CHIAVELLI, Guido
Indicato spesso, anche nei documenti ufficiali, come Guido Napolitano, figlio di Alberghetto (II), fu signore di Fabriano.
Lo storico fabrianese Sassi, certamente argomentando dall'appellativo, lo ritenne nato durante la condotta militare del padre nel Regno al servizio di Luigi d'Ungheria, e quindi nel 1348; ma successivamente lo studioso segnalò il rinvenimento, presso l'Archivio capitolare di S. Venanzio di Fabriano, di un atto di procura di Alberghetto dell'agosto 1339 dal quale il figlio risulta già sposato con Agnese del fu Corraduccio de Turri nel territorio di Urbino. È quindi più probabile ritenere che il C. avesse partecipato col padre, alla spedizione e per una impresa colà compiuta o vantata conseguisse l'appellativo.
Le fonti storiografiche e documentali relative alla sua biografia si riferiscono agli anni suoi maturi, quando a partire dal 1360 dapprima affianca e quindi sostituisce il padre, provato dall'età e forse infermo, come capo della famiglia Chiavelli.
Ritenuti senza fondamento alcuni avvenimenti riferiti dal Sansovino e dallo Scevolini, come la convocazione di Alberghetto e del C. a Viterbo presso Urbano V per render conto del governo tirannico, o la loro condotta militare al soldo di Venezia al tempo del doge Andrea Contarini, non resta che affidarsi alle fonti documentali, più scarne ma meno infide.
Il 7 luglio 1362 i Chiavelli sottoscrissero la pace col card. Albornoz; nel giugno del 1365 il C. fu sicuramente a Fabriano come risulta dalla sottoscrizione di un atto notarile; il 22 agosto ottenne dalla Sede apostolica la restituzione di un mutuo di 1.500 ducati. Sul finire del 1365 i Chiavelli vennero nuovamente cacciati da Fabriano e dichiarati ribelli. Vi rientrarono nel 1367, dopo aver combattuto anche contro certi loro congiunti, fra cui Amoroso di Casaleta, cugino di Alberghetto. La condanna a morte di alcuni cittadini, le violenze inaudite alternativamente consumate dai fautori ed avversari dei Chiavelli, esasperarono la città. Il 28 dicembre i Chiavelli persero del tutto il controllo della situazione e si rifugiarono nel castello della Genga. Il principale responsabile di tutti questi avvenimenti fu indubbiamente il C., la cui irruenza il padre Alberghetto, forse ormai ottuagenario, non era più in grado di controllare.
A darci ragguagli sulla realtà fabrianese è il cardinale Anglico (in Theiner, II, n. DXXVII) che nell'ottobre dell'anno 1371, sul punto di lasciare l'ufficio di vicario generale per le Terre della Chiesa, stese un'acuta relazione per il suo successore: i Chiavelli sono assai numerosi; fra tutti il più inviso al popolo è il C., forse perché più di altri, all'epoca del dominio della famiglia, aveva responsabilità di governo e, come sostengono, "tyrannizavit". Il C., comunque, è uomo "boni capitis et magni sensus in mundanis". Ha molti amici e su di essi ha esercitato ed esercita grande influenza. I Chiavelli non sono banditi dalla Terra, perciò il cardinale, subito dopo l'abbattimento della signoria, ha fortemente temuto un colpo di mano da parte dei fedeli del Chiavelli.
Non c'è dubbio che il vicario uscente provi una certa simpatia per il C., col quale doveva esser venuto a contatto più volte, almeno a partire dal 1368, quando Comune e Sede apostolica ricercavano una composizione coi signori spodestati, per questi ultimi non troppo svantaggiosa vista l'animosità dei loro sostenitori. Il C. figura come negoziatore per la sua famiglia.
Il 9 genn. 1368 il Comune nominò Salimbene di Condeo suo sindaco e procuratore per la pacificazione coi signori spodestati fissando i termini del mandato: è prevista la ratifica degli atti da loro compiuti, ad eccezione di quelli di natura finanziaria ancora sospesi. La pace fu conclusa poco dopo. Il 10 maggio il card. Anglico assolse i Chiavelli da tutte le azioni commesse a danno della Chiesa durante il loro regime. Nell'estate del 1369 il C. venne incaricato di richiamare all'obbedienza della Chiesa Antonio da Montefeltro che aveva disertato dall'esercito pontificio mentre moveva contro Perugia ribelle. Il C., sposato in terze nozze con Margherita del conte Galasso (sua seconda moglie era stata Zambrogina Ubaldini de Carda), era legato da affinità con Antonio.
