CALZA, Guido
Nato a Milano il 21aprile del 1888 da Aituro e da Teresa Bedolo, si laureò in lettere a Roma con una tesi sulla conquista romana di Creta, seguendo in particolare gli insegnamenti di E. Loewy, O. Marucchi, D. Vaglieri e G. Beloch. Nel 1912divenne ispettore delle antichità a Ostia, dove operava appunto il Vaglieri; il C. iniziava così quell'attività di ricerca e scavo della città che fu l'impegno principale di tutta la sua vita.
Una pubblicazione di L. Paschetto, Ostia colonia romana, storia e monumenti, apparsa quell'anno negli Attidella pontif. Accad. di archeol. (XX [1912], 2, pp. 1-593), delineava la situazione archeologica della zona. La città era stata scavata per soli 500 metri di lunghezza lungo il decumanus maximus e per una larghezza di 200 metri. I resti visibili erano l'alta mole del capitolium, ilquartiere a nord del cardo maximus, il teatro con il piazzale delle Corporazioni, la casa di Apuleio scavata dal Lanciani, la caserma dei vigili, le terme di Nettuno, la porta romana con il tracciato del decumanus fino al foro. Nella presentazione della pubblicazione il Vaglieri indicava le prospettive della ricerca, la necessità di scavare in profondità oltre che in estensione per recuperare, in aggiunta agli edifici imperiali, anche le fasi più antiche della storia della città.
Il Vaglieri moriva precocemente nel 1913, il suo programma fu così realizzato dal C., che fino al 1914 lavorò sotto la direzione di A. Pasqui, poi fino al 1924 sotto quella di R. Paribeni, cui successe come sovrintendente. Quei primi anni di lavoro, affiancati dalla collaborazione dell'architetto I. Gismondi, impressero un chiaro andamento all'opera di scavo e di sistemazione dell'area urbana, ampliando il perimetro dei rinvenimenti e rivelando l'importanza della città. Sotto la sovrintendenza del Paribeni si concluse lo scavo del piazzale delle Corporazioni, e si iniziò lo scoprimento del quartiere fra il teatro e il capitolium sul lato nord del decumanus maximus con i grandi horrea. Fra il 1915 e il 1918 tornò alla luce il grande quartiere compreso fra le vie della casa di Diana, la via dei Dipinti e la via dei Molini, primo interessante esempio di abitazioni intensive d'epoca imperiale.
Ai rapporti pubblicati via via dal 1914 (Ostia. Continuazione dello scavo sul decumanus. Scoperte di nuove scholae nel portico dietro il teatro, in Notizie degli scavi, XI [1914], pp. 69 ss.) il C. fece seguire due importanti studi in cui delineava le diversità tipologiche tra domus pompeiana e insula ostiense.
Nel primo di essi, La preminenza dell'insula nell'edil. romana (in Monumenti antichidei Lincei, XXIII [1915], 2, pp. 541-608), il C. coglieva e sottolineava la differenza fra l'abitazione ostiense del periodo imperiale e l'abitazione pompeiana, fra l'insula e la domus, analizzando la prima nei suoi caratteri distintivi: sviluppo verticale fino a tre e quattro piani, costituzione in isolati composti da più appartamenti e forniti di una o più scale sboccanti nella strada, introduzione di facciate spesso arricchite di portici e loggiati su aree scoperte, introduzione di cortili all'interno dei caseggiati, abbondanza di finestre disposte in linee continue o in corrispondenza dei singoli ambienti, indipendenza dei singoli piani e dei singoli appartamenti. Questo tipo di abitazione, molto simile alla nostra, si allontana dai caratteri della casa pompeiana, tutta estesa intorno all'atrium. La domus dopo la Repubblica si fa sempre più rara, appannaggio di grandi proprietari e di famiglie nobili, mentre l'insula diviene il tipo comune di abitazione intensiva di affitto nel periodo imperiale. Questi concetti furono ulteriormente precisati e dettagliati nell'altro articolo Gli scavirecenti nell'abitato di Ostia (in Monumenti antichi dei Lincei, XXVI [1920], pp. 321-430).
