DELL'ANTELLA, Guido
Nacque a Firenze. da Filippo di Guido di Compagno, con molta probabilità nel maggio del 1254.
La sua famiglia era di antica piccola nobiltà, tradizionalmente dedita alla marcatura, mercanti erano il padre e lo zio paterno, Lamberto. La famiglia, originaria del paese di Antella (comune di Bagno a Ripoli) si era trasferita a Firenze sin dagli inizi del sec. XIII, dove risiedeva nella strada che poi si chiamò via degli Antellesi, nel quartiere di S. Croce.Il D., ancora giovanissimo, seguì le orme del padre impiegandosi come apprendista in diverse compagnie mercantili: nel 1267, a tredici anni, andò a Genova presso lo zio paterno Lamberto di Guido di Compagno; rimase nel fondaco genovese per circa diciotto mesi, per poi recarsi, intorno al 1270, a Venezia. Qui si impiegò, sempre come apprendista, presso la compagnia del fiorentino Rinuccio Cittadini, dove rimase almeno due anni. In questo periodo si formò una esperienza che gli fu poi assai utile per la sua successiva attività di mercante ed acquistò anche quella buona pratica di cambiatore che gli procurò, intorno al 1273, il suo primo incarico ufficiale: fu mandato, infatti, per conto della società della famiglia a svolgere attività di prestito a Ravenna, dove lo raggiunse anche il padre. Alla morte del padre - sopraggiunta proprio in quell'anno a Ravenna - il D. ereditò il titolo e i beni degli Antella. E fu proprio grazie al nuovo capitale disponibile e in virtù dell'esperienza accumulata negli anni precedenti, che il D. nel 1275 poté divenire socio della compagnia dello zio Lamberto, svolgendo la sua attività soprattutto a Firenze. In pochi anni la sua fortuna economica e sociale crebbe sensibilmente: fedelmente le Ricordanze testimoniano il costante incremento dei suoi affari.
Lasciata la compagnia di Lamberto Dell'Antella, il D. nel 1277 divenne socio della compagnia della famiglia fiorentina dei Della Scala. In tale qualità operò nei fondaci della compagnia di Firenze e Pisa, ma soprattutto, per gli stretti legami che la famiglia Della Scala aveva con il regno di Francia, egli si trovò a gestire il fondaco della società in Provenza. Successivamente si recò nelle varie sedi della Curia papale e ad Acri, in Medio Oriente. Lasciata la compagnia dei Della Scala, come risulta da un documento del 28 maggio 1290, il D. l'anno successivo divenne socio della compagnia di Biccio e Musciatto Franzesi, ricchi e potenti mercanti fiorentini, che svolgevano la loro attività in Francia particolarmente favoriti da Filippo IV il Bello. In qualità di socio di questa compagnia, il D. rappresentò i fratelli Franzesi a Nimes per circa tre anni, finché li lasciò per gravi disaccordi, come risulta da un documento del 12 marzo 1294.
Intorno al 1291 il D. aveva sposato Ghita Adimari, figlia di Goccia, che gli aveva procurato una nobile parentela, ma una scarsa dote consistente in 300 fiorini. Non ebbe luogo probabilmente il contratto di matrimonio che il D. aveva stipulato a Nimes il 12 sett. 1293 con Buono da Volterra per prendere in moglie una sua figlia e che fu annullato con un successivo atto del 12 marzo 1306. Le fonti tacciono il reale motivo di questo nuovo contratto matrimoniale rogato in un periodo in cui il D. era già sposato con Ghita Adimari, ma risiedeva a Nimes per conto della compagnia dei Franzesi. La rottura con i Franzesi e il ritorno a Firenze dovette comunque favorire un riavvicinamento con Ghita, poiché il 1° giugno 1295 il D. ebbe dalla moglie il primo figlio di nome Deo che visse solo tre mesi. Non sembra che si possa accogliere l'opinione espressa dal Davidsohn secondo la quale il D. si sarebbe sposato una prima volta con Ghita Adimari ed una seconda volta con una figlia di Buono da Volterra. In base a tale ipotesi il D. avrebbe sposato Ghita nel 1281 e, rimasto vedovo, avrebbe sposato in seconde nozze a Nimes una figlia del mercante Buono da Volterra. Ma, oltre al contrasto con quanto asserito dal D. nelle Ricordanze e che pare surrogato da fonti archivistiche chiare, una più generale considerazione farebbe apparire quanto meno imprecisa l'ipotesi di due matrimoni. Infatti il D. sposò Ghita nel 1291 e, se è vero che stipulò un contratto di matrimonio con Buono da Volterra nel 1293, è altrettanto vero che lo annullò con un successivo documento del 1306. Inoltre egli ebbe da Ghita dieci figli che nacquero fra il 1295 e il 1312, in un periodo in cui, secondo il Davidshon, Ghita sarebbe dovuta essere già morta. Infine, secondo quanto asserito dai figli del D. che continuarono il libro di Ricordanze del padre, Ghita Adimari sopravvisse al marito e morì nel 1325.