Il 14 luglio 1370 Urbano V chiese al card. Anglico di esaminare con favore la richiesta tendente ad ottenere sgravi fiscali avanzata dal C., che aveva acquisito meriti verso la Sede apostolica, per la quale aveva sostenuto grandi sacrifici e oneri finanziari, dando prova di fedeltà assoluta. Il 4 dic. 1371 Gregorio XI rimise al vicario di Fabriano per la Chiesa la decisione delle cause di annullamento di contratti, impugnati per violenza o dolo da cittadini fabrianesi, contro i Chiavelli. Dal 1372 il C. si adoperò alacremente, offrendo fra l'altro seimila fiorini d'oro, per sottrarre all'asta e per recuperare beni familiari già venduti nell'esecuzione promossa dalla Camera apostolica. Questa riteneva di essere successa nella titolarità del credito accordato ai Chiavelli dai Gozzolini nel lontano 1338. Tre transazioni assai complesse chiusero la vertenza nel 1375.
Il C. durante tutti questi anni non cessava di sperare che i preziosi servigi resi al Papato gli consentissero un ripristino, mediante formale investitura, della signoria su Fabriano: una restaurazione legale avrebbe certo attenuato o dissolto le resistenze della fazione antichiavellesca. Gli antichi storiografi ricordano tra le iniziative meritorie intraprese a tale scopo una militanza contro i Malatesta, ma questa non trova riscontro in documenti. La sollevazione armata contro il dominio temporale, che, promotrice Firenze, travolse buona parte d'Italia negli anni 1375-78, prima sembrò annullare le speranze del C., ma poi ne rese possibile l'attuazione senza l'avallo pontificio.
Le vicende di Fabriano e dei Chiavelli si intrecciano in questi burrascosi anni con quelle dei da Varano signori di Camerino. Titolari di vicariati nella Marca centrale sono i quattro fratelli Rodolfo (II), Venanzio, Giovanni e Gentile (III). Rodolfo ha sposato Camilla, figlia di Finuccio Chiavelli fratello di Guido, Venanzio Giovanna, sorella dello stesso Chiavelli. Nello stesso periodo si succedono come vescovi di Camerino due Chiavelli, Gioioso di Casaleta (m. 1375 c.) e il nipote Benedetto. Rodolfo da Varano è eletto capo supremo della lega "maledetta" contro il pontefice, e con Venanzio resiste con successo a Bologna ai mercenari pontifici, guidati da Giovanni Acuto e da Roberto di Ginevra, futuro antipapa Clemente VII; Gentile invece, e con lui Giovanni, in disaccordo forse solo simulato con i fratelli, sostengono anche con le armi, in un momento tanto difficile quanto propizio per l'estensione dei domini, le reliquie del guelfismo nella Marca e nell'Umbria.
Nel 1376 Gentile e Giovanni occupano Fabriano come per assicurarne la disponibilità alla Sede apostolica e la difendono contro gli attacchi dei Perugini che hanno aderito alla lega, e in particolare contro il C. e i suoi familiari ben inseriti nello schieramento antipapale. Il 6 dicembre dello stesso anno, il Consiglio dei cento di Fabriano invia ambasciatori a Gregorio XI per rendere noti gli attacchi cui la Terra è soggetta e i sacrifici che la difesa comporta, per implorare aiuti, per chiedere la conferma di Gentile a governatore della Terra e per ottenere l'aggregazione di alcuni castelli. Il 13 febbr. 1377 i castelli di Apiro, Domo, Rotorso, Precicchie sono attribuiti, mediante breve, a Fabriano.
Il ritorno del papa in Italia provocò però uno sconvolgimento negli schieramenti militari. Mentre Giovanni Acuto passò dalla parte dei Fiorentini, Rodolfo passò dalla parte del papa. I fratelli da Varano, riuniti ormai tutti sotto la stessa bandiera pontificia diventarono il bersaglio più diretto della grande lega, il cui impegno punitivo ben si saldava con l'interesse del C. al recupero di Fabriano.
Sembra che la riconquista sia stata possibile grazie ad una astuzia. Il C. diffuse la voce di aver deciso la conquista del castello di Belvedere e per render credibile tale determinazione dispose spostamenti di truppe. Per alcune notti, frattanto, fece segare poche maglie della saracinesca che era stata calata nel fiume Giano per impedire l'accesso in Fabriano dalla parte del corso d'acqua che l'attraversa. Nella notte dell'Epifania del 1378 un gruppo di soldati passò attraverso la apertura, percorse la città sguarnita per i rinforzi mandati al Belvedere e aprì la porta del borgo al grosso della truppa ivi in attesa.
Il Pellini presenta come una vittoria perugina la conquista di Fabriano, conseguita per mezzo del capitano di ventura Lucio Sparviero (Luz von Landau). Lo Scevolini attribuisce invece a quest'ultimo un breve intervento, volto ad impedire un ritorno dell'esercito ecclesiastico, e il tragico sacco di Fabriano, permesso dal C. nella speranza, rivelatasi inconsistente, di avere l'aiuto dei mercenari per conquistare la rocca di Fabriano, ancora saldamente tenuta dai da Varano e recuperata dal C. solo il 24 giugno dello stesso anno col sotterfugio dello svuotamento delle cisterne. La festività di s. Giovanni venne da allora celebrata, per iniziativa del C., con una grande fiera.
