DELLA TORRE, Guido
Nato il 27 sett. 1259 da Francesco fratello di Napoleone, detto Napo, signore di Milano, e di Raimondo, patriarca di Aquileia, e da Giulia Castiglioni, non ancora ventenne partecipò attivamente alle lotte intestine che in quegli anni agitavano Milano. Prese parte infatti alla battaglia di Desio (21 genn. 1277) - che segnò la fine del governo dello zio Napo e l'inizio del predominio della fazione viscontea - e venne imprigionato dai Comaschi, con altri membri della famiglia, nel castello di Baradello. Nel 1284 venne liberato dai nemici dell'arcivescovo Ottone Visconti - in particolare Loterio Rusca, nuovo signore di Como, e Guglielmo VII marchese di Monferrato - i quali, unendo le loro forze, riuscirono a farlo fuggire. Sostenuto dal Rusca e soprattutto dal marchese di Monferrato, il D. mosse subito guerra al Visconti. Il conflitto, che si ampliò ulteriormente per i contrasti armati tra Loterio Rusca e il capo dei ghibellini comaschi, Simone da Locarno, parve prendere una piega favorevole per i Torriani, in seguito alla conquista di Castelseprio, nel 1285, da parte del cugino del D. Gotifredo Della Torre. Ma i Torriani non riuscirono a risolvere in modo definitivo il conflitto, soprattutto perché non poterono avvalersi del contingente armato inviato dal marchese di Monferrato che era rimasto bloccato dal maltempo.
Dopo alterni scontri, la pace venne finalmente conclusa il 3 apr. 1286 a Lomazzo, ma i Della Torre, sebbene fossero stati assolti da ogni pena, bando e confisca disposti a loro carico, per il momento non ottennero di rientrare in città. L'anno seguente, poi, in seguito ad una congiura ordita contro il Visconti, furono banditi molti nobili milanesi, tra cui naturalmente anche i Della Torre, i cui beni vennero nuovamente confiscati e distribuiti tra gli appartenenti al partito avverso. Il D. si rifugiò allora, al pari di molti altri congiunti, presso lo zio Raimondo, patriarca di Aquileia. Nel 1287 divenne podestà di Treviso, grazie ai buoni rapporti intercorrenti tra il signore di quella città e il patriarca di Aquileia.
Nel 1302 Alberto Scotti, signore di Piacenza, e Giovanni I, marchese di Monferrato, riuscirono a sconfiggere Matteo Visconti e lo costrinsero ad una pace, in virtù della quale il P. e molti suoi familiari poterono finalmente rientrare a Milano e riprendere possesso dei propri beni. Le nuove alleanze vennero rafforzate da un'oculata politica matrimoniale, per la quale il D., rimasto vedovo, poté prendere in moglie una figlia del conte Filippo Langosco, e suo figlio Francesco una nipote di Alberto Scotti e, l'altro figlio Simone, una figlia di Pietro Visconti. Nel 1303 si avevano nuovi scontri in Lombardia quando Matteo Visconti, cacciato da Milano, marciò contro Como; qui accorse subito il D., che riuscì a mettere in fuga i nemici. La prevalenza torriana a Milano, tuttavia, non era stabile, essendo continuamente minacciata da congiure interne e da insidie esterne, fomentate soprattutto da Alberto Scotti che era passato dalla parte dei Visconti.
Nel 1305 il D., dopo essersi recato a Tortona in qualità di arbitro per appianare le questioni interne di quella città, dovette occuparsi delle insidie che si andavano tramando a Milano contro di lui. I suoi nemici avevano, infatti, ordito una congiura per eliminare il governo torriano ma, grazie al tradimento di un congiurato, vennero scoperti e cacciati dalla città. Represse le minacce interne, dovette subito dopo affrontare nuovi contrasti scoppiati in Lombardia. Fu infatti messo a capo di una lega di potenze guelfe formatasi per combattere i Bresciani che, unitisi a Mantovani e a Veronesi, intendevano restituire il potere ai Suardi nella città di Bergamo. Dopo alterni scontri, che peraltro non condussero ad alcuna risoluzione definitiva, Matteo Visconti, alleatosi con Bresciani e Veronesi, tentò di sorprendere l'esercito milanese presso il ponte di Vaprio; ma, vista la superiorità numerica dei nemici, preferì abbandonare l'impresa e ritirarsi a Peschiera del Garda, in attesa di un'occasione migliore per affrontare il Della Torre.
