CAGNACCI (Cagnaccio, Cagnazzi, Canalassi, Canlassi), Guido (Guidobaldo)
Nato il 13 genn. 1601 a Sant'Arcangelo di Romagna, fu battezzato il 20 gennaio di quell'anno come si apprende dall'atto di battesimo pubbl. dal Costa (p. 124) e rettamente interpretato dallo Zuffa (p. 368). Il padre Matteo, nativo di Casteldurante (Urbania), luogo d'origine dei Cagnacci, esercitava per tradizione familiare il mestiere di pellicciaio o conciapelli, attività abbastanza remunerativa; era inoltre banditore nel comune di Sant'Arcangelo. La madre Livia era figlia di un collega di Matteo, il cesenate Carlo Serra, banditore nel comune di Rimini (docc. dell'Archivio mandamentale di Rimini, Protocolli di Giovanni Franciosi, notaio, 1599, in Zuffa, p. 365). Il C. ebbe due sorelle: Lucia e Virginia, nata nel 1603 e più anziana della precedente in quanto viene sempre nominata prima nei documenti e risulta in una posizione di maggiore responsabilità nelle diverse stipulazioni. Trascorsa l'infanzia in Sant'Arcangelo, dove dette i suoi primi saggi pittorici (Costa, p. 125), il ragazzo fu mandato a Bologna per imparare rarte del pittore. In questo periodo durato quattro anni dimorò in casa di Girolamo Leoni, amico di famiglia e corrispondentein affari del padre. Non si può affermare con sicurezza, chi sia stato a Bologna il primo maestro del C.; secondo il Malvasia, Guido Reni; per lo Scannelli, Ludovico Carracci. Al termine dell'apprendistato il C. si recò due volte a Roma: nel suo testamento (28 genn. 1643), il padre Matteo registra le spese per l'istruzione del figlio, precisando che il secondo viaggio a Roma avvenne nel 1621 (doc. dell'Archivio mandamentale di Rimini, Protocolli di Andrea Bianchi, notaio, in Zuffa, p. 366). Poiché nell'atto citato i due viaggi sono annotati uno immediatamente di seguito all'altro, è probabile che tra di essi non sia passato molto tempo; sottraendo inoltre al 1620-21 i quattro anni della permanenza a Bologna, ne deriva che il C. aveva lasciato Sant'Arcangelo intorno al 1616-17, all'età di quindici o sedici anni. A Roma Clemente Leoni (forse parente di Girolamo), coppiere di papa Gregorio XV (eletto il 9 febbr. 1621), fu incaricato da parte di Matteo di consegnare al figlio 5 zecchini d'oro per potersi mantenere (ibid.).
S'ignora se il C. sia andato a Roma da solo; considerando che le spese del viaggio sono computate con quelle per l'istruzione professionale, è verosimile che vi seguisse un capobottega, identificabile, secondo un'ipotesi dello Zuffa (p. 375 n. 17), nel Guercino diretto a Roma nello stesso anno 1621.
Nel medesimo anno risulta la presenza del pittore a San Lodeccio (Saludecio, provincia di Forlì) per un periodo di cui non si conosce la durata, ma che fa abbastanza lungo se il C. ebbe bisogno di sottrarre al patrimonio familiare lenzuola e biancheria contro la volontà paterna (ibid.). A quest'epoca risale la pala firmata, raffigurante S.Sisto papa nella chiesa di S. Maria della Pace in Montepetrino (presso Saludecio), ora nella parrocchiale di Saludecio (Rapporto… del Soprintendente alle Gallerie…, 1, Bologna 1968, pp. 26-28). L'8 settembre del 1627 i confratelli della Compagnia del SS. Sacramento di Saludecio allogarono al C. la decorazione della loro cappella nella chiesa parrocchiale (Saludecio, Arch. parr., Libro dell'Uscita e dell'Intrate della Compagnia del S.smo Sacto della Terra di Saludecio, in Pasini, 1967, p. 79); per essa fa composta la pala con la Processione del ss. Sacramento (tuttora in loco), eseguita, almeno in parte, a Rimini dove i confratelli si recavano per controllare il lavoro. L'attività di Saludecio costituisce il primo momento dell'indipendenza del C.: dopo Roma infatti non risultano altre spese sostenute dal padre per la sua istruzione.
Il 14 nov. 1631 il C. è a Rimini, con i suoi trasferitisi nel borgo di San Bartolomeo, presso il convento dei frati di S. Giovanni Battista, forse per allargare la cerchia dei loro affari. Nella data predetta, compare con il padre di fronte a un notaio di Rimini per il pagamento di 15 scudi al tesoriere della provincia di Romagna (Rimini, docc. dell'Archivio mandamentale, Protocolli di Andrea della Fonte, notaio, "Pro Reverenda Camera", 1631-34, in Zuffa, p. 366). Del 1635 è la pala firmata e datata raffigurante il Bambino Gesù fra i ss. Giuseppe ed Eligio (Sant'Arcangelo, collegiata) commissionata dalla confraternita dei falegnami, fabbri e magnani. Nel 1637 il C. dipinse la Maddalena per la monache benedettine di S. Maria Maddalena ad Urbania, tra le cui spese è segnata (Rossi, 1936).
Nel biennio 1642-43 il C. si trova a Forlì, incaricato dalla confraternita dei battuti bianchi e bigi, con rogito del 7 apr. 1642, dei due "quadroni" (Forlì, Pinacoteca), la Gloria di s. Valeriano ela Gloria di s. Mercuriale, protettori di Forlì, da collocarsi nella tribuna della cappella della Madonna del Fuoco, nel duomo (Forlì, Archivio vescovile, Rogito di Dando Dandi, notaio, in Gnudi, 1954, p. 33). Con il medesimo rogito gli veniva affidata anche la decorazione della cupola della stessa cappella con le rappresentazioni dell'Assunta e del Paradiso (compiuta, invece, da A. M. Colonna). La lontananza del pittore da casa in tali anni e il suo distacco dagli interessi familiari possono essere confermati dal testamento paterno del 1643 nel quale viene citato, in termini di pura convenzione giuridica, quale beneficiario della sola legittima diminuita delle spese di studio, mentre alle sorelle nubili andava l'intera donazione "ex causa dilectionis". Il C. è documentato per l'ultima volta a Forlì il 2sett. 1643, anno del secondo contratto per i dipinti della cappella della Madonna del Fuoco; considerando i caratteri fiorentini presenti nelle sue opere attorno al 1645, il Pasini (1967, p. 83) ritiene che il pittore abbia compiuto un viaggio in Toscana negli anni successivi al periodo farlivese. Il 30 dic. 1647 il C. è di nuovo presente in Romagna, ed insolitamente come scultore: gli viene commissionata infatti per 200 scudi dal comune di Faenza un'epigrafe marmorea con decorazione incisa per la facciata del palazzo comunale, in onore del card. Bernardino Spada, lavoro probabilmente mai eseguito (Valgimigli, in Pasini, 1967, pp. 83 s.). Dopo quest'episodio si suppone che il C. sia stato un paio d'anni a Bologna; in seguito si recò a Venezia dove rimase per un decennio, ove dipinse quadri da stanza di "figure fino a mezza coscia" (Oretti, in Pasini, 1967, p. 86) e aprì una scuola di pittura frequentata anche da G. Diamantini (Zuffa, p. 376).
Al periodo veneziano risale l'inimicizia col pittore Pietro Liberi rivelata da quattro lettere spedite da Vienna, purtroppo perse, firmate "Guido Baldo Canlassi" (l'artista all'epoca aveva modificato il cognome che si prestava a facili epiteti dispregiativi). Queste lettere, datate l'una 1660, le altre 1661, sono ricordate (p. 122), ma non pubblicate dal Costa, in quanto sia la forma scorretta sia il contenuto mordace avrebbero potuto nuocere alla fama del pittore.
Nel 1660 il C. si trovava a Vienna su invito di Leopoldo I; morì in tale città nel 1663 (v. G. Villani, De Vetusta Arimini Urbe…, in Zuffa, pp. 368 s.).
Ancora incerta è la cronologia delle opere del C.:l'Ultima Cena (firmata e datata - la data è però illegibile -, proveniente da Sant'Arcangelo ed ora conservata a Rimini, in una collezione privata) è forse del 1615-16, e confermerebbe perciò quanto asserisce il Costa sugli inizi precocissimi del pittore nel suo paese. Dopo i quattro anni a Bologna e i due viaggi a Roma si pongono il S. Marco, la Vocazione di s. Matteo (entrambi alla Pinacoteca di Rimini) e il S. Giovannino (Parigi, Louvre), esercitazioni su modelli caravaggeschi. Verso il 1630è databile (Pasini, 1967, p. 78) la pala con i Santicarmelitani (Rimini, S. Giovanni Battista), in cui i richiami al caravaggismo hanno già subito una personale rielaborazione alla luce di modi guercineschi; le è stilisticamente affine, nell'insistito ricordo del Gentileschi, Saraceni e Guercino, il S. Antonio abate Rimini, Pinacoteca). L'incontro con il Reni dev'essere avvenuto poco prima della pala del 1635, raffigurante il Bambino Gesù ed i ss. Giuseppe ed Eligio (Sant'Arcangelo, collegiata), improntata ad un forte caravaggismo ma vicino al Reni nella figura di s. Eligio. Tra il '35 ed il '37 si collocano i Tre martiri gesuiti del Giappone (Rimini, chiesa del Suffragio: alla pinacoteca di Rimini ne esisteva una replica autografa distrutta durante l'ultima guerra), il S. Rocco e il S. Sebastiano (ambedue nel Museo diocesano di Pennabilli, già nella parrocchiale di Scavolino), legati ai dipinti di Rimini e Saludecio (di cui alcuni sono andati perduti) per il dissolversi del serrato chiaroscuro caravaggesco in un'atmosfera più naturale. Dello stesso momento è la Madonna, Bambino ed i ss. Sebastiano, Rocco e Giacinto (Montegridolfo, S. Rocco), di carattere devozionale. Più chiaro adeguamento al periodo grigio del Reni segna la Maddalena d'Urbania del 1637, caposaldo stilistico del pittore. Del 1637circa sono: il S. Francesco in estasi e il S. Giuseppe in estasi (entrambi in casa Leopardi ad Urbania); di poco successivi il S. Giuseppe (Forlì, oratorio dei falegnami: copiato più volte durante il sec. XVII come attestano le tele nelle chiese della SS. Trinità e di S. Pellegrino a Forlì e nella parrocchiale di Cesenatico), il S. Antonio da Padova (Forlì, coll. Mazzoni) e la sua replica autografa alla Pinacoteca di Rimini. Un accostamento al colore veneto è riscontrabile nel Busto di s. Antonio da Padova (Forlì, Pinacoteca) e nella Madonna della rosa (Forlì, col. Mazzoni), del periodo di Forlì, che rimanda alla maniera del Veronese. Appartengono allo stesso arco di tempo (1642-43) la Testina (Forlì, coll. Mazzoni) ad affresco su tegola, unico esempio di questa tecnica, ed il S. Antonio da Padova predicante (Forlì, duomo) per cui Giuliano Bezzi compose un sonetto (Il Torneo, pp.114-115), stampato a Bologna nel 1645 (Pasini, 1969, p. 56). Tutta l'ultima vasta produzione del C. s'imposta su alcuni temi fondamentali ripetuti con leggere varianti: intorno al 1644 sono da datare la Maddalena portata in cielo da un angelo (Monaco, Pinacoteca: già a Bologna), la sua replica autografa (Firenze, Pitti), la Maddalena di Amiens (Musée de Picardie) con la versione di Cesena (Cassa di Risparmio). Di un'epoca matura, riferibile all'inizio del sesto decennio, sono: il S. Ignazio di Loyola (Sant'Arcangelo, collegiata), la replica autografa della sola testa di questo santo (Rimini, Pinacoteca), la Figura mitologica (Liverpool, Walker Art Gallery) e la Maddalena della Pinacoteca di Bologna. Verso il 1655, durante il soggiorno a Venezia, il C. dipinse il Busto di Seneca (Torino, coll. privata), la Cleopatra (Bologna, Gall. comunale), il Ratto d'Europa (Bologna, coll. Molinari Pradelli), il Davide (ora a Columbia, U.S.A., Museum of Art) e la sua versione elegante ed elaborata, ricca di precorrimenti settecenteschi, della coll. Cremonini Tamburi a Bologna, nonché una Figuraallegorica (Bottari, tav. 131). Il Riccomini (in Nuove acquisizioni…, Bologna 1971, pp. 66 s.) considera anteriore al viaggio a Vienna la Giuditta recentemente acquistata dalla Pinacoteca di Bologna.