Il 1º ott. 1378 il C., che aveva già riesumato il titolo di defensor communis et populi, stipulò in nome del Comune una tregua di quattro mesi con Ancona, Recanati, Osimo. Dal relativo documento si desume che la tregua era diretta a compiacere i disegni della Sede apostolica, disposta ormai a prendere atto della nuova situazione fabrianese nel tentativo di sfaldare l'alleanza antipapale. Il 31 dic. 1379 il C. strinse una lega decennale con Perugia che, riappacificatasi col Papato, vide ufficialmente riconosciuta l'egemonia su molte delle terre vicine. Fonti perugine affermano che il C. fu costretto a subire l'imposizione di castellani, inviati dalla vicina città umbra, nella rocca di Fabriano e in altri luoghi fortificati.
Della signoria del C. non restano notizie molto particolareggiate: è noto che durante i primi anni, a più riprese, dové fronteggiare attacchi di fuorusciti fabrianesi rifugiati a Gubbio e a Camerino. Nel 1382 era impegnato a difendersi dal fratello Gualtiero che, spalleggiato dai da Varano, si riteneva ingiustamente escluso dal governo. Seguirono anni di pace relativa durante i quali Fabriano prosperò. Nella prima fase dello scisma d'Occidente il C. passò dalla parte dell'antipapa Clemente VII. Il rientro nell'obbedienza romana gli procurò finalmente il 14 maggio 1393, da parte di Bonifacio IX, il titolo di vicario apostolico per Fabriano. La bolla relativa escludeva però dalla giurisdizione del C. i castelli di Pierosara e di Cerreto dominanti i due tronchi dell'importante arteria di comunicazione lungo il fiume Esino. È possibile che questa limitazione dei suoi diritti abbia indotto il C. a qualche azione contro le autorità pontificie: tant'è vero che nel 1395 fu assolto, come già era avvenuto nel 1393, dalla scomunica.
La morte lo colse, probabilmente ottuagenario, tra il 1403 e il 1404 mentre risiedeva nel castello di Capretta. Il 25 genn. 1404 infatti Bonifacio IX confermò al figlio Chiavello il vicariato apostolico. Fu seppellito nella chiesa degli olivetani intitolata a S. Caterina martire, alla cui edificazione aveva dato un grosso contributo.
Fonti e Bibl.: A. Theiner, Codex diplom. dominii temporalis S. Sedis, Rome 1862, II, nn. DXXVII pp. 537 s., DCVIII pp. 591 s.; III, n. XXVI p. 76; R. Sassi, Le pergamene dell'Arch. domen. di S. Lucia di Fabriano, in Fonti per la storia delle Marche, Ancona 1939, nn. IX e XI, pp. 140 s.; Id., Documenti chiavelleschi, ibid., Ancona 1955, ad Indicem; Id., Le carte del monastero di S. Vittore delle Chiuse sul Sentino, Milano 1962, nn. 664 pp. 208 s., 749 p. 234; J. Glénisson-G. Mollat, L'administration des Etats de l'Eglise au XIVe siècle. Correspondance des légats et vicaires-généraux: Gil Albornoz et Androin de la Roche(1353-1367), Paris 1364, ad Indicem; F. Sansovino. Della origine et de' fatti delle famiglie illustri d'Italia, Vinegia 1582, ff. 196r-197r; C. Lilii, Dell'historia di Camerino, Macerata 1649-1652, II, pp. 101 ss., 110 ss.; P. Pellini, Dell'historia di Perugia, Venezia 1664, I, pp. 1196, 1239, 1265, 1278, 1340; II, pp. 27, 42; G. D. Scevolini, Dell'istorie di Fabriano, in G. Colucci, Delle antichità picene, XVII, Fermo 1792, pp. 93-101; O. Marcoaldi, Guida e statistica della città e comune di Fabriano, Fabriano 1874, p. 52; F. Montani, Lettere su le origini di Fabriano, Fabriano 1922, ad Indicem; V. Benigni, Compendioso ragguaglia delle cose più notabili di Fabriano, Tolentino 1924, p. 81; R. Sassi, Notizie sui cardinali e vescovi fabrianesi, Fabriano 1930, p. 11; Id., I Chiavelli, Fabriano 1934; B. Molajoli, Guida artistica di Fabriano, Fabriano 1936, passim (soprattutto pp. 8 s.); R. Sassi, L'anno della morte di Alberghetto II Chiavelli, in Atti e mem. d. Deput. di storia patria per le Marche, s. 6, III (1943), pp. 1-30; Id., L'albero geneal. dei Chiavelli..., ibid., s. 9, XI (1956), pp. 15-26; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem.