GUIDO da Suzzara
Nacque probabilmente a Suzzara, località nei pressi di Mantova, intorno al 1225.
Scarne e del tutto ipotetiche le notizie sulla famiglia: il padre è stato talvolta identificato dalla letteratura erudita nel nobilis vir Pietro da Suzzara, giurista. È probabile, tuttavia, che si sia fatta confusione: un Pietro Suzzari professore di leggi (morto nel 1327) fu infatti, secondo Azzari, fratello di G., mentre, a parere di Panciroli - e con più verosimiglianza - fu suo figlio.
Due documenti mantovani ci offrono le prime notizie su G.: il 24 genn. 1247 è indicato come legista, il 25 ott. 1250 come doctor legum; tra questi due estremi deve dunque collocarsi la data della laurea. In quegli anni G. abitava a Mantova: lo indica espressamente l'atto del 1247, mentre a partire dall'altro, redatto "in studiolo monesterii S. Andree", si è supposto che egli praticasse presso l'avvocazia di S. Andrea, e forse anche presso quelle della cattedrale e di S. Ruffino (Capilupi, p. 10).
Il 6 apr. 1260 sottoscrisse un contratto con il Comune di Modena col quale si impegnava a insegnare diritto civile presso lo Studio della città e a fornire consulenza legale al podestà e agli Anziani sine die: in cambio gli sarebbe stata corrisposta la cifra davvero ragguardevole di 2250 lire modenesi, più della metà delle quali G. avrebbe dovuto investire in possedimenti nel distretto modenese. Con questa e altre clausole il Comune cercava di garantirsi la fedeltà del giurista.
A Modena G. si trasferì - così recita il documento citato - "cum famillia sua", a tale vocabolo si dava allora non solo il valore semantico di "famiglia", ma anche quello di "persone al seguito o al servizio di un personaggio altolocato": occorrerà dunque stabilire in quale accezione sia da intendersi in questo caso. Noteremo che nel 1260 la sua età, in riferimento al matrimonio, era già molto avanzata e, d'altra parte, sappiamo che prese moglie e che la condizione di coniugato non gli impedì di chiedere per sé la cattedra episcopale di Torino: un desiderio al quale si rispose con un diniego. Secondo il racconto di Giovanni d'Andrea (riportato in Savigny, pp. 391 s.) G. avrebbe avanzato tale richiesta sostenendo che il suo matrimonio, rato ma non consumato, non lo rendeva inidoneo a ricoprire quel ruolo. D'altra parte solamente nel periodo 1257-64 egli poté postulare la sua candidatura: l'ultima vacanza della sede episcopale prima di quell'anno datava al 1244, quando egli era troppo giovane; la prima vacanza successiva avrebbe avuto luogo solo nel 1300, sette anni dopo la sua morte. La cattedra vescovile rimase vuota in quel torno di anni, per quel che è ragionevole supporre in base alla documentazione esistente, in tre circostanze: nel 1257-58, tra il 1259 e il 1263, nel 1263-64, né è possibile determinare in modo più preciso tali periodi (cfr. Storia di Torino, I, a cura di G. Sergi, Torino 1997, pp. 672-684; II, a cura di R. Comba, ibid. 1997, pp. 304 s.). Con un certo margine di approssimazione si può dunque affermare che G. dovette sposarsi tra il 1256 e il 1264, e non è perciò possibile dire nulla di certo sulla sua situazione familiare al momento del trasferimento a Modena. Resta per noi un mistero, peraltro, perché egli aspirasse al vescovado di Torino, quando si consideri che nella sua biografia quella città non compare mai. Ricorderemo anche che lo stesso Giovanni d'Andrea affermò che G. non era granché versato nel diritto canonico e che prima di sposarsi era stato sacerdote; presbitero non dovette essere, ma è probabile, ciò che già sostenne Gualazzini (p. 107), che G. possedesse gli ordini minori per i quali, in determinate circostanze, era contemplata la dispensa dal celibato.