Alla stagione viennese risalgono la Lucrezia (Lione, Museo), opera firmata, la Cleopatra e la Mater Dolorosa, ambedue a Dresda (Gemäldegalerie), il S. Girolamo, la Maddalena penitente e la Cleopatra, databile al '57 ed entrata nella raccolta imperiale nel 1659 (tutte e tre a Vienna, Kunsthist. Museum), la Cleopatra siglata "G. C." e la Maddalena penitente (entrambe a Bologna, Pinac. naz.) e la Cleopatra morente di Brera.
La critica quasi concorde attribuisce al C. la natura morta raffigurante il Fiascocon fiori (Forlì, Pinac.; cfr. Volpe).
Fonti e Bibl.: Molti docc. sono pubblicati in M. Zuffa, Novità per G. C., in Arte antica e moderna, 1963, pp. 357-381. V. inoltre: F. Scannelli, Il microcosmo della pittura [Cesena 1657], a cura di G. Giubbini, Milano 1966, ad Indicem;C. C. Malvasia, Felsina Pittrice…[1678], Bologna 1841, II, ad Ind.;G. B. Costa, Lettere varie, e doc. autentici intorno le opere e vero nome, cognome,patria di G. C. pittore, in Racc. d'opusc. scient. e filos., XLVII, Venezia 1752, pp. 117-162; L. Crespi, Vite de' pittori, bolognesi…, Roma 1769, pp. 153, 259; F. Algarotti, Opere scelte, Milano 1823, p. 265; F. Noack, Canlassi G., in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, Leipzig 1911, pp. 505 s. (con ulter. bibl.); C. Ricci, Il C. e "Lucrezia Romana", in Annuario della R. Acc. di S. Luca, MCMXII-MCMXIV, Roma 1915, p. 25; Id., Due quadri del C. comprati dallo Stato, in Boll. d'arte, IX(1915), pp. 281 s.; E. Rossi, Mem. eccles. d'Urbania, Urbania 1936, I, p. 237; C. Gnudi, Note sullo stile di G. C., in Bologna. Rivista del Comune, XXIV(1937), 2-3, pp. 34-39; C. Ravaioli, Pittori dell'età barocca a Rimini, in Libertas Perpetua (Museum), IX(1940-41), pp. 46 s.; R. Buscaroli, Il Cignani e il C., due ponzioni di gusto nella Romagna del Seicento, in Studi romagnoli, I(1950), pp. 89-96; A. Emiliani, G. C., Maddalena penitente. Nuovi acquisti…, in Boll. d'arte, XXXVII(1952), p. 374; C. Ravaioli-C. Gnudi-F. Arcangeli, Mostra della pittura del Seicento a Rimini (catal.), Rimini 1952, ad Indicem;C. Gnudi, Una fantasia interrotta. I "quadroni" del C., in Critica d'arte, XII(1954), pp. 33-48; F. Arcangeli, Maestri della pittura del Seicento emiliano (catal.), Bologna 1959, pp. 244-288; R. Roli, La sensuale vena del C., in Emilia-Romagna, Milano 1961, p. 663; R. Buscaroli, Il Pittore G. C. (1601-1681), Forlì 1962; S. Bottari, Per G. C., in Arte antica e moderna, 1963, p. 323; C. Volpe, in La natura morta ital.(catal.), Milano 1964, pp. 36 s.; P. G. e M. P. Pasini, Due opere giovanili del C., in Antichità viva, VI(1967), 4, pp. 40-45; P. G. Pasini, Note ed aggiunte a G. C., in Boll. d'arte, LII(1967), pp. 78-89; A. Emiliani, La Pinacoteca nazionale di Bologna, Bologna 1967, p. 158; G. Testori, 33 opere del Seicento, Milano 1967, p. 11; P. G. Pasini, Due note sul C., in Rimini. Storia ed arte, I(1969), 1, pp. 41-57; Enc. Ital., VIII, p.274.