere di "ritardo" degli sviluppi sociali in Val d'Ambra. A qualunque epoca vada assegnata, la fonte mostra i Guidi ancora in un pieno esercizio dei loro poteri, sebbene sia evidente che la concessione dello statuto mostri la presenza di Comunità rurali ormai bene organizzate e capaci di stabilire un rapporto dialogico con il proprio dominus e che questi, forse il G. stesso, attraverso la concessione di un documento scritto, di fatto forniva loro uno strumento di garanzia del rispetto di rapporti di una certa autonomia per i fedeli, precedentemente costituitisi in via informale.
Nel contempo punto costante dell'azione politica del G. rimase, pur nei mutati scenari, il rapporto con il potere imperiale che attraversava in quegli anni una fase particolarmente delicata per la minore età dell'erede designato al trono, Federico II. Il G. si schierò dalla parte di Ottone IV e quando questi fu scomunicato dal pontefice nel novembre 1210, anche il G., al pari di altri feudatari toscani, fu coinvolto in tale sanzione ancora in vigore alla fine del 1213, come attesta una lettera di papa Innocenzo III al G. del 20 settembre; in seguito, lo stesso pontefice lo convinse a mutare parte, tanto da raccomandarlo allo stesso imperatore Federico II. L'affermazione del Villani per il quale l'anno della morte del G. sarebbe il 1213 non è stata perciò accolta dal Davidsohn (1908, III, p. 89), il quale propone per essa una data indicativa non anteriore alla fine del 1214.
Dal matrimonio con Gualdrada, ancora in vita nel 1226, il G. ebbe numerosi figli: Ruggero, morto senza eredi nel 1225, Guido, Tegrimo, Marcovaldo, Aghinolfo e quattro figlie: Sofia, Imilia, Gualdrada e Guisiana, non sempre concordemente ricordate dalla letteratura. Con il G. si chiude definitivamente una fase di circa tre secoli durante la quale la famiglia aveva a più riprese tentato di mantenere coerente un vasto e disomogeneo patrimonio territoriale. Già con i suoi quattro figli, invece, si assiste a una ripartizione dei possessi dei Guidi incentrata per un ramo sui castelli di Bagno, Poppi e Battifolle, destinati a Guido; per un altro su quelli di Modigliana e Porciano, affidati a Tegrimo, e per gli ultimi due rami sui castelli di Dovadola e di Romena assegnati rispettivamente a Marcovaldo e Aghinolfo.
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