SFORZA, Guido Ascanio
– Nacque il 25 novembre 1518 a Parma, figlio primogenito di Bosio II, conte di Santa Fiora, e di Costanza Farnese, figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese.
Non sappiamo nulla dei suoi primi anni di vita e della sua educazione. Nel 1528, a soli dieci anni, ottenne l’amministrazione del vescovado di Montefiascone e Corneto (cui avrebbe rinunciato nel 1548). La svolta fondamentale giunse per lui nel 1534 con l’elezione del nonno al soglio pontificio con il nome di Paolo III: in quel momento Guido Ascanio era studente presso il Collegio degli Ancarani, insieme con i cugini Alessandro e Ottavio Farnese. In occasione della prima promozione cardinalizia, il 18 dicembre fu elevato alla porpora insieme con il cugino Alessandro Farnese. Grazie all’ascendente della madre, il giovanissimo cardinale si trovò proiettato ai vertici della Curia romana: amministratore apostolico della diocesi di Parma (agosto 1535), vescovato, per così dire, di famiglia dei Farnese, che ricevette per rinuncia in suo favore del cugino (sebbene fosse lo stesso Paolo III a governarlo di fatto), Guido Ascanio fu nominato legato papale di Bologna e della Romagna e camerlengo, ossia capo della Camera apostolica (ottobre 1537). La sua condizione di secondo cardinal nipote, vero e proprio alter ego del cugino Alessandro Farnese, emerge con chiarezza non solo in relazione alla sua attività di camerlengo, ma anche nella corrispondenza che con lui intrattennero autorità laiche ed ecclesiastiche, fra cui i nunzi papali in occasione delle assenze di Alessandro da Roma.
La posizione economica di Sforza era anche garantita dalle entrate di numerosi benefici concentrati in Italia settentrionale, tra i quali spiccava la ricca commenda dell’abbazia dei Ss. Salvatore e Gallo in Val di Tolla nel Piacentino, cedutagli direttamente da Paolo III dopo l’ascesa al soglio pontificio. In realtà, l’intero territorio a cavallo tra Parma e Piacenza era al centro dei cospicui interessi politici ed economici della famiglia Sforza di Santa Fiora: in particolare del medesimo Guido Ascanio, con il vescovato parmense, e del fratello Sforza con i suoi numerosi feudi, tra cui Borgo San Donnino, Castel San Giovanni, Castell’Arquato e Basilicanova. Guido Ascanio, in virtù della propria posizione, fu il cardine delle strategie e delle fortune familiari: nel 1542, ad esempio, nella sua qualità di abate commendatario, infeudò al fratello Sforza e ai suoi discendenti le terre del monastero dei Ss. Salvatore e Gallo per un canone di 2000 lire imperiali, anche per metterle al riparo dalle mire di un’altra delle maggiori famiglie feudali emiliane, i Rossi di San Secondo. Nel 1542 ottenne anche il governo a vita del feudo di Proceno, di cui il nonno aveva investito i suoi fratelli Sforza, Mario, Alessandro e Paolo.
Dopo la morte di Paolo III, Sforza ebbe un ruolo di primissimo piano nell’elezione di Giulio III (1550) di cui fu uno dei più stretti consiglieri e che lo confermò nell’ufficio di camerlengo. Fra l’altro egli svolse in questo periodo un tentativo di mediazione con il cugino Ottavio Farnese nell’intricata questione della sovranità su Parma. In questo periodo Guido Ascanio si avvicinò decisamente al partito imperiale, di cui divenne il capofila in seno al Sacro Collegio: Guido Ascanio e il fratello Sforza erano molto considerati da Carlo V e da Filippo II. Il posizionamento del cardinale e del conte fece parte di un’abile strategia, volta a garantire sempre e comunque gli interessi familiari, dato che gli Sforza di Santa Fiora avevano interessi assai consistenti in termini di benefici ecclesiastici e feudi nell’area lombarda, parmense e piacentina. Ciò spiega perché Guido Ascanio e i suoi fratelli si divisero, con notevole spregiudicatezza, tra lo schieramento imperiale e quello francese, mantenendo comunque una marcata solidarietà familiare. Infatti nel 1549 Guido Ascanio cedette al fratello Mario le entrate della contea di Santa Fiora e, nel 1554, si fece donare dai vari fratelli i beni e le ragioni sulle eredità dei genitori, ciascuno ottenendo in cambio un feudo o un beneficio ecclesiastico e un titolo. Al contempo, durante la guerra di Siena, Sforza militò come generale della cavalleria dell’esercito imperiale, insieme con uno dei fratelli, mentre gli altri fratelli Carlo e Mario si posero al servizio della Francia e dei loro alleati senesi. Nel corso del conclave dell’aprile 1555, Guido Ascanio, insieme con Ranuccio Farnese, manovrò contro l’elezione del filofrancese Ippolito d’Este e favorì l’ascesa al soglio di Marcello Cervini. Nel successivo conclave, fu uno dei capi del partito imperiale la cui spaccatura consentì l’elezione di Paolo IV Carafa, da lui avversata sino all’ultimo.
