Guidi
Conti palatini di Toscana, che, come si ritiene, calarono in Italia con Ottone I e nel 948 furono investiti da questo imperatore di alcuni feudi in Romagna, tra cui Modigliana.
Il fatto è che da semplici conti rurali - e non è da escludere che avessero la loro stanza originaria nel Pistoiese o nella Romagna - proprio ai tempi del sovrano sassone essi, con il capostipite Teudegrimo, cominciarono ad apparire signori di estesi possessi al di qua e al di là dell'Appennino, in Romagna, in Emilia e in Toscana, e trovarono conveniente gravitare intorno all'Impero. Il conte Guido di Teudegrimo partecipò con altri grandi signori della Toscana nell'aprile 1007 alla dieta di Neuburg sul Danubio. Per il secolo XI sono conosciuti soprattutto attraverso i loro atti di liberalità verso chiese episcopali e monasteri, ma la loro cura precipua fu sempre quella delle armi, per cui raggiunsero larga fama. La figura che emerge in tale età è quella del Guido per cui prese vivo affetto materno la contessa Matilde di Toscana che lo adottò. Alla morte di questa egli assunse il titolo di marchese di Toscana e allargò i suoi possessi con beni di pertinenza sia della madre adottiva, sia di altri potentati estintisi, come i conti cadolingi di Fucecchio. Il secolo XII rappresenta il tempo della più ampia espansione della casata e della sua maggiore potenza: più di 200 castelli erano soggetti al loro dominio, innumerevoli le fortezze, le rocche, soprattutto agli sbocchi delle valli e sugli sproni montuosi. E allora i G. non ebbero neppure timore di venire a confronto con le città che erano in pieno fermento autonomistico ed espansionistico. Si trovarono dunque a dover contrastare con le armi con tutte le città che gravitavano verso il crinale appenninico romagnolo e tosco-emiliano, e contemporaneamente dovettero affrontare le tendenze autonomistiche sia dei propri valvassori, che trovavano appoggio nelle città, sia dei centri maggiori del dominio, quali Modigliana, Poppi, e altri castelli, che pur non volendo uscire dalla sfera feudale, si erano data una più o meno completa organizzazione di tipo comunale. Fedeli all'Impero, da cui derivavano tutta la loro potenza, ne seguirono l'abbassamento, e militando nelle file ghibelline parteciparono alle guerre di partito che imperversarono dalla metà del Duecento alla metà del secolo successivo. A ogni modo, con la metà del Duecento la casata entra decisamente nella fase di decadenza e alla fine del Trecento è in piena crisi.
Ai tempi di D., il prestigio della casa era ancora alto, e se ne ha un'eco nell'ultimo verso del primo componimento della tenzone con Forese Donati (Rime LXXIII 14). D. inoltre, nell'epistola II, una consolatoria diretta a Oberto e Guido conti di Romena per la morte del loro zio Alessandro, chiama la stirpe dei conti G. progenies maxima Tuscanorum (§ 3). Egli fu in rapporti diretti e personali con alcuni dei suoi membri, rapporti di cui rimane traccia, oltre che nei due luoghi citati, in vari punti della Commedia. Ma queste menzioni sono del tutto occasionali e fatte solo in funzione della struttura del poema e della necessità pratica di popolare i tre regni di figure significative di virtù e colpe, sicché l'aver trascurato personaggi di grande rilievo storico come Guido Guerra II, figlio adottivo della contessa Matilde, non deve significare che D. non li conoscesse affatto.
Ma ormai quella dei G. non era più la stirpe preminente, sia pure nei limiti dell'ambiente regionale, né D. dimostrò nei suoi scritti di avere cognizioni profonde sul conto di quella e delle altre casate feudali della Toscana. Le sue conoscenze in genere non risalivano a fatti lontani più di un secolo, cioè prima del 1180 circa, quando Guido Guerra IV contrasse matrimonio con la fiorentina Gualdrada, figlia di Bellinciorie Berti dei Ravignani. Fu allora o, meglio, alla morté di Bellincione, che entrò nel patrimonio immobiliare dei G. un complesso di edifici di proprietà dei Ravignani, posti in prevalenza nei popoli di S. Margherita e di S. Maria in Campo di Firenze, cioè presso le dimore degli Alighieri. In quelle case, e soprattutto nel palazzo vicino a S. Maria in Campo, facevano capo i G. quando si trasferivano in città per una delle tante occasioni che si presentavano loro di trattare col comune. Erano i G. di Casentino e di Modigliana o in genere di Romagna, che avevano maggiori occasioni di recarsi in città, e fu allora che D. poté vederli un po' tutti e magari stringere rapporti di un qualche peso se non addirittura di amicizia con qualcuno di loro, soprattutto con i conti di Romena, figli di Aghinolfo II, cui dedicò la citata epistola consolatoria.
Gli accenti più cari e sentiti del poeta vanno tuttavia verso il nipote di Guido Guerra IV e di Gualdrada: Guido Guerra V, che pur è posto, in ossequio all'inflessibile giustizia che domina il poema, nel terzo girone del settimo cerchio, fra i sodomiti (If XVI 34-39). Alla menzione elogiativa dantesca del capo guelfo Guido Guerra V, fa da singolare riscontro il silenzio assoluto sul suo consanguineo Guido Novello, intransigente capo riconosciuto del ghibellinismo toscano per tutta la sua vita (morì nel 1293). Egli fu anche ricco di virtù militari, che mancarono invece a un altro consanguineo del ramo di Dovadola, nipote di Guido Guerra V perché figlio del suo fratello Ruggero, Guido Salvatico, figura piuttosto scialba per quanto godesse di una certa considerazione nell'ambiente guelfo.