Quest'ultimo intanto andava restaurando la signorìa torriana a Milano sotto la propria guida. Nel 1307 fu nominato capitano del Popolo di Milano per un anno, e contemporaneamente ricevette la medesima carica per due anni a Piacenza, dove inviò come podestà Passerino Della Torre.
L'anno seguente i Torriani accrebbero ulteriormente la loro autorità riunendo nelle mani della stessa famiglia potere politico e religioso, grazie alla elezione di Cassone Della Torre ad arcivescovo della città. Nel medesimo anno il D. fu costretto ad impugnare nuovamente le armi contro i Bresciani, coi quali venne poi stipulata la pace all'inizio del mese di ottobre. E sempre nel 1308, alla scadenza del suo capitanato, il D. riuscì a prolungarne la durata, consolidando così in modo notevole il proprio dominio e instaurando in Milano una vera e propria signoria. Riunitosi il Consiglio degli ottocento, il giureconsulto Corrado da Concorezzo aveva infatti proposto che gli fosse concesso il capitanato a vita. La proposta venne accolta con entusiasmo ed il D., portato in trionfo, vide così realizzate le sue aspirazioni alla signoria cittadina.
Non per questo tuttavia il suo dominio divenne più tranquillo. Nel maggio del 1309 sorsero, infatti, tumulti a Piacenza, in seguito ai quali il podestà e il presidio lasciatovi dal D. vennero cacciati dalla città. Egli, inoltre, era agitato da continui sospetti, soprattutto nei confronti dell'arcivescovo Cassone il quale, nel corso della guerra apertasi tra Venezia e la Chiesa per il dominio di Ferrara, militava insieme con i fratelli Pagano, Adoardo e Fiorimonte detto Moschino, al fianco di Galeazzo Visconti. In effetti l'arcivescovo lamentava l'eccessivo potere assunto dal D., così che quando Cassone e i fratelli tornarono a Milano il D. li fece imprigionare. Espose poi al Consiglio cittadino i motivi dell'arresto indicandoli sia nei sospetti che nascevano dai matrimoni contratti dai fratelli dell'arcivescovo con le figlie dei suoi maggiori nemici sia, soprattutto, nei colloqui segreti intercorsi tra Cassone e i suoi nemici allo scopo di attirarlo a Borgo San Donnino per entrare in città a darne la signoria all'arcivescovo. L'arresto di Cassone suscitò scalpore sia in città sia all'esterno: alla fine del mese di ottobre, per pressione delle città alleate di Milano, si giunse ad un accordo, in seguito al quale Cassone, liberato, dovette abbandonare la città, impegnandosi a non recare più alcun danno né a favorire scomuniche o interdetti contro il D. o contro Milano. Tale accordo non fu tuttavia rispettato e ovunque vennero pubblicati editti contro il D. e contro i suoi figli, che furono tutti scomunicati.
Il contrasto con l'arcivescovo Cassone indebolì decisamente la posizione del D., che si trovò ad affrontare sia le trame esterne, portate avanti dall'arcivescovo per favorire un ripristino della potenza viscontea, sia il malcontento interno diffuso nella cittadinanza milanese, sia l'ostilità presente nella sua stessa famiglia dove molti membri erano stati allontanati dal governo. D'altro canto anche l'autorità del D. nell'ambito della Lega guelfa andava diminuendo. Nel 1310 il vescovo di Costanza giunse a Milano per annunciare la discesa di Enrico VII in Italia. Tale notizia destò grosse preoccupazioni nel D. che, timoroso di perdere il proprio potere a Milano, si affrettò a convocare i più eminenti membri della lega, per decidere il da farsi. Seguì la sua proposta di impedire con le armi la discesa del sovrano, che tuttavia non venne accolta dai più, timorosi di mostrarsi troppo apertamente ostili ad Enrico VII. Al termine della riunione, non solo venne accantonata ogni velleità di aperta opposizione, ma si decise di mandare in Germania ambasciatori che dichiarassero fedeltà al re. Lo stesso D. non esitò a fargli pervenire menzognere assicurazioni di fedeltà, inviando contemporaneamente analoghe assicurazioni anche al papa, preoccupato per l'ambiguo atteggiamento del signore di Milano.