I fratelli del cardinale, Carlo, priore di Lombardia dell’Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, comandante navale al servizio della Corona francese, e Mario furono protagonisti, nell’estate del 1555, di una vicenda clamorosa: infatti essi sequestrarono e fecero fuggire tre galere francesi dal porto di Civitavecchia, grazie alla complicità dell’altro fratello Alessandro, chierico di Camera, e di Guido Ascanio. Tale avvenimento, in un momento di fortissime tensioni tra Paolo IV Carafa e gli aderenti al partito spagnolo a Roma, spinsero il papa a ordinare l’arresto e la reclusione a Castel Sant’Angelo di Guido Ascanio, ritenuto il regista dell’atto dei suoi fratelli. Fu rilasciato solo il 22 settembre, dopo ventidue giorni di prigionia, dietro versamento di una cauzione di 200.000 scudi.
In seguito alla disastrosa sconfitta delle forze papali nel conflitto con Carlo V e Filippo II, tra il 9 e 12 settembre 1557, insieme con i cardinali Carlo Carafa e Vitellozzo Vitelli, Guido Ascanio ebbe un ruolo di primo piano – essendo l’unico filoimperiale – nel negoziare la pace di Cave con il duca d’Alba Fernando d’Álvarez, viceré di Napoli e comandante dell’esercito ispano-imperiale entrato nello Stato della Chiesa. Nel clima di riavvicinamento con la corte di Filippo II, Sforza beneficiò del favore papale: nell’ottobre del 1557 fu nominato membro della Congregazione del Sant’Ufficio e quindi inserito, insieme ai cardinali Carlo e Alfonso Carafa, nel consiglio istituito da Paolo IV per far fronte alla grave situazione finanziaria della S. Sede e rivedere i conti degli ultimi cinquant’anni.
Tuttavia i rapporti di Sforza di Santa Fiora con il papa e i suoi nipoti volsero nuovamente al brutto: alla fine di novembre del 1558, infatti, Paolo IV decise di attribuire al nipote Alfonso la nuova carica di reggente della Camera apostolica, posta al di sopra del camerlengo, fatto che significò una netta rottura politica con Guido Ascanio. Nel marzo del 1559, la bolla papale di istituzione del reggente rese evidente la grande concentrazione di poteri amministrativi e giurisdizionali del suo titolare, che avrebbe dovuto affiancare il camerlengo nel governo di Roma e dello Stato della Chiesa durante la sede vacante e nell’organizzazione del conclave. Ad accrescere le tensioni contribuirono, in quei giorni, anche le esequie di Carlo V fatte celebrare a Roma da Ascanio Caracciolo, incaricato d’affari di Filippo II: durante una seduta della Congregazione del Sant’Ufficio, il papa tenne una durissima requisitoria nei confronti di Caracciolo, del cardinale Pedro Pacheco e, soprattutto, di Guido Ascanio al quale attribuì l’idea di inserire fra i trofei presenti alla cerimonia una raffigurazione di Francesco I di Francia sconfitto e prigioniero in occasione della battaglia di Pavia.
Ciò spiega perché, subito dopo la morte di Paolo IV (18 agosto 1559), mentre la città di Roma era preda di una rivolta che prese anzitutto di mira i simboli del potere dei Carafa, allorché si riunì il Collegio dei cardinali, Sforza si rifiutò di riconoscere il ruolo del reggente della Camera apostolica e rivendicò al suo ufficio la tradizionale autorità di governo durante la sede vacante. Nel corso delle riunioni del 18 e 19 agosto, non senza «gran dissensione» per la pretesa di Sforza di non dividere in alcun modo il potere con Alfonso Carafa, questi fu costretto «a cedere in mano del Collegio pro hac vice tantum tutte le ragioni che pretende per l’ufficio suo di regente della Camera, et così predetti R.mi di commun consenso hanno admesso che durante sede vaccante, esso camerlego administri l’ufficio suo solo com’è solito, et poi si deciderà la cosa» (Archivio di Stato di Modena, Carteggio Ducale Estero, Ambasciatori, Roma, b. 56, Giulio Grandi al duca Ercole II d’Este, Roma, 19 agosto 1559).
