FAVA (Faba), Guido (Guido Bononiensis)
Figlio di Niccolò, nacque a Bologna non oltre il iigo. La congettura (in mancanza di una più sicura documentazione) è autorizzata da un atto del 1210 in cui il F. in qualità di testimone, appare con il titolo di "magister". Infatti è difficile pensare che egli abbia ottenuto la dignità magistrale, prima di aver compiuto vent'anni almeno.
Il nome del padre si ricava dalla matricula dei notai bolognesi del 1219 (Statuti delle Società del popolo di Bologna, p. 441). Quanto al nome "Fava" (latinamente "Faba"), doveva trattarsi in origine di un soprannome, come lo stesso Guido dichiara nel proemio alla Rota nova scritto in terza persona ("ab effectu rei hoc pracnomen Faba annis puerilibus acquisivit": Kantorowicz, 1941-43, p. 278), "fabas dicere" significa, infatti, essere amante degli scherzi e dei giochi. Il luogo di nascita, oltre che da svariati documenti che indicano il F. come "Guido, Bononiensis", è attestato dal medesimo proemio alla Rota nova, dove, rivolgendosi a Bologna e riferendosi a se stesso, egli scrive: "ex te natus est homo ille" (ibid.). Cade quindi l'ipotesi avanzata dal Gaudenzi (1895, pp. 118 s.) che egli potesse essere diretto parente del bresciano Aliprando Faba, podestà di Bologna nel 1229, cui Guido dedicò la Summa dictaminis; anche l'appellativo di "Guido de Lombardia", assegnatogli in alcuni manoscritti (ad esempio, Ashb. 1601 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze e 1106/15 della Stadtbibliothek di Treviri), non è in questo senso probante, giacché "lombardo" era, per un toscano dell'epoca, ogni abitante dell'Italia settentrionale, Bologna compresa.
Scarse, comunque, sono le notizie certe sulla vita del F., in buona parte reperibili nelle sue stesse opere, e soprattutto nel già citato proemio autobiografico della Rota nova, che fornisce numerose informazioni sui principali eventi della sua vita fino al 1225-26, quando fu composta. Peraltro, i proemi premessi dal F. alle sue opere adottano spesso - com'era usuale in sedi del genere - una scrittura metaforica ed allegorica che deve mettere in guardia dall'interpretare alla lettera le notizie in essi contenute. Ad esempio, la grave malattia di cui si parla nel proemio alla Gemma purpurea ("surrexi velocius a gravi somno infirmitatis, quo iacebam afflictus") non è con ogni probabilità un dato reale, come pensano Gaudenzi (1895, p. 150) e Monteverdi (1945, p. 86), ma un'infermità allegorica, cioè l'ignoranza e la rozzezza intellettuale, evocate onde sottolineare il potere taumaturgico tradizionalmente attribuito alla retorica, appunto la "gemma purpurea".
Comunque, dal proemio alla Rota nova si apprende che il F., dopo essersi dedicato agli studi letterari, passò, seguendo un iter scolastico abituale, a quelli giuridici, coltivati per due anni (forse tra il 1211 e il 1213) e poi interrotti perché, a suo parere, inconciliabili con la pratica delle lettere e anzi tali da pregiudicare le capacità acquisite con lo studio della retorica. Spinto dalle necessità finanziarie, si diede poi, forse a partire dal 1216, all'esercizio della professione notarile. Nel 1219, come già dett.o, lo troviamo in effetti registrato tra i notai bolognesi, e vari documenti del 1219-20 menzionano un notaio "Guido Faba" che, nonostante i dubbi sollevati in merito dal Torraca (1923, pp. 31 s.), è oggi comunemente identificato col dettatore.
Pare che il F. esercitasse la professione notarile per circa quattro o cinque anni; in questo periodo, fu incaricato di accompagnare i rappresentanti della città di Bologna, tra il 1219 e il 1220, a Viterbo, presso il cardinale Ugo da Ostia il futuro papa Gregorio IX (legato pontificio nell'Italia settentrionale e in Toscana), cui era stata demandata la risoluzione di un contenzioso che opponeva le città di Pistoia e di Bologna. Dopo questa missione, che lo impegnò almeno fino all'ottobre 1220, il F. passò per due anni al , servizio di Enrico vescovo di Bologna, in qualità di scriba (1221-22); l'identificazione del "Guido scriba domini episcopi", citato in un documento del 1221 (Gaudenzi, 1895, p. 151), con il dettatore è confermata dal prologo della Rota Nova, dove si legge che egli, lasciata l'attività notarile, fu per due anni scriba del vescovo di Bologna.
È possibile che già nel novembre 1220 avesse fatto parte del seguito del vescovo quando questi si recò a Roma per assistere all'incoronazione di Federico II. Da un passo della Summa dictaminis sembra del resto che il F. abbia soggiornato presso la Curia pontificia, apprendendo alcuni rudimenti di diritto canonico e della tecnica epistolare romana. Altrove, egli risulta aver esercitato, prima del 1227, l'attività di iudex delegatus del pontefice, ma tutto ciò è incerto, anche perché simili dati vengono desunti da testi, quali i modelli epistolari, cui non sembra legittimo (dato il loro carattere formulare) assegnare una decisiva importanza sotto l'aspetto documentario e biografico.