All'arrivo del principe tedesco in Italia, il D. cercò di impedire qualsiasi manifestazione in suo favore, ma i suoi timori crebbero quando vide accorrere ad Asti, al cospetto del re, i suoi principali nemici, tra cui Matteo Visconti e Cassone Della Torre. Questi ultimi giunsero a stipulare un vero e proprio atto di concordia tra le rispettive famiglie, accrescendo in tale modo le preoccupazioni del D. che, considerato un nemico da entrambi, non venne neppure nominato nell'accordo. Con tale atto Torriani e Visconti si perdonavano reciprocamente le offese subite e stabilivano una lunga serie di accordi e di patti che entrambe le parti giuravano solennemente di rispettare. Il D., sentendosi minacciato da ogni parte, cercò di migliorare la propria posizione liberando i fratelli di Cassone, i quali vennero inviati con alcuni ambasciatori a Novara, al cospetto del re. L'ostilità del D. nei confronti di Enrico VII non accennava, comunque, a diminuire, soprattutto perché, in seguito alla discesa del re, egli aveva perso l'appoggio di Novara, di Vercelli e di Vigevano, il cui governo era stato riordinato personalmente dal sovrano tedesco.
Il D. fu tuttavia costretto a comparire alla presenza di Enrico VII quando questi entrò solennementea Milano, il 23 dic. 1310, e, fatto atto di reverenza nei suoi confronti, dovette altresì cedergli la propria residenza, nel broletto vecchio.
I cronisti raccontano che il D., presentatosi per ultimo al cospetto del re, contrariamente a quanto avevano disposto gli altri nobili milanesi, non aveva dato ordine di abbassare le proprie insegne, cosicché i soldati tedeschi, dopo averle strappate di mano agli scudieri che le portavano, le gettarono nel fango. Il D., non potendo reagire in alcun modo, giudicò più opportuno scendere da cavallo e riverire il sovrano, che lo accolse con benevolenza, invitandolo ad essere pacifico e fedele.
Quattro giorni dopo il suo ingresso in città, Enrico VII cercò di ristabilirvi la pace, facendo firmare, il 27 dicembre, un atto di concordia tra Torriani e Visconti cui dovette intervenire lo stesso D., timoroso di perdere altrimenti i propri privilegi. Con tale atto, che venne confermato il 2 e il 3 genn. 1311,si stabilì che le due fazioni accantonassero ogni motivo di lite, che fossero perdonate le reciproche offese, che tutti i proscritti potessero rientrare in patria e riavere i loro beni, e che fosse annullato ogni bando o taglia esistente. Il 6 gennaio il sovrano venne solennemente incoronato re d'Italia nella basilica di S. Ambrogio.
In tale circostanza i Milanesi dovettero affrontare ingenti spese; di tale imposizione approfittò il D. per alimentare il malcontento nei confronti del sovrano tedesco. In città nacquero contrasti e discordie, soprattutto quando si seppe dell'accordo intercorso tra Galeazzo, figlio di Matteo Visconti, e Francesco Della Torre, figlio del D., contro le milizie germaniche. Seguirono giorni di tumulti e saccheggi: le case dei Torriani furono distrutte e il D., sebbene malato, dovette darsi alla fuga. Le circostanze che condussero a tale epilogo, che determinò la fine del potere torriano a Milano, non sono del tutto chiare, ma è probabile che i principali responsabili fossero i Visconti. Essi seppero infatti approfittare dell'occasione per mandare i Della Torre, soli, allo sbaraglio: messi in fuga dall'esercito nemico, dovettero così abbandonare la città nelle mani dei Visconti. Intanto il D., fuggito dapprima a Lodi e poi a Cremona, cercava di ristabilire rapporti con gli alleati guelfi, in particolare con Bologna e con Firenze, che non mancò di dimostrargli il suo appoggio, come risulta dalle lettere inviategli dai Priori della città nel novembre 1311. Tuttavia non si nutrivano più molte speranze nel D. e nella possibilità di una sua ripresa del potere, soprattutto perché a Milano si era ormai ristabilita la potenza viscontea, avendo Matteo ottenuto il vicariato imperiale.