Una volta a Firenze, nel 1296 il D. riprese l'attività di cambiatore prendendo in appalto insieme al fratello Neri e a Lapo Cederini il banco di cambio dei Baccarelli. Senonché questa società dovette fallire, perché solo dopo due anni il D. diventò socio della compagnia di Giovanni Cerchi, una compagnia collaterale della grande casa bancaria dei Cerchi. All'inizio dei disordini verificatesi a Firenze fra i due partiti guelfi dei Cerchi e dei Donati, il D. prese la decisione - testimoniata dal documento del 1° apr. 1301 - di lasciare la compagnia dei Cerchi. In questa manovra gli va riconosciuta una notevole abilità e previdenza, poichéessendosi staccato dalla compagnia dei Cerchi prima del novembre 1301 - quando, con al potere la fazione dei neri, i bianchi furono esiliati - forse il D. riuscì ad evitare il confino che colpì tutti i soci della compagnia dei Cerchi bianchi. Questi rivolgimenti politici dovettero comunque minare la sua attività, perché a quarantasette anni il D. si ritirò dagli affari.
Probabilmente si limitò da allora in poi ad amministrare il patrimonio familiare, compresi i recenti acquisti fatti in comune con il fratello Neri e, in alcuni casi, insieme ad altri parenti ed amici. Infatti il D., come testimoniano le Ricordanze, investì una notevole quota dei suoi proventi in proprietà terriere e immobiliari, incrementando attivamente il patrimonio familiare con acquisti in Firenze e nel contado. Già nel 1285 il D. insieme al fratello Neri aveva comprato per 200 fiorini dallo zio Lamberto la terza parte di una casa posta a Firenze. Il D. poi aveva continuato ad aumentare il suo patrimonio immobiliare, in società con il fratello Neri e i figli dello zio paterno Lamberto e Guido Compagni: nel 1287 con l'acquisto di una casa a Firenze pagata 800 fiorini e nel 1294 con l'acquisto delle case di alcuni membri della famiglia Dati poste a Firenze. Inoltre, nel 1296, acquistando tre case poste nella "cappella" di S. Romolo a Firenze, anche se poi ne vendette una ed una parte di un'altra al fratello Barzellino. Nel 1297 egli risulta impegnato in un importante investimento fondiario: un podere a S. Ambrogio pagato 900 fiorini e poi 5 insieme con il fratello Neri, la metà di tutte le case e terre possedute da Ciaco di Gavignano a Boroli per un valore di 600 fiorini. Nei primi anni del XIV secolo, infine, il D. procedette alla divisione dei beni con il fratello Neri. A Neri rimase il podere di Mancignano e al D. le proprietà di Boroli con 200 fiorini. I primi anni del XIV secolo vedono aumentare la fortuna privata del D.: egli incrementò il patrimonio fondiario nel territorio di Boroli con l'acquisto di una casa e di una vigna, comprò un bosco nel luogo detto Fico e la tenuta della Sala acquistata da Primerano della Sardella; affrontò inoltre l'acquisto della casa che era stata di Farinata degli Uberti, posta sul canto della piazza degli Uberti, venduta da Lambertuccio Frescobaldi, Uberto di Ruggero Rossi e Guido Cavalcanti e contemporaneamente riscattò la proprietà della casa posta nella "cappella" di S. Romolo, acquistata nel 1296 ed in parte venduta al fratello Barzellino. E con ogni probabilità fu questa la situazione patrimoniale che il D. lasciò in eredità ai figli.