A partire dal 1223 il F. cessò di lavorare come scriba per il vescovo di Bologna, a suo dire perché disgustato dalla corruzione dei clero e desideroso di riacquistare la sua libertà. Nel prologo della Rota nova si legge che "curam capelle sancti Michaelis suscepit, in qua feliciter ad sacerdotalis ordinis officium est promotus" (Kantorowicz, 1941-43, p. 280). Anche in varie altre opere il F. si definisce "cappellanus", "canonicus", "sacerdos" e "presbyter"; in particolare, più volte egli si qualifica come "ecclesie sancti Michaelis fori medii cappellanus". È molto probabile, pertanto, che - come, d'altra parte, si è sempre pensato - il F. abbia effettivamente preso gli ordini sacerdotali; non è da escludere, però, che nel prologo alla Rota nova questa carica (chierico o cappellano della chiesa di S. Michele di Mercato di Mezzo a Bologna) non sia da intendere come una autentica carica ecclesiastica, ma che - conformemente al carattere dei prologo stesso - anche il brano appena citato debba interpretarsi allegoricamente.
Poiché talora il F. si definisce "magister Sancti Michaelis Bononiensis", e poiché i maestri tenevano usualmente i loro corsi presso conventi o chiese (ed erano, quindi, come gli studenti, ascritti a questa o a quella cappella), è probabile che nel prologo alla Rota nova egli alluda semplicemente alla sua nomina a maestro di retorica presso la chiesa di S. Michele, alla riorganizzazione - da lui promossa - degli studi all'interno della stessa chiesa ("rehedificans ecclesiam"), al superamento di molti ostacoli ("post vicinorum multas persecutiones et scandala"), dovuti all'invidia dei colleghi ("quorum partem clerici fovebant civitatis latenter"), e infine alla composizione di un'opera di dictamen (la Rota Nova, appunto), dedicata all'arcangelo Michele e da lui stesso ispirata ("novum templum fabricari fecit archangelo Michacli, cuius preceptionibus et mandatis ystoriam hanc descripsit, que Nova rota meruit appellari").
L'inizio dell'attività didattica del F. può quindi collocarsi intorno al 1223; da questo momento in poi (o meglio dal 1225-26, periodo in cui si colloca la stesura della Rota nova) manca qualsiasi dato certo intorno alla vita del dettatore bolognese. Nei due decenni successivi si colloca comunque la composizione di tutte le opere del F., strettamente connesse al suo insegnamento presso lo Studio bolognese, ma in gran parte di incerta datazione. Proprio dall'esame di una di esse, i Parlamenta et epistole, che - nei modelli epistolari ivi contenuti - presentano un numero singolarmente alto di allusioni a Siena, il Gaudenzi (1895, pp. 146-150) ritenne legittimo ipotizzare un tardo trasferimento del F. nella città toscana, successivo al 1239 (data proposta dal Gaudenzi quale terminus post quem per la composizione dei Parlamenta). Lo stesso Gaudenzi, che inclina a datare i Parlamenta al 1242-43, suggerisce di attribuire il trasferimento del F. a Siena a ragioni politiche (le lotte bolognesi tra guelfi e ghibellini) e professionali: la fazione ghibellina, infatti, cominciò ad adoperarsi, intorno al 1240, per l'istituzione di uno Studio senese, che venne effettivamente fondato nel 1246. Secondo il Torraca, invece (1923, pp. 33 s.), l'ipotesi del Gaudenzi non è sostenibile e i Parlamenta sarebbero opera di un altro autore, Guido da Siena, che risulta in effetti attivo a Bologna nella prima metà del sec. XIII; tali riserve non sono state però accolte dai più recenti studiosi, giacché i codici che trasmettono l'opera la attribuiscono esplicitamente a "Guido Fava" e la collocano accanto ad altre opere del dettatore bolognese (lo stesso Torraca, del resto, attribuì poi i Parlamenta al F.; 1926, pp. 73 s.).
Ignoti sono anche luogo e data di morte del Fava. Gaudenzi (1895, p. 150) ritiene che il dettatore morisse tra il 1245 e il 1250, poiché (ma l'argomento sembra debole) il codice Vat. lat. 5107, a suo avviso copiato entro quegli anni, reca, dopo il titolo Epistole magistri Guidonis, una croce, da lui interpretata come un "requiescat in pace".
