FERRERO, Guido
Nacque a Biella il 18 maggio 1537 da nobile e ricca famiglia, figlio di Sebastiano, signore di Casalvolone, Pezzana e Villata e gentiluomo di camera del duca di Savoia, e di Maddalena di Federico Borromeo conte di Arona, zia di Carlo Borromeo. Ebbe tre fratelli e due sorelle: Filiberto, Federico, Pier Francesco, Dorotea e Camilla.
Giovanissimo, venne affidato alle cure dello zio paterno Pier Francesco, vescovo di Vercelli e futuro cardinale, il quale provvide ad ogni aspetto della sua educazione e preparò il suo ingresso nella carriera ecclesiastica. Entrò in collegio, a Cremona, nel 1543, allievo di G. Musonio, e concluse gli studi all'università di Bologna, dove il 14 sett. 1559 si laureò inutroque iure. La sua istruzione comprese anche lo studio delle lettere classiche, per le quali conservò una particolare inclinazione, che gli permise di raggiungere, nell'età matura, una certa notorietà come elegante prosatore in lingua latina e greca, meritando tra l'altro le lodi del letterato e filologo fiorentino P. Vettori. Durante gli anni giovanili, introdottovi dallo zio Pier Francesco, fece parte della prestigiosa Accademia degli Affidati di Pavia, dove assunse il nome di Novello.
Dopo la laurea venne inviato a Roma, dove era stato eletto papa Pio IV, suo affine per parte materna. Divenne referendario di entrambe le Segnature e prelato domestico. Nei due anni che trascorse presso la Curia fu anche membro, col nome di Sereno, dell'Accademia delle Notti vaticane, un cenacolo teologico-letterario animato dal cugino cardinale Carlo Borromeo.
Il 2 marzo 1562 il card. Pier Francesco rinunziò al vescovato di Vercelli in favore del nipote. La consacrazione del F. ebbe luogo il 10 agosto successivo, ma egli non poté prendere possesso della diocesi prima del 3 luglio 1563, poiché subito dopo la consacrazione dovette recarsi a Trento, dove si apriva la VII sessione del concilio, il 18 sett. 1562.
Terminato il concilio, il F. venne designato da Pio IV, con breve del 1º giugno 1564, nunzio "cum potestate legati de latere" presso la Repubblica veneta. La sua partenza per Venezia ebbe luogo probabilmente nello stesso mese, poiché le lettere credenziali emanate dal papa in suo favore datano 10 giugno 1564. Il 12 marzo 1565, mentre ancora si trovava a Venezia, il F. venne creato cardinale. Pio IV, che aveva così ceduto alle istanze avanzate in questo senso dal duca Emanuele Filiberto e dal Borromeo, si affrettò tuttavia a comunicargli che la sua nuova posizione nulla avrebbe mutato nei suoi obblighi e nelle sue prerogative di nunzio apostolico. Il F. continuò infatti a ricoprire regolarmente la nunziatura fino all'ottobre, quando si recò a Milano per partecipare in qualità di vescovo di Vercelli al primo sinodo provinciale della diocesi di Milano, che si svolse sotto la direzione del Borromeo. Da questo, il 15 ottobre, ricevette il galero cardinalizio, quinto membro della sua casa ad indossare la porpora in meno di un secolo.
Il 17 dicembre il F. era di nuovo a Roma per prendere parte al conclave. Insieme col Borromeo e con lo zio card. Pier Francesco (il quale, ammalatosi, fini per delegargli il suo voto) sostenne la candidatura di M. Ghislieri, Pio V, che poi, a dimostrazione della sua riconoscenza, gli concesse la visita generale della diocesi vita natural durante e la collazione di tutti i benefici vacanti. Nel concistoro dell'8 febbr. 1566 il F. ricevette il titolo cardinalizio di S. Eufemia, mutato il 6 marzo in quello di Ss. Vito e Modesto. Nel febbraio dell'anno seguente lasciò Roma alla volta della sua diocesi, sollecitato anche dal pontefice, in obbedienza ai decreti conciliari riguardanti l'obbligo di residenza.