Un onorario straordinario e pagamenti puntuali - gli fu versata la cifra pattuita prima dell'inizio dell'anno accademico (29 settembre) - non impedirono a G. di venire meno agli impegni presi. In breve egli pose termine all'esperienza modenese e tornò a Mantova dove il 10 apr. 1262 Ottobono Dall'Occhio lo investì di un complesso di fabbricati in città ottenendo in cambio il patrocinio legale per sé e i suoi successori. Degli stessi beni G. risulta ancora infeudato in documenti del 15 maggio 1268 e del 3 ott. 1275.
Successivamente incontriamo G. a Venezia, come risulta da un atto datato 8 sett. 1263. Il 14 maggio 1264 è menzionato in un compromesso a Treviso insieme col giurista Pietro Calza. Con ogni probabilità G. era allora professore a Padova; Cino da Pistoia (cfr. Capilupi, p. 17) dà notizia di una controversia sorta tra i doctores della stessa Università risolta da G., appunto, e dal suo allievo Iacopo Dell'Arena. Nella cronaca di Giovan Francesco Capodilista (sec. XV, ancora manoscritta, ma diffusamente citata da Gloria), infine, si ricorda che G. nel 1264 fece un'ambasciata per i Padovani. Il 13 marzo 1266 G. compare in veste di testimone nei patti stipulati tra Guglielmo VII di Monferrato e le città di Vercelli, Milano e Novara; nell'anno accademico 1265-66 egli dovette peraltro insegnare a Bologna: alla stipula di un contratto il 4 apr. 1266 è infatti presente il suo bidello Modenisio.
In riferimento alla sua presenza in Vercelli è stato sostenuto (Soffietti) che con ogni probabilità G. e l'altro doctor legum menzionato, Dullio Gamberini, insegnassero allora nel locale Studium. Affermazione con la quale non concordiamo sia perché non è noto se in quell'anno l'Università piemontese fosse attiva sia, soprattutto, perché pare impossibile che G. potesse tenere cattedra in marzo a Vercelli e in aprile a Bologna.
Il 6 ott. 1268, quasi certamente a Bologna, fornì un consilium al capitano del Popolo di Perugia che lo aveva interpellato. Tra il 1268 e il 1270 fu a Napoli, consigliere di Carlo d'Angiò e professore di quella Università.
Gli studiosi indicano di norma negli anni 1266-70 il periodo trascorso da G. presso la corte angioina, ma la documentazione li conforta solo parzialmente. Tutto ciò che sappiamo si riduce infatti a pochi dati: la succinta notizia fornita da Ricobaldo da Ferrara, sulla base di una testimonianza oculare, in riferimento al processo a Corradino di Svevia (1268), la nota del 29 ott. 1268 con la quale Carlo I d'Angiò ordinò che fossero pagate 100 once d'oro in conto dello stipendio di G. iuris civilis professor, la significativa presenza di G. in alcune glosse in manoscritti di provenienza napoletana, l'examinatio di Francesco da Telese (edita in Origlia), avvenuta in data sconosciuta e sulla quale non vi è la certezza che abbia avuto luogo a Napoli, e, infine, un documento del 25 genn. 1270 nel quale G. e Andrea Bonello compaiono come arbitri in una controversia a Capua. Notizie certe si hanno dunque dal 1268, mentre per il periodo precedente gli elementi utili sono l'assenza di notizie su G. dopo l'aprile 1266 e la rifondazione dello Studio napoletano avvenuta nello stesso anno: è lecito avanzare ipotesi circa la presenza di G. a Napoli, ma non più di questo.