Le opere del F. godettero di notevole fortuna fino al XV secolo e sono trasmesse da numerosissimi codici, in buona parte di origine italiana, ma anche spagnoli, inglesi, francesi e germanici. Manca, a tutt'oggi, uno spoglio sistematico di questa ampia tradizione manoscritta, necessario non solo per consentire l'allestimento di edizioni criticamente affidabili, ma anche per potere stendere un inventario preciso della produzione del Fava. A causa della loro destinazione eminentemente "pratica", i suoi scritti sono andati infatti incontro a svariati accidenti di trasmissione: alcuni testi sono stati rimaneggiati, interpolati, sunteggiati o volgarizzati; da altri sono stati ricavati degli excerpta; altri ancora presentano titoli variabili che ne rendono difficile il riconoscimento e possono generare equivoci. In alcuni casi, poi, era lo stesso F. a rielaborare i suoi scritti, approntandone nuove redazioni, probabilmente per ragioni didattiche. In più, non si può escludere - alla luce di questa situazione tradizionale, e anche a causa del ricorrere di certi titoli (Ars dictandi, Summa dictaminis, Arenge, Exordia, Parlamenta) nella produzione dei "dettatori" - che opere giunteci adespote debbano essere assegnate al F. e che, viceversa, gli siano stati attribuiti (per la sua fama, o per la diffusione del nome "Guido") scritti non suoi (il caso più significativo è quello del manoscritto Theol. lat. qu. 261 della Staatsbibliothek di Berlino, che, copiato a Lucca alla fine del XIII secolo, scambia il F. con Guido d'Arezzo, attribuendo al dettatore bolognese - "magister Guido Faba" - una frammentaria Ars musice). Nell'elenco che segue, pertanto, si rinuncia all'indicazione completa dei codici che trasmettono le opere del F. (rinviando una volta per tutte agli indici dell'Iter Italicum), salvo che nei casi in cui la tradizione manoscritta sia stata già adeguatamente esplorata.
La fortuna di molti degli scritti del F. fu tale che, ben presto, si costituì una sorta di "canone" o di "antologia", comprendente opere quali la Summa dictaminis, i Dictamina rhetorica, gli Exordia, le Arenge, la Summa de vitiis et virtutibus e le Petitiones. Molti codici, infatti, raccolgono questi testi, talora con qualche omissione e con qualche modifica nella successione: Barcellona, Bibl. central, cod. 1259; Montecassino, Bibl. della Badia, 281; Einsiedelii, Klosterbibl. 331; Firenze, Bibl. Medic. Laurenziana, Ashb. 1601; London, British Library, Add. 8167 e 33221; Monaco, Bayerische Staatsbibl., Lat. 16124, 21565, 23505, 23497; Napoli, Bibl. naz., Brancacc. VII.A.17; Parigi, Bibl. nat., Lat. 8652a; Todi, Bibl. comun., cod. 167; Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 5107, Chig. J.IV.106, Ottob. lat. 448, Palat. lat. 1611; Wien, Osterreich. Nationalbibl., Cod. lat. 585.
Altre opere, invece, sono trasmesse da un minor numero di manoscritti e sembrano aver goduto di una minor diffusione: tra queste vi sono anche la Gemma purpurea e i Parlamenta et epistole, che hanno invece maggiormente attirato l'attenzione degli studiosi per la presenza, in esse, di parti in volgare (ma proprio questo fatto, forse, ne limitò la circolazione, sia in Italia sia fuori).
Opere: Summa dictaminis. Databile al 1228-29 circa (essendo dedicata al podestà di Bologna Aliprando Fava, che tenne l'incarico nel 1229), è la maggiore delle opere teoriche del R; pur affine ai lavori consimili degli altri coevi dettatori attivi a Bologna (il Boncompagnus di Boncompagno da Signa e, soprattutto, il Candelabrum di Bene da Firenze, che risulta direttamente utilizzato nella Summa), essa se ne distingue - conformemente alla vocazione pedagogica tipica del F. - per il carattere più agilmente e pianamente manualistico. Delle due sezioni in cui il trattato si divide, la prima si occupa De vitiis evitandis et virtutibus inserendis, la seconda De omnibus regulis que faciunt ad artem utiliter adnotatis: l'analisi degli errori e dei difetti da evitare nella composizione epistolare precede, cioè, lo studio delle regole basilari dell'ars dictandi. Tra le opere del F. è quella che vanta la più ampia tradizione manoscritta e che più spesso compare anche isolatamente; anziché quello con cui è oggi comunemente nota, vari codici le attribuiscono altri e molteplici titoli, quali, ad esempio, Summa dictaminum, Summa prosaici dictaminis, Summa dictandi, Viridarium, Ars floribus rethorice, Ars floribus rethorice prepollentis. Edizione parziale (limitata alla breve sezione occupata dalla Doctrina privilegiorum) in L. Rockinger, Briefsteller und Formelbücher des elften bis vierzehnten Jahrhunderts, Berlin 1863, pp. 197-200; ediz. completa a cura di A. Gaudenzi, in Il Propugnatore, III (1890), 1, pp. 287-338; 2, pp. 345-393. Una redazione abbreviata, intitolata Summula de alto stilo, propter rudes et non vitiosos (opera forse dello stesso F., o di un allievo) è nel manoscritto Campori 26 della Bibl. Estense di Modena; un volgarizzamento parziale (che interessa il settore riservato alla teoria della salutatio) è nel manoscritto Plut. 76, 74 della Bibl. Medic. Laurenziana di Firenze, cc. 32r-51v. I capitoli CLXV-CLXVIII della seconda parte (occupati da una lista di 104 sentenze bibliche da utilizzare nell'exordium dell'epistola) hanno avuto anche una circolazione indipendente, sotto titoli quali De sapientia Salomonis e De proverbiis Salomonis.