Dopo essersi adoperato per la scarcerazione e la reintegrazione nel Sacro Collegio del cardinale Giovanni Morone, da anni sottoposto a processo per eresia da parte dell’Inquisizione, Sforza, durante il lungo conclave del 1559, fu a capo del partito ispano-imperiale che sostenne inizialmente la candidatura di Ercole Gonzaga, per poi convergere su quella di Giovanni Angelo de’ Medici che, nel dicembre di quello stesso anno, fu eletto papa con il nome di Pio IV. L’avvento del nuovo pontefice, di cui Sforza fu stretto collaboratore mantenendo la carica di camerlengo, fu causa del tracollo delle fortune dei Carafa, con il processo e l’esecuzione di Carlo e Giovanni Carafa, notoriamente avversati dal cardinale e dai Colonna.
Nell’aprile del 1560 Sforza, sempre attento alle sorti della famiglia, resignò l’amministrazione del vescovado di Parma a favore del fratello Alessandro. Infine, con il suo testamento, nel gennaio del 1563, istituì il fedecommesso degli Sforza di Santa Fiora.
Morì a Canneto sull’Oglio il 6 ottobre 1564, a causa di un male imprecisato, mentre tornava a Roma da Venezia dove si era recato «recreationis gratia» (van Gulik - Eubel, 1923, p. 23 n. 3).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filza 3278, c. 346r; Archivio di Stato di Milano, Autografi, cart. 33, f. 285; Archivio di Stato di Modena, Carteggio Ducale Estero, Ambasciatori, Roma, b. 56; Lettres et memoires d’estat, des roys, princes, ambassadeurs, et autres ministres, suous les regnes de François premier, Henry II & François II, a cura di G. Ribier, II, Paris 1666, pp. 792 s.; Corpus documental de Carlos V, a cura di M. Fernández Álvarez, III, Salamanca 1977, pp. 644 s., IV, 1979, pp. 204, 224; La corrispondenza di Bernardo Navagero, ambasciatore veneziano a Roma (1555-1558), a cura di D. Santarelli, Roma 2011, passim.
N. Ratti, Della famiglia Sforza, I, Roma 1794, pp. 233-252; G.M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma con alcuni cenni sui principali avvenimenti civili, II, Parma 1856, pp. 39, 55, 66, 73, 78 s.; G. Coggiola, I Farnesi e il Ducato di Parma e Piacenza durante il pontificato di Paolo IV, in Archivio storico per le province parmensi, n.s., III (1903), pp. 107-112, 116-122; C. Capasso, Paolo III, Messina-Roma 1921-1923, passim; G. van Gulik - C. Eubel, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, III, Monasterii 1923, pp. 23, 270; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1931, ad ind., VI, 1927, ad ind., VII, 1928, ad ind.; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli (1540-1565), Città del Vaticano 1961, ad ind.; F. da Mareto, Abbazia di S. Salvatore in Val Tolla, in Studi storici in onore di Emilio Nasalli Rocca, Piacenza 1971, p. 199; B. McClung Hallman, Italian cardinals, reform, and the Church as property 1492-1563, Berkeley 1985, ad ind.; M.G. Pastura Ruggiero, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi archivi, Roma 1987, p. 65; Mandati della Reverenda Camera Apostolica (1418-1802), a cura di P. Cherubini, Roma 1988, p. 83; M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone e il suo processo d’eresia, Bologna 1992, ad ind.; L. Calzona, “La Gloria de’ principi”. Gli Sforza di Santafiora da Proceno a Segni, Roma 1996, passim; R. Zapperi, La leggenda del papa Paolo III, Torino 1998, pp. 54, 56 s.; C. Benocci, Santa Fiora (Grosseto), Roma 1999, p. 18; J.E. Vercruysse, Die Kardinäle von Paul III, in Archivum historiae Pontificiae, XXXVIII (2000), pp. 45 s.; N. Bazzano, Marco Antonio Colonna, Roma 2003, ad ind.; D. Santarelli, Il papato di Paolo IV nella crisi politico-religiosa del Cinquecento, Roma 2008, pp. 44 s., 115 s., 183; G. Brunelli, Il Sacro Consiglio di Paolo IV, Roma 2011, ad ind.; H.H. Schwedt, Die Anfänge der Römischen Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1542 bis 1600, Wien 2013, p. 240.