Il C., che aveva partecipato alla guerra del 1915-18 come ufficiale del genio, nel 1919 fu inviato dall'amministrazione delle Antichità e belle arti a collaborare con l'architetto G. Cirilli e con A. Bertini Calosso al riassetto archeologico e alla tutela dei monumenti della Venezia Giulia. Intrapresi i primi lavori di sistemazione archeologica di Pola, su suggerimento di U. Ojetti scrisse una piccola guida illustrata della città (Pola, con pref. di C. Ricci, Roma-Milano s.d.). Nel 1921 otteneva una missione in Oriente, ma l'anno successivo tornava a volgere l'attenzione a Ostia. Qui, attuando il programma del Vaglieri, ricercò in profondità l'aspetto più antico della città, riesumando tutto il castrum primitivo e dimostrando, con l'aiuto di saggi stratigrafici, che le tracce archeologiche più antiche dovevano essere datate al 335 a. C. circa.
A questa importante tappa nella conoscenza di Ostia seguì lo scavo degli horrea ad est della via dei Molini, tipico e completo esempio di magazzini dell'età di Claudio, che il C. e il Gismondi descrissero nelle Notizie degli scavi del 1921. La curia e la casa del Larario vennero illustrate nelle Notizie degli scavi del 1923. Gli scavi ulteriori si estesero fino al Piccolo mercato, alle casette repubblicane, agli horrea Epogathiana, ampliando e vieppiù chiarendo l'assetto urbano e il volto commerciale della città: di questa il C. andava intanto approfondendo lo studio comparativo dei monumenti, trovando spesso sorprendenti analogie con l'architettura odierna (ad esempio si veda il saggio Le origini latine dell'abitazione moderna, in Le arti decorative, I[1923]). Fra il 1928 e il 1931 il C. indagò la necropoli dell'Isola Sacra a Porto, riportandone alla luce gli aspetti esemplari, illustrati poi nel libro La necropoli del porto di Roma nell'Isola Sacra, Roma 1940. Conseguente alla continuità d'indagine sul terreno ostiense fu lo studio del sepolcreto della via Laurentina, pubblicato nelle Notizie degli scavi del 1938. Intanto, il 2 marzo 1933, era eletto socio corrispondente della Pontificia Accademia di archeologia, della quale diveniva socio effettivo l'8 genn. 1942.
Volendosi, in vista dell'Esposizione universale del 1942, creare una zona archeologica monumentale con lo scoprimento di tutto l'abitato ostiense, il C. iniziò nel febbraio del 1938 la vasta e sistematica campagna con l'aiuto del Gismondi.
In cinque anni furono scavati 17 ettari di terreno, con la rimozione di mezzo milione di metri cubi di terra o macerie, e furono riportati alla luce, restaurati e sistemati tutti i quartieri occidentali e meridionali della città. Delle nuove scoperte furono via via pubblicate le relazioni nelle Notizie degli scavi, e uno studio d'insieme, Contributi allastoria dell'edilizia imperiale romana, apparve in Palladio (V[1941], pp. 1-33). Delle parti cristiane fu data comunicazione alla Pontificia Accademia: si cita per tutte la basilica del decumanus maximus che il C. identificò con quella dei SS. Pietro e Giovanni Battista eretta da Costantino sotto papa Silvestro e ricordata nel Liber pontificalis (Rendic. della Pont. Acc. d'archeologia, XVI [1940], p. 63, XVIII [1941-42], pp. 135-48).
Durante la guerra del 1940-45 l'area di Ostia fu evacuata e molte opere nuovamente interrate; il C., che era riuscito a mantenere un certo controllo sulla zona, restata quasi immune da danni, poté nel 1945 inaugurare le nuove sale del Museo ostiense. Aveva ricevuto la direzione, oltre che di Ostia, anche degli scavi del Foro romano e del Palatino, quando morì a Roma il 14 apr. 1946. Fu sepolto nella cappella di S. Ercolano ad Ostia Antica. Postumo (Roma 1953) è uscito il volume Scavi di Ostia, Topografia generale, a cura di G. C., G. Becatti, I. Gismondi, G. de Angelis d'Ossat, H. Bloch.
Bibl.: Per una presentazione dell'attività del C. è sufficiente G. Becatti, Commemorazione di G. C., in Rendiconti della Pontificia Accademia di archeologia, XXII (1946), pp. 23-30.