Dictamina rhetorica (1226-28 circa). Contengono duecentoventi modelli epistolari, che toccano le situazioni e gli argomenti più diversi, e che coprono tutti i gradini della scala sociale, dallo studente al papa e all'imperatore. Anche quest'opera, che circola spesso insieme con la Summa, ebbe grande fortuna e costituì un modello quasi obbligato per le analoghe raccolte successive; estratti e rimaneggiamenti se ne trovano nelle sedi più disparate, come ad esempio in un formulario di cancelleria di ambiente francescano. I Dictamina furono editi dal Gaudenzi in Il Propugnatore, V (1892), 1, pp. 86-129; 2, pp. 58-109 (rist. anast., in G. Faba, Dictamina rhetorica. Epistole, Bologna 1971, pp. 2-97).
Exordia (in alcuni manoscritti, la prima sezione dell'opera reca il titolo Proverbia inter amicos et socios, da alcuni erroneamente attribuito all'intero trattatello). Secondo il F., l'epistola comprende tre parti fondamentali: exordium, narratio, petitio. Negli Exordia si forniscono trecentotrenta sentenze utilizzabili, appunto, come apertura della lettera, suddivise in nove sezioni a seconda dell'argomento e del destinatario. In alcuni codici, al blocco dei trecentotrenta exordia veri e propri tengono dietro altrettante continuationes, ossia brani di transizione con cui collegare l'exordium alla narratio. Questi codici, secondo Pini (1956, p. 82), attesterebbero la prima redazione dell'opera (da collocare probabilmente tra i più antichi lavori del F.); la seconda redazione (forse posteriore al 1229) sarebbe quella trasmessa dai manoscritti che, invece, fanno seguire a ciascun esordio la rispettiva continuazione, rendendo certo più pratica la consultazione e l'utilizzazione del testo. Tra i numerosi codici che trasmettono gli Exordia, è degno di nota il II.II.72 della Bibl. naz. di Firenze, in cui l'opera - attribuita a "maestro Guido Fava d'Arezzo" - è volgarizzata e omette le continuationes (come avviene anche in alcuni manoscritti che contengono il testo latino, ad esempio nel Cod. Lat. 585 della Österreich. Nationalbibl. di Vienna). In questa forma, cioè senza le continuazioni, l'opera fu edita da O. Redlich, Eine Wiener Briefsammlung zur Geschichte des deutschen Reiches und der österreichischen Länder in der zweiten Hälfte des XIII. Jahrhunderts, Wien 1894, pp. 317-331 (dall'Ottob. lat. 2115 della Bibl. apost. Vaticana, in cui l'ordine degli esordi non corrisponde a quello attestato dalla maggioranza degli altri codici), G. Vecchi (1954, pp. 295-299) pubblica la prima sezione del trattatello, affiancando al testo latino (desunto dal manoscritto Lat. 585 della Österreich. Nationalbibl. di Vienna) quello del volgarizzamento (dal manoscritto II.II.72 della Bibl. naz. di Firenze). Lo stesso Vecchi (ibid., p. 295) annunciò un'edizione critica degli Exordia, a cura di Virgilio Pini, che non ha però mai visto la luce.
Summa de vitiis et virtutibus (Tractatus de vitiis et virtutibus, Exordia de vitiis et virtutibus). Mancano elementi per la datazione. L'opera è però posteriore agli Exordia, cui il F. fa cenno nella Summa de vitiis. Si tratta di una raccolta di esordi tematicamente circoscritti, in quanto relativi esclusivamente ai sette vizi capitali e alle sette virtù. L'opera è divisa in due parti di identica struttura: proemio, definizione di ciascun vizio o virtù, sei esordi per ogni vizio o virtù, altrettante relative continuationes. Come per gli Exordia, i codici testimoniano dell'esistenza di due redazioni: una in cui (in conformità con quanto lo stesso F. afferma nel proemio) esordi e continuazioni sono separati, e una, probabilmente più tarda, in cui a ogni esordio segue la rispettiva continuazione. Anche di quest'opera, tradita da molti manoscritti, fu eseguito un volgarizzamento (si legge anch'esso nel manoscritto II.II.72 della Bibl. naz. di Firenze). Edizione critica, sulla base di 15 manoscritti, in Pini, 1956, pp. 97-152 (altri testimoni dell'opera, non noti al Pini, sono: Napoli, Bibl. naz., Brancacc. VII.A.17, mutilo; Barcellona, Bibl. central, 1259; Madrid, Bibl. nacional, cod. 8099).