Il nome di G. è legato al parere negativo che egli, insieme con altri giuristi, avrebbe espresso nei confronti della condanna di Corradino fortemente voluta dal re; un'opposizione che sarebbe valsa ad allungare i tempi del processo, ma non a evitare allo svevo la decapitazione. Varie testimonianze confermano l'esistenza di un consiliumRegni per decidere del caso, e le affermazioni di Del Giudice che negava fondamento storico al processo sembrano pertanto superate; semmai è il ruolo giocato da G. nella vicenda che lascia perplessi. Da una parte vi è una fonte (Ricobaldo) che parrebbe attendibile, in quanto riferisce il resoconto dell'episodio fatto da un testimone oculare, dall'altra parte vi è la notizia di una somma ragguardevole versata a G. dal re il giorno stesso dell'uccisione di Corradino. Non sappiamo se il pagamento avvenne in seguito ad accordi intercorsi tra i due in tempi non sospetti, ovvero se fu decisione di quei giorni; ma certo la coincidenza temporale tra l'esecuzione di Corradino e un versamento tanto cospicuo a G., contrario a tale sentenza, suscita perplessità; a maggior ragione perché di altri pagamenti in quel giorno non si ha notizia (cfr. I registri della Cancelleria angioina); né, d'altra parte, le vicende del processo dovettero provocare una rottura nei rapporti tra G. e il sovrano, se ancora nel 1270 G. frequentava la corte angioina.
Il 22 maggio 1270 G. si impegnava con il Comune di Reggio Emilia a insegnare nello Studio della città firmando un contratto sostanzialmente analogo a quello siglato a Modena dieci anni prima. La vicenda reggiana di G. si concluse il 21 luglio 1278 quando, in un momento di grave crisi politica per la città e di rapida decadenza per la scuola, egli chiese, ottenendola, la rescissione del contratto rinunciando insieme con la moglie Dazia ai diritti sui beni nel Comune. Negli anni precedenti egli compare nella documentazione cittadina a vario titolo in quattro occasioni: il 1° maggio 1272, il 3 nov. 1274, il 30 gennaio e il 5 febbr. 1277. La docenza a Reggio, che pure sembra essersi protratta senza interruzioni per tutto il periodo indicato, non impedì peraltro a G. di far parte del seguito dell'ambasciatore in Italia di Rodolfo d'Asburgo il 10 ottobre e il 1° nov. 1275, il 30 marzo 1276 a Piacenza, Faenza e Ferrara.
Un'altra questione impegnò G. in quegli anni. Nel 1263 - come si evince dal documento dell'8 settembre già menzionato, che testimonia della presenza di G. a Venezia - il giurista aveva prestato a Bonaventura Callarosi la somma di 900 lire venete ricevendo in pegno alcune terre e i fabbricati annessi, compreso un castello, a Boccadiganda nel Mantovano, che egli avrebbe reso allorquando, sette anni dopo, sarebbe rientrato in possesso del proprio denaro. Nell'autunno 1274 il Callarosi chiese la restituzione di quanto gli spettava e G. fu dunque convocato a Mantova per rendere ragione. Attestata la sua assenza, il giudice Guglielmo de Ravolati lo condannò al bando e reintegrò nei possedimenti in questione il Callarosi, né si ha notizia di una revoca successiva di tali provvedimenti. Nel determinare questi esiti giocarono un ruolo decisivo le motivazioni politiche. Nel luglio 1273 vi era stata la cacciata da Mantova dei guelfi fautori del marchese di Ferrara Obizzo (II) d'Este, le cui mire espansionistiche sulla città erano manifeste; la stessa Reggio era, d'altra parte, sotto l'influenza estense e G., che vi abitava, dovette essere ritenuto a Mantova un avversario. In questo quadro si colloca anche il documento del 15 dic. 1274 con il quale Obizzo prese le difese di G. e decretò che, qualora Mantova fosse caduta sotto il suo dominio, egli avrebbe restituito al giurista quanto gli era stato sottratto.
Il 1° giugno 1279, tramite il procuratore Paganino de Piço, G. si impegnava con i rettori degli studenti di Bologna a insegnare nella città felsinea il Digesto nuovo per il compenso di 300 lire bolognesi. Il 1° ag. 1280 il Comune di Modena rendeva nota la decisione di versargli 40 lire modenesi e di rinunciare a qualsiasi eventuale pretesa nei suoi confronti; le ragioni ci sono ignote, ma sono forse da ricollegare al periodo di insegnamento in Emilia del doctor legum suzzarese. Successivamente, il 23 luglio 1281 a San Miniato, il 2 agosto a Pisa, il 7 ag. 1281, il 16 e il 22 luglio, il 29 ott. 1282, il 5 e il 28 maggio 1283 ancora a San Miniato, G. compare nella documentazione al seguito del cancelliere imperiale Rodolfo di Hoheneck.
Fu Bologna, tuttavia, l'ultima sua dimora conosciuta; a partire dalle additiones a un manoscritto lucchese (cfr. Martino, 1987, pp. 463-466) si può affermare che con ogni probabilità nel 1281 vi teneva ancora cattedra. Inoltre, secondo alcune annotazioni che Gaetano Monti affermava di aver tratto dai memoriali bolognesi e che furono in seguito riportate da Sarti e Fattorini (ma non rintracciate da Torelli e Vicini) il nome del giurista compare altre tre volte nella documentazione locale: nel giugno 1280 fu arbitro, assieme con altri due legum doctores, in una controversia avente a oggetto una divisione di eredità; nel novembre 1283 gli fu versata la somma pattuita per aver prestato assistenza legale a Francesco da Fogliano nella lite che lo opponeva a Tedisio Fieschi per la nomina a vescovo di Reggio; nel 1292 risulta proprietario di un fondo in località San Marino, nelle vicinanze di Bologna.
Il G. si spense nell'estate del 1293: agosto o settembre dicono gli Annales Veronenses.
Sopravvive la trascrizione di un epitaffio (cfr. Capilupi, p. 33) che si trovava nella chiesa di S. Domenico a Cremona e che indicherebbe in questa città la sepoltura del giurista. Sulla questione conviene tuttavia sospendere il giudizio quando si consideri che a testimoniare la presenza in vita di G. nella città lombarda resta solo il ricordo di Alberico da Rosate su una quaestio ivi disputata dal maestro (cfr. Bellomo, 2000, p. 480).
G. fu certamente giurista sommo, come attestano le testimonianze concordi, i lauti compensi, i clienti eccellenti e una scuola davvero straordinaria (Iacopo Dell'Arena, Guido da Baisio, Francesco da Telese, Alberto da Gandino, Osberto da Cremona); nonché, e prima di tutto, l'opera. Esponente di spicco di quella linea alternativa ad Azzone e Accursio che affondava le proprie radici nell'insegnamento di Rogerio e, dopo di lui, di Piacentino, G. non negava l'importanza basilare dei principia e delle astratte figurae giuridiche, ma rifiutava la posizione di quanti - Azzone e Accursio, appunto - ritenevano che la vita del diritto dovesse ridursi a queste. Amava dunque entrare nell'esistenza quotidiana dell'uomo e mettersi alla prova nelle quaestiones ex facto emergentes, accettando con ciò di abbandonare il terreno della logica, perfetta ma algida, per scendere al livello nel quale pulsa la vita e il giurista si confronta con la lacerazione del dubbio; oppure, di nuovo accompagnando l'evolversi della realtà storica, non disdegnava di allargare lo sguardo dal diritto romano al diritto statutario (Bellomo, La scienza…, p. 53). Pur depurando la sua biografia dell'aiuto disinteressato a Corradino, dell'attribuzione del De maleficiis e di quella, al momento controversa, del De tormentis, egli ci appare nondimeno portatore di un pensiero profondamente umano: lo provano i giudizi di Iacopo Dell'Arena e di Tancredi da Corneto (Cortese, 1995, p. 361), e le opere sopra ricordate che, entrambe forse di altro autore, contengono tuttavia in larga parte il suo pensiero e spesso le sue stesse parole. Molto gli deve la civiltà, e principalmente la prima trattazione, o molti degli elementi della prima trattazione, del tema della tortura.
Opere. Per la tradizione manoscritta si rimanda al repertorio di Dolezalek e agli studi citati in riferimento ai singoli testi; per le antiche edizioni a stampa si rinvia a Savigny (pp. 392-394) e alla bibliografia di volta in volta richiamata. Sono da attribuirsi a G.: Additiones ad Summam Azonis, Consilia, Excerpta ex operibus, Glossae, Index legum Digesti, Notabilia super Digesta et Codicem, Quaestiones disputatae (Romano), Tractatus de expensis, Tractatus de renunciationibus, Tractatus de testibus.
Quaestiones statutorum: un'opera unitaria di questo genere è stata attribuita a G. da Savigny, mentre ne è stata negata l'esistenza da parte di Solmi e Kantorowicz (1924). Bellomo (2000, pp. 119-135) al termine di un'analisi puntuale ha sostenuto che G. dovette arricchire una rudimentale raccolta circolante come opera di Martino Del Cassero e che, proprio a partire dal lavoro del suzzarese Alberto da Gandino, compose le sue Quaestiones statutorum. Resta problema aperto l'individuazione dell'opera di G. nella tradizione manoscritta.
Suppleciones sul Codex e sul Digestum vetus: sono commenti al testo giustinianeo e all'apparato accursiano che si presentano di norma in forma di additiones alla magna glossa (cfr. Speciale, p. 174 e, per uno sguardo più ampio, Martino, 1981).
Tractatus de ordine iudiciorum: si tratta di una sorta di ordo iudiciarius destinato ai tribunali che la critica storica ha giudicato con freddezza (cfr. la secca valutazione in Bethmann-Hollweg, p. 78: "ein unbedeutendes Büchlein über den Prozeß").
Risulta incerta la paternità di altre opere. Apparato alle Constitutiones Regni Siciliae: contro l'opinione di Monti, Giuliana D'Amelio (pp. 30-40, 153, 161) fu propensa a ritenere che G. insieme con Andrea Bonello sia stato uno degli autori dell'antica redazione. Casus codicis: a partire dall'explicit "Casus domini Guidonis" Maier, D'Amelio e Dolezalek li attribuiscono a G., Feenstra (p. 178), con buone ragioni a nostro parere, ritiene l'identificazione altamente improbabile e propone Guido de Cumis. Tractatus vulneratorum: scritto di rilievo nel campo della procedura penale e della medicina legale, fu attribuito in via ipotetica a G. da Maffei (pp. 17 s.); da tale posizione hanno preso le distanze Ascheri (p. 574) e Cavallar (pp. 47-50, 71). Tractatus de tormentis: tramandato talvolta quale libello a sé stante, altre volte quale sezione del De maleficiis del Gandino. La tradizione manoscritta, le fonti antiche e le numerose edizioni a stampa forniscono indicazioni non univoche sulla paternità dell'opera: a oggi si è incerti nell'attribuirla a G. oppure a Odofredo, o a Osberto da Cremona o a Dino del Mugello (Cortese, 1995, p. 353). Quale autore del De tormentis G. fu ricordato anche da Manzoni nella sua Storia della colonna infame (cfr. Opere, a cura di R. Bacchelli, Milano-Napoli 1953, p. 978).
Fra gli scritti erroneamente attribuitigli: De primo et secundo Decreto (cfr. N. Sarti, Un giurista tra Azzone e Accursio. Iacopo di Balduino (… 1210-1235) e il suo "Libellus instructionis advocatorum", Milano 1990, pp. 77 s.); Tractatus de guarentigiato instrumento (cfr. Campitelli); Tractatus de iure emphiteotico (la cui paternità va ascritta a Martino da Fano); si ricorda soprattutto il Tractatus de maleficiis. L'antica opera con questo titolo, attribuita a G. da una parte della tradizione manoscritta, fu giudicata dal Kantorowicz la prima stesura dell'omonimo trattato del Gandino, mentre successivamente la si è ritenuta solo una fonte di questo scritto. Si pensa nondimeno che essa non sia nata dalla penna di G., poiché già Diplovatazio ne conferiva la paternità ai suoi allievi (Cortese, Scienza di giudici…, p. 725 e n. 121). Non si può dimenticare tuttavia che il nucleo del trattato del Gandino è proprio l'insegnamento di Guido.
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