Dopo un ultimo scontro armato, che si risolse in una sconfitta dei guelfi a Soncino, il D. si rifugiò a Cremona, dove morì nel 1312.
Dal suo testamento, di cui dà notizia il Corio, è possibile ricavare notizie circa le sue ingenti ricchezze. Egli lasciò ai figli Francesco detto Franceschino, Simone, Amorato e Guido beni molto consistenti: essi ereditarono, infatti, il castello di Castelletto col transito sopra il Ticino, le proprietà di Oggiono, di Cassirato, il ponte di Vaprio, i beni di Pontirolo, di Trento, di Pandino e di Odolengo; ebbero poi i possedimenti di Castel Sant'Angelo, di Trezzano, di Cassina de' Gatti, di Pasquerio di Severo, di Nossato, la rocca di Lecco, i beni di Montorfano, di Canobio, di Rho, di Pregnana, di Verano, di Castel San Giorgio a Legnano, di Castel de' Guidi, di Vizella e di Monteforte e le terre di Somma, Vericia e Galesche. Nel suo testamento il D. espresse inoltre la volontà di essere sepolto nella chiesa di S. Francesco a Milano: tuttavia tale desiderio non poté essere rispettato per l'irriducibile opposizione di Matteo Visconti.
Fonti e Bibl.: Ferreto Vicentino, Historia, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., IX,Mediolani 1726, coll. 1022, 1058, 1060-63,1094; F. Pipino, Chronicon, ibid., col. 729;Nicolaus episcopus Botrontinensis, Relatio de itinere Italico Henrici VIIimperatoris, ibid., coll. 888, 892 ss., 897; O. Alferius et G. Ventura, Chronica Astensia, ibid., XI, ibid. 1727, coll. 170, 231, 235;G. Flamma, Manipulus florum, ibid., coll. 690, 704, 718-21;Ptolomeus Lucensis, Historia ecclesiastica, ibid., col. 1206;I. de Mussis, Chronicum Placentinum, ibid., XVI, ibid. 1730, coll. 486 s.; Annales Mediolanenses, ibid., coll. 662, 675 s., 678, 688, 690-93; Storiepistoresi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XI, p. 52; Chronicon Estense, ibid., XV, pp. 75 s., 79;P. Azarii Liber gestorum in Lombardia, ibid., XVI, pp. 9 s., 12, 42; Chronicon Parmense..., ibid., IX, 9, a cura di G. Bonazzi, pp. 89, 103, 111 s., 114, 122 s., 159; Fr. Stephanardi de Vicomercato, Liber de gestis in civitate Mediolani, ibid., IX, 1, a cura di G. Calligaris, p. 81; L. A. Muratori, Deorigine et progresso in Italia gibellinae et guelphaefactionum, in Antiquitates Italicae Medii Aevi, IV,Mediolani 1741, coll. 632 s.; G. P. Cagnola, Storia di Milano dall'anno 1023 al 1497, a cura di C. Cantù, in Arch. stor. ital., III (1842), pp. 12 s.; Documenti per la storia del Friuli dal 1317 al 1325, a cura di G. Bianchi, Udine 1844,doc. 11; Chronica di Milano dal 948 al 1487, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Miscell. di storia ital., VIII (1869), pp. 71, 75, 87 s., 90; Acta Henrici VII, a cura di F. Bonaini, Florentiae 1877, I, pp. 15, 17, 19, 49; II, pp. 17, 63 s.,70 s.; I.Del Lungo, DinoCompagni e la sua cronica, I, Firenze 1879, pp. 618, 628, 989; II, ibid. 1887, pp. 364 ss., 387; Historia Iohannis de Cermenate... de situ Ambrosianae urbis, III,a cura di L. A. Ferrai, Roma 1889, in Fonti per la storia d'Italia, II, pp. 20, 22, 24, 28, 38, 60, 106; Constitutiones et acta publicaimperatorum