Arenge. Sonomodelli di orazione pubblica, ad uso di podestà, giudici, ambasciatori, prelati; l'opera inaugura l'applicazione delle norme dell'ars dictandi all'eloquenza politica e civile, e fu il modello delle analoghe compilazioni, latine e volgari, redatte in gran numero a partire dalla metà del XIII secolo, fra cui la più celebre è costituita dalle Arengae (volgari) del bolognese Matteo de' Libri, composte alla fine del Duecento. A differenza di queste ultime, tuttavia, le Arenge del F. sono in gran parte assimilabili a semplici exordia, e di rado assumono il più ampio respiro della vera e propria orazione. A una prima stesura (di datazione ignota) fece seguito una più ampia redazione (assegnabile, sulla base di indizi interni, al 1240-41), caratterizzata dall'aggiunta di sei lunghe orazioni complete di carattere storico-politico. Un volgarizzamento dell'opera è nel manoscritto Plut. 76, 74 della Bibl. Medic. Laurenz. di Firenze, con attribuzione a "maestro Guido Fava di Lucca". Gli incipit di tutte le arenge (centodue, fra prima e seconda redazione) sono editi in G. Vecchi, Le "Arenge" di Guido Faba e l'eloquenza d'arte, civile e politica duecentesca, in Quadrivium, IV (1960), pp. 61-90; lo stesso Vecchi curò anche un'edizione integrale dell'opera, apparsa però (come egli dichiara) solo "in forma provvisoria" a Bologna nel 1954, e oggi irreperibile.
Petitiones (datazione incerta). Contengono modelli di suppliche al papa, soprattutto concernenti questioni di diritto canonico. L'opera èinedita. Pini (1956), pp. 58-80, ne individua dieci manoscritti.
Gemma purpurea (1239-48). È un manuale di epistolografia, specialmente dedicato alle tecniche e ai modi dell'exordium. Il titolo riecheggia quello (Aurea gemma) proprio di vari trattati di ars dictandi composti tra XII e XIII sec., il più noto dei quali fu steso a Pavia da Henricus Francigena tra il 11 19 e il 1124; esso, inoltre, è indicativo del gusto per lo stile fiorito e allegorico che caratterizza, nei titoli e nei proemi, molti dei trattati di dictamen (si ricordi il Candelabrum di Bene da Firenze, il Cedrus, l'Oliva e la Palma di Boncompagno). La "gemma", per il F., è infatti la retorica (che illumina le tenebre dell'ignoranza), mentre l'aggettivo purpurea si riferisce agli artifici e alle figure della retorica stessa, definiti tecnicamente colores (nel prologo della Rota nova, il F. parla di "purpurata. dietaminis scientia"). La prima parte dell'opera comprende liste di appellativi e titoli appropriati a personaggi di diverso rango, ed elenchi di verbi e avverbi adatti ai vari tipi di esordio. Quindi, dopo alcuni suggerimenti di ordine generale intorno alla stesura di un'epistola (cap. XXII, "Doctrina ad inveniendas, incipiendas et formandas materias et ad ea que circa huiusmodi requiruntur"), l'autore fornisce, dividendoli per capitoli (a seconda del rango sociale del destinatario e della modalità di inizio: con preposizione, con avverbio, ecc.), modelli di esordi latini e volgari. L'opera deve la sua importanza alla presenza, nella seconda parte, di quindici formule epistolari (o, per meglio dire, esordi) in volgare, che il F. colloca, una per capitolo, in calce a quelle latine: ciò ha attirato sulla Gemma l'interesse degli studiosi, che hanno individuato in queste scarne formule la prima testimonianza dell'uso letterario del volgare, imposto, nel campo dell'ars dictandi, dalle esigenze pratiche della vita comunale. L'opera è trasmessa integralmente da nove manoscritti (a quelli elencati e utilizzati dal Castellani si aggiunga il Brancacc. VII.A.17 della Bibl. naz. di Napoli); altri codici (Einsiedeln, Klosterbibl., 331; Toledo, Archivo y Bibl. capitolares, cod. 43, 4) omettono le formule volgari. Manca un'edizione completa: la seconda parte (dal cap. XXII in poi, ma con omissione delle tre formule conclusive) fu pubblicata dal Rockinger, Briefsteller und Formelbücher..., pp. 185-196, che credette questa sezione un'opera a sé (intitolata "Doctrina ad inveniendas, incipiendas et formandas materias": il titolo, in realtà, si riferisce al solo cap. XXII), distinta dalla Gemma; l'errore fu poi ripetuto dal Gaudenzi, che assegnò addirittura queste due presunte opere a due distinti periodi (1895, pp. 127 ss. 142 s.). Molte le edizioni delle sole formule volgari: su due manoscritti (Lat. 16124 e 23497 della Staatsbibl. di Monaco) si fonda quella di E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, Città di Castello 1888, pp. 32-35; su quattro (i due precedenti, più il Palat. lat. 1611 e il Vat. lat. 5107 della Bibl. apost. Vaticana) quelle dello stesso Monaci, La "Gemma purpurea" del maestro G. F. ricostituita nel testo volgare con l'aiuto di quattro codici, Roma 1901, di A. Monteverdi, Testi volgari italiani dei primi tempi, Modena 1941, pp. 121-125 (2. ediz., Modena 1948, pp. 158-163), e Saggi neolatini, pp. 94-101, di G. Lazzeri, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, Milano 1942, pp. 417-421, e di E. Monaci-F. Arese, Crestomazia italiana dei primi secoli, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, pp. 57 ss.; su otto (oltre ai suddetti quattro, il 585 della Österreich. Nationalbibl. di Vienna, l'Add. 33221 delle British Library di Londra, il Lat. 8652 A della Bibl. nat. di Parigi, il Lat. 23505 della Staatsbibl. di Monaco) quella, critica, di A. Castellani (1955, pp. 45-69, che trascrive diplomaticamente il testo di ogni formula secondo la lezione di ciascun manoscritto e che pubblica anche, alle pp. 23-29, i capp. I-II e XXII-XXIII del trattato), ripresa poi in La prosa delDuecento, pp. 7 s. (a cura di M. Marti).