Nella sua diocesi il "cardinale di Vercelli" (così sono solite designarlo le fonti) dispiegò con vigore e decisione una notevole attività di riorganizzazione del clero secondo i dettami tridentini, privilegiando soprattutto l'istruzione e la formazione dei nuovi chierici, la diffusione della dottrina cattolica tra i laici e la restaurazione della disciplina nelle Congregazioni religiose. Come primo atto di governo, convocò l'8 apr. 1567 il sinodo diocesano e ne pubblicò gli atti nel 1572, per i tipi di G. Motino Vercellese, col titolo di Sommario dei decreti conciliari et diocesani spettanti al culto divino, et all'abito, vita et costumi, et officio tanto di ecclesiastici, come di secolari. Il 9maggio il F. iniziò dal duomo la visita pastorale, che concluse nel 1571.
La scarsità di fonti documentarie dirette non permette di ricostruire con precisione il ruolo svolto dal F. nella repressione dell'eresia protestante nel Vercellese, un territorio che, per vicende storiche e per posizione geografica, risultava particolarmente esposto alla penetrazione di idee eterodosse dalla Francia e dalla Svizzera. Esistono tuttavia alcuni indizi significativi, che permettono comunque di collocare il F. tra coloro che più si adoperarono per il ripristino della "vera fede e a lui, tra l'altro, fra' Cipriano Uberti da Ivrea, inquisitore di Vercelli nella seconda metà del '500, dedicò il primo dei suoi quattro Libri della Croce,in una prima edizione non pervenutaci.
Tra il 1569 e il 1570, vennero istituiti a Vercelli il Monte di pietà, la Compagnia della misericordia in S. Andrea e le Scuole della dottrina cristiana.
Nel maggio 1572 il F. si recò a Roma per il conclave dal quale uscì eletto papa Ugo Boncompagni, Gregorio XIII. Amico sin dalla gioventù del F., con il quale aveva condiviso gli inizi della carriera ecclesiatica, l'ufficio di referendario di Segnatura e la partecipazione al concilio, Gregorio XIII chiamò il F. a ricoprire importanti uffici presso la Curia.
Questa consuetudine di vecchia data tra i due prelati è testimoniata dalla Vita Gregorii XIII, scritta dallo stesso Ferrero. Il primo libro dell'opera, rimasta manoscritta e incompleta, è conservato in Arch. segr. Vaticano, Miscellanea, Arm. XI,42 (ora Vat. lat. 12124), pp. 299-320. Un secondo libro, ricordato dalle fonti, è andato perduto nell'incendio che nel 1857 distrusse la Biblioteca Albani. Un'altra opera del F., una biografia di Emanuele Filiberto di Savoia, di cui si ha notizia da un carteggio con l'arcivescovo di Urbino pubblicato dal Tenivelli (p. 272), non è stata ritrovata.
Chiamato a far parte della congregazione per la revisione del Decretum Gratiani, istituita da Pio V nel 1566, il 17 ott. 1572, dietro consiglio del card. C. Borromeo, il F. dimise il vescovato in favore di mons. G. F. Bonomi (fatte salve alcune prerogative concessegli direttamente dal pontefice, tra cui il conferimento di benefici di nomina romana). In cambio ottenne dal Bonomi l'abbazia di Nonantola, presso Modena, la cui commenda avrebbe mantenuto per dieci anni (passò infatti, nel 1582, al card. F. Guastavillani), e dove giunse nel 1574 per compiervi la visita apostolica. Nella chiesa abbaziale fece costruire l'arca di marmo per conservare le reliquie di s. Silvestro I papa, fino allora malamente custodite nella cripta.
Sempre nell'ottobre 1572 il F. fu nominato governatore del ducato di Spoleto; tuttavia resse il territorio attraverso numerosi vicegerenti fino al 1578, anno in cui rassegnò l'ufficio al card. F. Guastavillani. Con quest'ultimo il F. stabilì un fitto scambio di uffici e prebende: nel 1580 ricevette da lui l'abbazia di S. Maria di Pinerolo, per cedergli, due anni più tardi, l'abbazia di Nonantola. Inoltre il 25 maggio 1572 ottenne il priorato della B. Vergine di Pellionex presso Ginevra, nel 1574 l'abbazia di S. Pietro di Muleggio (che dimise otto anni più tardi) e l'anno seguente divenne prevosto di S. Martino degli Umiliati a Vercelli.
Nel 1576 il F. tornò in Piemonte, dopo una tappa a Savona, in visita al cugino Cesare Camillo Ferrero, vescovo della città. L'anno dopo compì la visita pastorale presso l'abbazia di S. Giusto di Susa, mentre nell'ottobre 1578 era a Torino, insieme col card. C. Borromeo, per partecipare alle solenni celebrazioni che accompagnarono la traslazione della S. Sindone da Chambéry alla nuova capitale del Ducato sabaudo.
Divenuto abate di S. Giusto di Susa, nel 1580, il F. si preoccupò di riunire in un'unica Congregazione i monaci benedettini. In molti luoghi del Ducato sabaudo l'ordine aveva raggiunto un preoccupante livello di decadenza e di distacco dalla regola, mentre secondo il F. esso avrebbe potuto costituire un valido strumento per contrastare l'infiltrazione calvinista d'Oltralpe. Su sua istanza, con bolla del 13 giugno 1581, Gregorio XIII trasferì i benedettini da S. Giusto in S. Michele della Chiusa, sostituendoli con i canonici agostiniani.
Il 25 ott. 1581 il F. venne nominato legato della provincia di Romagna. Vi giunse il 28 novembre, accolto a Rimini dai rappresentanti della città di Faenza, sede della legazione. I suoi vicelegati furono A. Grassi, vescovo di Faenza, e C. Boncompagni, arcivescovo di Ravenna. Nel giugno 1583 diede inizio ai lavori per la costruzione dell'acquedotto di Faenza. Per non farne ricadere i costi sui più poveri, decise di finanziarne la fabbrica con un'imposta straordinaria sul pane bianco.
In quegli anni, morto senza figli il fratello Filiberto, marchese di Romagnano, il F. si adoperò per conservare il titolo alla famiglia (il feudo di Romagnano con titolo marchionale era stato concesso nel 1562 da Emanuele Filiberto); ma il suo progetto, autorizzato da Filippo II, di investirne la nipote Margherita non ebbe seguito e il feudo passò successivamente alla famiglia Serbelloni di Milano.
Nell'aprile 1585 il F. era di nuovo a Roma, per il conclave che doveva eleggere il successore di Gregorio XIII. Il nuovo papa Sisto V gli confermò vita natural durante la legazione di Romagna. Ma il F. morì pochi giorni dopo, nella stessa Roma, il 16 maggio 1585. Fu sepolto in S. Maria Maggiore, accanto alla zio P. F. Ferrero.
Il 29 maggio, a Torino, venne aperto il suo testamento, rogato in Giaveno in seconda stesura il 25 nov. 1584 (al quale erano allegate anche le disposizioni concernenti l'erezione del collegio S. Maria di Torino per studenti universitari pii e meritevoli; il F. volle farne una sorta di simbolo della magnanimità del suo casato), in cui aveva nominato suo erede universale Francesco Filiberto Ferrero Fieschi, marchese di Masserano.
Fonti e Bibl.: P. Victorii Epistularum libri X, a cura di F. Vettori, Florentiae 1586, VII, pp. 156-160; Concilium Tridentinum...,ed. Soc. Goerresiana, Acta,VI,Friburgi Br. 1924, ad Indicem; G. S. Ferreri, S. Eusebii Vercellensis episcopi et martyris eiusque in episcopatum...,Romae 1602, pp. 231-234; M. A. Cusano, Discorsi historiali concernenti la vita et attioni dei vescovi di Vercelli,Vercelli 1676, pp. 293-298; C. Tenivelli, Biografia piemontese, Torino 1792-1797, IV, 2, pp. 205-296; G. B. Adriani, Lettere e monete ined. dei Ferrero Fieschi,Torino 1851, pp. 8-12; A. Sansi, Storia del Comune di Spoleto, dal sec. XII al XVII,Foligno 1879, I, pp. 247 s.; B. Righi, Annali della città di Faenza, III,Faenza 1847, pp. 150-155; S. Bernicoli, Governi di Ravenna e Romagna,Ravenna 1898, ad Indicem;R. Orsenigo, Vercelli sacra,Como 1909, ad Indicem;L. Berra, L'Accademia delle Notti Vaticane fondata da C. Borromeo, Roma 1915, passim;L. von Pastor, Storia dei papi, VII-IX, Roma 1958, ad Indices; M. Capellino, L'inventario dei beni del cardinal G. F.,in Boll. stor. vercellese, XXVI(1986), pp. 45-53; K. Eubel-W. v. Gulik, Hierarchia catholica, III,Monasterii 1923, pp. 40 s., 330.