et regum, in Mon. Germ. Hist., Legumsectio IV, I, Hannoverae et Lipsiae 1906, pp. 460-63; Italienische Analekten zur Reichsgeschichtedes 14. Jahrhunderts (1319-1378), a cura di Th. E. Mommsen, ibid., Schriften, Stuttgart 1952, pp. 27, 39; G. Bugati, Historia universale, Venetia 1570, pp. 347, 364, 367, 369 ss., 373-76, 378; P. Morigia, Historia dell'antichità di Milano, Venetia 1592, pp. 97 ss.; T. Calco, Historiae patriae libriviginti, Mediolani 1627, pp. 366, 423, 429 ss.; G. Ronchetti, Memorie istor. della città e della Chiesadi Bergamo, Bergamo 1807, II, pp. 404 ss.; III, pp. 8, 13, 17; C. de' Rosmini, Dell'istoria di Milano, Milano 1820, pp. 328, 367 ss.; P. Verri, Storiadi Milano, I,Milano 1824, pp. 338 ss.; P. Giovio, Vite dei dodici Visconti, Milano 1853, pp. 67 ss., 12, 83, 86, 94 ss.; G. Giulini, Memorie spettantialla storia ... di Milano ne' secoli bassi, Milano 1855, IV, pp. 540, 635, 679 s., 816 s., 819, 827 s., 834, 839 ss., 875 s., 879, 882 s.; V, pp. 11, 18 s., 32; F. Cusani, Storia di Milano, I,Milano 1861, pp. 169 s.; B. Coirio, Storia di Milano, I, Milano 1861, pp. 595 s., 623, 625, 691, 694 ss., 700 s., 707 ss., s., 731 s., 734, 737, 741, 754; M.G. Agnelli, Antonio Fissiraga e il monastero di S. Chiara di Lodi, in Arch. stor. lomb., XXVI (1889), p. 287; G. B. Picotti, I Caminesi e la loro signoriain Treviso dal 1283 al 1312, Livorno 1905, p. 335; G. Biscaro, Benzo d'Alessandria e i giudizi contro iribelli dell'Impero a Milano nel 1311, in Arch. stor. lomb., XXXIX(1907), 1, pp. 301-05; A. Battistella, I Lombardi in Friuli, XXXVII(1910), 2, pp. 308, 315, 339; R. Caggese, Roberto d'Angiò e i suoitempi, I,Firenze 1922, pp. 132, 137, 222; P. Paschini, Raimondo della Torre patriarca d'Aquileia, in Mem. stor. forogiuliesi, XVIII(1922), p. 92 n. 2; G. Biscaro, Guglielma la Boema e i Guglielmiti, in Arch. stor. lomb.,LVII (1930), p. 21; G. C. Bascapé, I conti palatini del Regno Italico e la città diPavia dal Comune alla signoria, ibid., LXII (1935), pp. 362 s.; A. Visconti, Storia di Milano, Milano 1937, pp. 244 s.; G. Franceschini, La vitasociale e politica nel Duecento, in Storia di Milano, IV, Milano 1954, pp. 364, 366; F. Cognasso, L'unificazione della Lombardia sotto Milano, ibid.,V,ibid. 1955, pp. 4 ss., 8-12, 15 s., 18, 21, 23, 25 s., 28, 30 ss., 38, 40, 45, 48 ss., 62 s., 68, 76 s., 82, 90; F. Cognasso, Istituz. comunali e signorili diMilano sotto i Visconti, ibid., VI,ibid. 1955, pp. 467, 526; E. Cattaneo, Istituz. ecclesiastiche milanesi, ibid., IX,ibid. 1961, p. 510; E. Cazzani, Vescovi ed arcivescovi di Milano, Milano 1955, pp. 185, 197 s.; A. Bosisio, Il Comune, in Storia diBrescia, I,Brescia 1961, pp. 695 s s.; F. Cognasso, I Visconti, Varese 1966, pp. 68, 79, 91 ss., 102, 104 ss., 110 s., 114, 118 s.; A. Bosisio, Storia diMilano, Milano 1969, pp. 131 ss.; F. De Vitt, Lasignoria dei Della Torre in Turbigo, in Boll. stor.-bibl. subalpino, LXXV (1977), pp. 648, 652; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1865, p. 113; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Torriani di Valsassina.