Parlamenta et epistole (1242-43 circa). Caduti, dopo il Torraca, i dubbi sull'attribuzione al F. (si veda, per ulteriori argomenti, Castellani, 1955, pp. 70 s.), l'opera è comunemente ritenuta l'ultima fatica del dettatore bolognese. Contiene novantacinque modelli di discorsi (i parlamenta) e di lettere (le epistole), ed è strutturata in capitoli riservati ai più diversi argomenti e situazioni (ad esempio, "De patre ad filium in studio constitutum"; "De potestate ad potestatem pro cive spoliato"; ecc.); ogni capitolo si apre con un parlamentum, per lo più in volgare, cui seguono di norma tre epistole latine (di rado due o quattro) dedicate alla medesima questione e disposte in ordine di ampiezza decrescente ("Maior de eadeni materia"; "Minor de eadem materia"; "Minima de eadem materia"). Rispetto alla Gemma, l'opera si caratterizza per lo spazio maggiore e il ruolo non accessorio concesso al volgare (ventisei testi): un volgare che, come nella Gemma, presenta rarissimi elementi propriamente toscani (Castellani, 1955, pp. 70 s.) e in cui il F. applica - sia pure in misura minore - i medesimi artifici retorici impiegati nelle formule latine (cursus, con predilezione per il Velox, isocolie, uso di rime e, più spesso, di assonanze: vedi Schiaffini, 1931, pp. 26-36). I Parlamenta et epistole sono trasmessi da tre soli manoscritti: Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 5107; Vienna, Österreich. Nationalbibl., Cod. Lat., 585, London, British Library, Add. 33221. Due epistole (nn. 83-84, entrambe volgari) si trovano, isolate, anche nel manoscritto di Parigi, Bibl. nat., Lat. 8652A, c. 38v; si tratta dello scambio epistolare tra la Quaresima e il Carnevale, che rientra in un fortunato genere medioevale e costituisce una delle poche concessioni del F. al gusto - diffuso tra i dictatores - dell'epistola immaginaria, di carattere prettamente letterario. L'opera fu pubblicata quasi per intero da A. Gaudenzi, I suoni, le forme e le parole dell'odierno dialetto della città di Bologna, Bologna 1889, pp. 127-60, dal Vat. lat. 5107 (con omissione di nove pezzi: i nn. 16, 63, 87-90, 92-94, tutti latini). Edizioni dei soli brani volgari: Monaci, 1888, pp. 403 s.. (nn. 29, 42, 83-86); Crestomazia italiana dei primi secoli…, pp. 35-39 (nn. 1, 5, 9, 82-86, 95); Lazzeri, Antologia dei primi secoli, pp. 421-445 (tutti i 26 testi in volgare); E. Romano, I contrasti fra Carnevale e Quaresima nella letteratura italiana, Pavia 1907, pp. 14 s. (nn. 83-84); Monaci-Arese, Crestomazia italiana dei primi secoli..., pp. 59-63 (gli stessi numeri compresi nella Crestomazia del 1888, ma rivisti anche sul manoscritto viennese); La prosa del Duecento, pp. 9-18 (i nn. 1, 5, 9, 13, 25, 29, 34, 38, 42, 46, 82-84, a cura di M. Marti). Tutte queste edizioni, a parte quella di Monaci-Arese, si fondano sul solo manoscritto vaticano. Un facsimile delle cc. 72v-73r di questo codice (dove ha inizio l'opera) è in Archivio paleografico italiano, I, Roma 1882-1897, tav. 76; la relativa trascrizione diplomatica è in Bullettino dell'Archivio paleografico italiano, II (1912), pp. 224-228.
Rota nova (1226 circa). È un breve trattato di ars dictandi, e si configura come una versione preliminare, ridotta, della Summa dictaminis. Consta di due sezioni: una sugli errori da evitare, l'altra sulle regole da seguire nel redigere un'epistola. Il titolo - che riecheggia quello di un'opera di Boncompagno, la Rota Veneris - allude, secondo quanto afferma l'autore nel proemio, alla ruota della Fortuna, che ha sollevato lo stesso F. "de minori ordine ad maiorem". Il proemio, di notevole importanza sotto l'aspetto biografico, fu edito da Kantorowicz, 1941-43, pp. 277-280, dall'unico manoscritto che trasmette l'operetta, il 255 del New College di Oxford, cc. 1r-7v.
Epistole (1239-41 circa). Si tratta di una raccolta di modelli epistolari latini, sul modello dei Dictamina rhetorica. Trasmessa dal solo Vat. lat. 5107, l'opera fu edita da A. Gaudenzi in Il Propugnatore, VI (1893), 1, pp. 359-390, e 2, pp. 373-389 (rist. anast. in G. Faba, Dietamina rhetorica..., pp. 99-147, cit.).
Libelli ecclesiastici (forse 1226-34). L'operetta, inedita, è di argomento affine alle Petitiones: contiene, infatti, una piccola serie di "petizioni" di argomento ecclesiastico ("pro matrimonio", "pro divortio", "ad Papam pro pecunia", ecc.), cui seguono, infine, due liste di vocaboli ("De diversitate vocabulorum et modo scribendi circa ordinem clericalem" e "Verba prelatorum ad subditos"). Poiché in alcuni codici (ad esempio, il B 2095 della Bibl. com. dell'Archiginnasio di Bologna) il titolo del primo capitolo o petizione ("pro matrimonio") tiene dietro immediatamente al titolo generale, taluni assegnano erroneamente all'opera il titolo Libelli ecclesiastici pro matrimonio.
Littere stili secularis e Littere prosaici dictaminis stili ecclesiastici (datazione incerta). Inedite, queste due piccole raccolte di modelli epistolari (la prima delle quali mostra affinità con i Parlamenta et epistole) sono contenute, in quest'ordine, nel solo manoscritto 255 del New College di Oxford, rispettivamente alle cc. 6v, 8r-15v e 16r-22v.
Littera quam magister Guido Sancti Michaelis Bononie misit scolaribus in suo principio, et lecta fuit per omnes scolas (datazione ignota). Inedita, è nel manoscritto 255 del New College di Oxford, c. 33v.
Invectiva magistri contra scolares malitiosos et tenaces (datazione ignota). Inedita, è nel manoscritto 255 del New College di Oxford, c. 42.
Proverbia contenuti nel manoscritto Ashb. 258 della Bibl. Medicea Laurenz. di Firenze, cc. 6r-8v (datazione ignota). È una raccolta adespota di proverbi latini suddivisi in diciotto capitoletti a seconda del tema; per la sua struttura (affine a quella degli Exordia e della Summa de vitiis et virtutibus) e per la natura del codice che la trasmette (in cui tali proverbi seguono immediatamente, senza soluzione di continuità, le Arenge del F., a lui espressamente attribuite), alcuni studiosi hanno proposto di attribuirla al dettatore bolognese (vedi Pini, 1956, p. 50; Vecchi, 1954, pp. 299 ss.: quest'ultimo pubblica la tavola dei capitoli dell'operetta e i dieci proverbi del primo capitolo).
Littera carnisprivii contra quadragesimam adversariam suam; Invectiva quadragesime contra carnispriviwn inimicum suum. Sono nel manoscritto 255 del New College di Oxford, c. 49r-v; le pubblica Campbell 1975-76, pp. 121-23.
Fonti e Bibl.: Statuti delle Società del popolo di Bologna, a cura di A. Gaudenzi, II, Roma 1896, p. 441; Chartularium Studii Bononiensis, I, Bologna 1909, pp. 27 (n. XXX), 29 (n. XXXI), 47 (n. LI); E. Monaci, Su la 'Gemma purpurea' e altri scritti volgari di G. F. o Faba…, in Rendic. della R. Accad. dei Lincei, s. 4, IV (1888), pp. 399-405; A. Gabrielli, L'epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia medievale, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, XI (1888), pp. 404 ss.; A. Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buoncompagno a Bene di Lucca, in Bull. dell'Ist. stor. ital., XIV (1895), pp. 118- 151; Id., Lo Studio di Bologna nei primi due secoli della sua esistenza, Bologna 1901, p. 17; V. Cian, Lettere d'amore e segretari galanti nel tempo antico, Pisa 1905, pp. 8 s., 18; F. Torraca, Studi di storia letteraria, Firenze 1923, pp. 30-35; Id., Manuale della lett. ital., Firenze 1926, I, 1, pp. 73 s.; G. Zaccagnini, La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna nei secoli XIII e XIV, Genève 1926, pp. 87, 89, 95 s.; C. H. Haskins, Studies in mediaeval culture, New York 1929, pp. 7 ss., II, 17, 19 s. e passim; A. Schiaffini, La tecnica della 'prosa rimata' nel medioevo latino in G. F., Guittone e Dante, in Studi romanzi, XXI (1931), pp. 26-37; P. Rajna, Per il 'cursus' medievale e per Dante, in Studi di filologia ital., III (1932), pp. 48 ss.; N. Denholm-Young, The Cursus in England, in Oxford Essays in Mediaeval history