Negli anni di D. vi fu una grande conversione di molti G. al guelfismo: il conte Guido del ramo di Battifolle e i quattro fratelli del ramo di Romena, Guido, Alessandro, Aghinolfo e Ildebrandino che fu vescovo di Arezzo; i primi tre, istigatori del falsario maestro Adamo, reato di cui non ebbero a subire conseguenze perché allora erano ghibellini e inafferrabili dalla giustizia fiorentina. Condannati nell'avere, tutto fu cassato come premio per la loro conversione a Parte guelfa, in favore della quale si dimostrarono accesissimi. Ma fu conversione sincera oppure dettata da motivi di opportunità quella di un certo numero di conti G. verso il guelfismo? Almeno per certuni fu più una finta in attesa che le cose prendessero una via definitiva. L'occasione che mise alla prova i sentimenti di fedeltà, si ebbe nel 1310, quando Enrico VII mandò messi a chiedere il giuramento di fedeltà, premessa alla sua discesa in Italia. Aghinolfo di Romena fu uno dei primi a prestarlo, probabilmente seguito da consanguinei del ramo di Modigliana, che fu ghibellino per tradizione. Poi nell'ottobre 1311, i messi del sovrano, respinti da Firenze, ebbero oneste accoglienze presso il conte Tegrimo e i suoi fratelli nel castello di S. Godenzo, dove pur D. era stato con altri esponenti della fazione dei Bianchi nei primi anni dell'esilio, e così pure furono cordialmente accolti nel castello di Civitella dal vescovo Ildebrandino. Persino i conti dei rami più potenti di Dovadola e di Battifolle si piegarono all'omaggio, insinceramente.
Infatti, allorché D. fu a Pisa nella primavera del 1312, egli trovò riuniti presso il sovrano numerosi signori di Modigliana, Aghinolfo da Romena col fratello vescovo, che proprio a Pisa concluse la sua vita terrena; mancavano però i G. di Dovadola e di Battifolle i quali di nuovo si erano riaccostati a Firenze e poi militarono nelle schiere fiorentine. Infine, al funebre corteggio che accompagnò le spoglie di Enrico VII da Buonconvento a Pisa, parteciparono pochi G. ghibellini, capeggiati dall'omonimo nipote dell'esponente ghibellino Guido Novello.
Non risulta che i G. avessero rapporti stretti con Lodovico il Bavaro; certamente ne ebbero e di ripetuti con Carlo IV nelle sue calate in Italia, e da lui si fecero confermare i residui possessi con i relativi diritti. Ma ormai i loro bei tempi erano scomparsi per sempre.
In questa rassegna delle caratteristiche fondamentali della storia dei conti G. e dei rapporti di quella casata con D. si sono ricordati spesso membri appartenenti a vari rami della famiglia. Questa divisione nei tempi più antichi doveva essere stata quasi una necessità per amministrare domini tanto estesi; e ai tempi di Guido Guerra IV la stirpe corse il rischio di estinzione nella discendenza diretta, dacché sterile si era dimostrato il matrimonio con Agnese di Guglielmo il Vecchio, marchese di Monferrato; ma dal secondo matrimonio con la fiorentina Gualdrada di Bellincion Berti dei Ravignani furono generati cinque maschi. Da quattro di questi rampollarono altrettanti rami: dal primogenito Guido, la linea di Bagno, da cui seguì subito dopo, tramite Simone figlio del detto Guido, il ramo dei conti di Battifolle, Poppi, Borgo alla Collina, Belforte e Moncione; da Tegrimo diramò la linea dei conti di Modigliana, Porciano e Urbecche estinta nel 1501; da Aghinolfo, la linea dei conti di Romena, Ragginopoli e Montegramelli estinta nel secolo XVI; infine da Marcovaldo, la linea dei conti di Dovadola estinti nel 1449 con Guelfo di Malatesta, fatto decapitare da Guidantonio Manfredi signore di Faenza. Dei rami minori ricordiamo quello dei Bagno-Montebello che, estinguendosi, lasciò erede il ramo di Mantova, staccatosi dai G. di Bagno e ancora esistente e in possesso di un interessante complesso di antiche carte sulla famiglia. Quello di Modena, detto dei conti Guidelli, si staccò dal ramo di Battifolle con un conte Francesco vissuto intorno al 1500; in quanto al ramo di Volterra, pur esso tuttora in vita, si vorrebbe disceso da un Guido Salvatico del secolo XIV uscito dalla linea di Dovadola.
Bibl. - S. Ammirato, Albero e Istoria della famiglia dei conti G., con aggiunta di S. Ammirato il Giovane, Firenze 1640; tutto dedicato a documenti per intero o per regesto sulla famiglia G. è il volume VIII delle Delizie degli eruditi toscani, ibid. 1777; preziose le 20 tavole genealogiche con larghe esplicazioni dedicate al casato da L. Passerini, in P. Litta, Famiglie celebri d'Italia, XXV, Milano 1866-1867; L. Passerini, Armi e notizie storiche delle famiglie toscane che sono nominate nella D.C., in L'Inferno di D.A., a c. di G.G. Warren Lord Vernon, II, Documenti, Firenze-Londra 1862, 501-502 (Conti G. di Modigliana), 503-504 (Conti G. da Romena); R. Davidsohn, D., i conti G. e gli Elisei, in " Bull. " XIX (1912) 221-225; V. Ragazzini, Modigliana e i conti G. in un lodo arbitrale del secolo XIII, Modigliana 1921; R. Piattoli, Diploma inedito dell'imperatore Carlo IV per Bandino da Romena dei conti G. (1355 maggio 17), in Scritti di Paleografia e Diplomatica in onore di V. Federici, Firenze 1944, 267-273. Fondamentale sotto l'aspetto storico-critico E. Sestan, D. ed i conti G., in Conferenze aretine, Arezzo 1966, 101-117.