All'indomani della morte di Corso Donati e dell'elezione di Arrigo VII di Lussemburgo, cambiata la situazione politica, il D., stimato uomo d'affari, non diversamente da altri alternò la sua attività di mercante con quelle mansioni politiche e diplomatiche che il governo fiorentino gli affidava di volta in volta. Nel 1308 i guelfi bianchi e i ghibellini, pensando che il nuovo imperatore sarebbe intervenuto nelle questioni politiche di Firenze, decisero di inviare in Germania una ambasceria per perorare la loro causa. Il D., la cui indiscussa fede alla causa della fazione dei bianchi risaliva ai tempi della battaglia di Montaccianico, fu messo a capo di questa importante delegazione. Anche nel periodo immediatamente successivo il D. dovette essere un cittadino assai influente, poiché venne chiamato a fare parte di una seconda ambasceria mandata incontro ad Arrigo VII ormai sceso in Italia. In questa occasione il D. ebbe a manifestare le sue notevoli attitudini di politico e diplomatico: fece parte dell'esercito imperiale stanziato alle porte di Brescia, divenendo consigliere di Arrigo VII; infine insieme a Giovanni Cerchi e a due membri della famiglia Tani - questi ultimi in qualità di ufficiali di Zecca - agì per conto dell'imperatore in Italia.
Il D. morì a Firenze l'11 marzo 1314.
Ebbe dalla moglie Ghita dieci figli: i primi quattro morirono prima di raggiungere l'anno e sei sopravvissero: Lippa (nata il 18 sett. 1300), Sandro (nato il 15 maggio 1302), Giovanni (nato nel febbraio 1303 gonfaloniere nel 1343), Ranieri (nato l'8 maggio 1304), Elisabetta (nata il 15 ott. 1310 e sposata ad Andrea Gherardini con una dote di 700 fiorini d'oro nel 1326), e, per ultimo, Zanobio (nato l'8 giugno 1312 nella nuova tenuta della Sala). Inoltre il D. ebbe due figli illegittimi: il primo nato nel 1272 da Berta ed il secondo nato nel 1291 in Francia da una serva di Piccardia che non fu riconosciuto, perché in seguito il D. appurò che non era suo figlio.
La fama del D. è anche legata al suo Libro di ricordanze, iniziato nel marzo 1298, all'indomani del suo ritorno a Firenze dalla Francia, e continuato dai figli ed in alcuni tratti dai nipoti per tutto il XIV secolo. L'opera consiste in una serie di appunti riguardanti le vicende salienti della vita privata e pubblica del D. e dei suoi più stretti familiari divisa per argomenti. Le Ricordanze sono conservate nell'Archivio di Stato di Firenze, Manoscritti 74, cc. 1r-68r; sono state altresì parzialmente edite a cura di C. Milanesi, Ricordanze di Guido di Ghidone e de' suoi figlioli e discendenti, in Arch. stor. ital., s. 1, IV (1842), 1, pp. 3-24.
Fonti e Bibl.: La document. relativa alla famiglia e alla vita del D. è conservata presso l'Arch. di Stato di Firenze, Carte Pucci, cart. I, 30; Ibid., Carte Dei, 5, ins. 211; Ibid., Carte Papiani Ceramelli, 170; Ibid., Carte Sebregondi, busta 162 a-b; Ibid., Carte Ancisa, BB 349; Ibid., Carte Strozziane, s. 2, 55, cc. 128rv; Ibid., Manoscritti, 624 (= Sepoltuario del Rosselli, 1),c.420, n. 216; Ibid., Manoscritti, 626 (= Sepoltuario Risciom), I, cc. 33v, 149r, 196r; Ibid., Manoscritti, 421 (= P. Monaldi, Historia delle famiglie della città di Firenze e della nobiltà dei fiorentini), cc. 56v, 194v-195r; Firenze, Biblioteca nazionale, Spoglio Borghini, XXV, 44, c. 21; G. Villani, Cronica, Firenze 1823, VIII, p. 164; F. Edler, Glossary of medieval terms of business Italian series 1200-1600, Cambridge, Mass., 1934, p. 10; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1960, II, p. 507; IV, pp. 21° s., 297, 48° s., 570; VI, pp. 357 s., 597, 620, 623, 654, 752, 859, 887.