presented to H. E. Salter, Oxford 1934, pp. 94 s.; A. Galletti, L'eloquenza (dalle origini al XVI secolo), Milano 1938, pp. 462-466; G. Pasquali, G. F., lo pseudo-Platone e Cicerone, in Giorn. stor. della lett. ital., CXIII (1939), pp. 262 ss. (poi in Terze pagine stravaganti, Firenze 1942, pp. 215 ss.); G. Bertoni, Il Duecento, Milano 1939, pp. 413 ss.; E. H. Kantorowicz, An 'autobiography' of G. Faba, in Mediaeval and Renaissance studies, I (1941-43), pp. 253-280; A. Monteverdi, Saggi neolatini, Roma 1945, pp. 77-109; L. Chirico, Un trattato inedito di G. Faba, in Biblion, I (1946), pp. 227-234; B. Terracini, Osservazioni sul testo delle formole epistolari volgari della "Gemma purpurea", in Atti della Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze mor., stor. e filol., LXXXIV (1949-50), pp. 315-329; A. Schiaffini, Momenti di storia della lingua ital., Bari 1950, pp. 57 ss., 67-70; G. De Luca, Un formulario della cancelleria francescana e altri formulari tra il XIII e il XIV secolo, in Arch. ital. per la storia della pietà, I (1951), pp. 296-299; G. Vecchi, Il "proverbio" nella pratica letteraria dei dettatori della scuola di Bologna, in Studi mediolatini e volgari, II (1954), pp. 294-301; A. Castellani, Le formule volgari di G. Faba, in Studi di filologia ital., XIII (1955), pp. 5-78; L. Suffritti, Il "Tractatus de vitiis et virtutibus" di G. Faba e la tecnica dell'exordium, tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, a.a. 1954-55; V. Pini, La "Summa de vitiis et virtutibus" di G. Faba, in Quadrivium, I (1956), pp. 41-152; E. G. Parodi, Lingua e lett., Venezia 1957, pp. 480-492; F. Di Capua, Scritti minori, Roma 1959, I, pp. 538-544, 548 s., 554 s. e passim; La prosa del Duecento, a cura di C. Segre-M. Martì, Milano-Napoli 1959, pp. 3-19 (a cura di M. Marti); G. Vecchi, Le "Arenge" di G. Faba e l'eloquenza d'arte, civile epolitica duecentesca, in Quadrivium, IV (1960), pp. 61-90; A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d'arte ital. dalla latinità medievale al Boccaccio, Roma 1969, pp. 33-42; A. P. Campbell, The perfection of 'Ars dietaminis' in G. Faba, in Revue de l'Université d'Ottawa, XXXIX (1969), pp. 103-139; F. Beggiato, F. G., in Enc. Dantesca, II, Roma 1970, pp. 81 ss.; A. E. Quaglio, Retorica, prosa e narrativa nel Duecento, in La lett. ital. Storia e testi, I, 2, Bari 1970, pp. 273-276; H. Wieruszowski, Politics and culture in medieval Spain and Italy, Roma 1971, pp. 362-365 e passim; A. P. Campbell, 'Ars dictaminis': order, beauty and our daily bread, in Humanities Association Bulletin, XXII (1971), 1, pp. 13-21; R. Crespo, Tullio e Cicerone, in Lettere ital., XXV (1973), pp. 84-88; Ch. B. Faulhaber, Retóricas clásical y medievales en bibliotecas castellanas, in L'Abaco, IV (1973), pp. 151 -300 e passim; A. P. Campbell, A debate between Shrovetide and Lent, in Archivum latinitatis Medii Aevi, XI, (1975-76), pp. 115-123; Ch. B. Faulhaber, The "Summa dictaminis" of G. Faba, in Medieval eloquence. Studies in the theory and practice of medieval rhetoric, a cura di J. J. Murphy, Berkeley-Los Angeles-London 1978, pp. 851 11; G. C. Alessio, in Bene Florentini Candelabrum, Padova 1983, pp. LXIII ss.; J. J. Murphy, La retorica nel Medioevo. Una storia delle teorie retoriche da s. Agostino al Rinascimento, Napoli 1983, pp. 292 ss.; E. Graziosi, Fra retorica e giurisprudenza, in Studi e mem. per la storia dell'Univ. di Bologna, n. s., III (1983), pp. 8, 17, 23, 33; M. Feo, Il carnevale dell'umanista, in Tradizione classica e letteratura umanistica. Per Alessandro Perosa Roma 1985, p. 29; C. Bologna, La lett. dell'Italia sett. nel Duecento, in Lett. ital. (Einaudi), Storia e geografia, I, Torino 1987, p. 173; M. Marti, La prosa, in Storia della lett. ital., Le origini e il Duecento (Garzanti), Milano 1987, pp. 562-565; F. Bruni, L'"Ars dictandi" e la letter. scolastica, in Storia della civiltà letteraria ital., diretta da G. Barberi Squarotti, I, 1, Torino 1990, pp. 174- 177 e passim; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad Indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi, IV, pp. 41 ss.