VERGIOLESI, Guidaloste
VERGIOLESI, Guidaloste. – Nacque quasi sicuramente a Pistoia, dove la sua famiglia possedeva un nucleo consistente di abitazioni nel quartiere di Porta Sant’Andrea, o forse nel castello avito di Vergiole, centro collinare a pochi chilometri da Pistoia da cui il lignaggio si cognominò; con ogni probabilità figlio di messer Orlandetto, consul militum nel 1225 e personaggio di spicco dello spazio politico pistoiese nel secondo quarto del XIII secolo. La sua data di nascita può essere congetturalmente collocata nel primo quindicennio del Duecento.
Membro di un’ampia e potente consorteria, dovette essere avviato alla carriera ecclesiastica in giovane età (nel 1234 compare fra i testimoni di un atto del vescovo di Pistoia allora in carica, Graziadio Berlinghieri), compiendo studi di diritto e entrando a far parte relativamente presto (se è lui il Guidaloste citato fra i canonici di S. Zenone in un documento dell’ottobre del 1238) del capitolo della cattedrale cittadina. Nel 1252, a due anni dalla morte del vescovo Graziadio Berlinghieri, Vergiolesi venne eletto vescovo di Pistoia dallo stesso capitolo cattedrale.
Il periodo precedente era stato segnato, sia nel capitolo sia nella società pistoiese, da un duro contrasto tra i sostenitori della parte imperiale (cui era appartenuto il vecchio vescovo) e i sostenitori della parte papale (fra cui possiamo collocare il medesimo Guidaloste),
È ragionevole ritenere che abbia avuto un peso, nella sua elezione, il ruolo dell’arcivescovo Filippo, più noto come Filippo Fontana o Filippo da Pistoia, quasi certamente anch’egli membro della famiglia Vergiolesi, titolare in quegli anni delle cattedre di Ferrara e Ravenna (e per poco tempo anche di Firenze), importante collaboratore di Innocenzo IV. Filippo Fontana era stato in prima fila fra i prelati che avevano di fatto deposto il predecessore di Vergiolesi sul seggio episcopale pistoiese – appunto Graziadio Berlinghieri – a causa del contrasto fra questi e i francescani pistoiesi. E proprio dell’arcivescovo Filippo Vergiolesi fu tra il 1257 e il 1259 vicario episcopale a Ravenna, anche se non pare che egli si sia mai mosso fisicamente da Pistoia. D’altra parte, i rapporti con Filippo e più in generale con la famiglia di origine furono con ogni evidenza sempre buoni, se è possibile attribuire a Vergiolesi la concessione del dominio sul castello vescovile della Sambuca (che nel 1256 gli rinnovò la sottomissione) ad alcuni membri della famiglia Vergiolesi, che ancora ai primissimi del Trecento ne aveva la disponibilità.
Al di là dell’eventuale consistenza delle donazioni e dei trasferimenti di beni e diritti della mensa vescovile operati da Vergiolesi (che peraltro come vedremo cercò di opporsi ai tentativi delle autorità cittadine di acquisire il pieno controllo di alcuni centri dipendenti dal vescovato pistoiese) a vantaggio dei propri consanguinei, il suo episcopato si caratterizzò in ogni caso per l’intensa attività pastorale esplicata nei più di trent’anni che lo videro operare sul seggio pistoiese, e per la capacità di incidere in maniera significativa nell’intero territorio diocesano (che comprendeva anche Prato, connessa a Pistoia da molteplici legami, ma fieramente ostile sul piano politico fin dagli esordi dell’autogoverno comunale).
Paradossalmente, si deve così all’iniziativa del pistoiese Vergiolesi la prima menzione documentaria certa del culto del sacro cingolo mariano a Prato, destinato a imporsi dalla seconda metà del Duecento come vero e proprio culto civico identitario.
Nel 1255 egli concesse, infatti, un’indulgenza parziale ai pellegrini che avessero visitato la reliquia della cintura della Madonna, custodita nella locale pieve di S. Stefano, in occasione della festività mariana dell’8 settembre, fornendo in questo modo il primo riconoscimento ufficiale della gerarchia a un culto che verosimilmente doveva essersi affermato localmente (e non solo) da alcuni decenni.
Tanto a Prato che a Pistoia, Vergiolesi si dimostrò aperto alle religiones novae che proprio dalla metà del Duecento si sarebbero inserite nei vari contesti urbani dell’Italia centro-settentrionale e nello specifico della Toscana, favorendo (o comunque, certo non ostacolando) l’impianto delle diverse comunità sia a Pistoia sia a Prato. A Pistoia, egli sostenne sia la comunità francescana sia quella domenicana (quest’ultima insediatasi in città appena prima della sua elezione, e consolidatasi proprio durante il suo episcopato). Ma concesse il proprio appoggio anche a realtà non ancora solidamente strutturate come quella dei fiorentini Servi di Maria.
Secondo la tradizione interna alla comunità pistoiese, essi sarebbero giunti in città già dal 1256, in contemporanea con la prima bolla di approvazione dell’ordine di Alessandro IV; in questo senso potrebbe aver influito, probabilmente, il favore che i serviti seppero ottenere da alcuni prelati di Curia (i cardinali Pietro e Raniero Capocci in primis, che Vergiolesi forse ebbe a conoscere grazie al tramite di Filippo Fontana).
In ogni caso fu Vergiolesi a benedire la posa della prima pietra della loro chiesa conventuale a Pistoia, nel 1271; e fu sempre lui a compiere la stessa operazione per gli agostiniani, già presenti in città almeno dalla metà del secolo, nel 1278.
Dev’essere inoltre collocata durante il suo episcopato, a prescindere dalla veridicità del miracolo di fondazione che la tradizione data al 1277, l’istituzione dello spedale del Ceppo, destinato in seguito a diventare la principale istituzione assistenziale pistoiese.
Anche a Prato, dove comunque l’edificazione di nuove chiese doveva ottenere l’approvazione del proposto della pieve di S. Stefano, fu durante il suo episcopato che si insediarono (e nel caso dei domenicani dettero probabilmente avvio anche ai lavori per la costruzione della chiesa conventuale) le comunità agostiniana (1270) e domenicana (1276).
Certo, le condizioni generali della Chiesa del tempo erano complessivamente favorevoli alle nuove realtà, ma l’atteggiamento di sostegno e apertura mostrato da Vergiolesi durante tutto il suo episcopato nei confronti della galassia mendicante, anche al di là delle possibili consonanze politiche del momento, mostra chiaramente la sua attenzione alla situazione pastorale della diocesi, e forse una generale comunanza spirituale con un mondo comunque portatore di una nuova modalità di vivere il vangelo. Queste considerazioni sembrano in qualche modo trovare conferma nella cura – questa assai meno scontata – che egli dedicò anche in questo caso durante tutto il suo episcopato alle esperienze religiose femminili, consolidate o ‘innovative’, a Pistoia come a Prato.
Centrale dovette essere il suo ruolo, innanzitutto, nella fondazione del monastero cistercense femminile di S. Vito a Celle, la cui chiesa venne affidata dal pievano di Celle a un gruppo di monache dell’Ordine borgognone nel 1271 (l’atto venne rogato alla sua presenza, nella cappella del palazzo vescovile). E si dovette con ogni probabilità a lui la progressiva istituzionalizzazione e ricomprensione all’interno dell’alveo benedettino dell’esperienza della comunità femminile di S. Michele di Gora, probabilmente nata come realtà di tipo pauperistico sotto l’episcopato di Graziadio, ma che si strutturò e conobbe il proprio apice sotto Vergiolesi. Non si deve tuttavia pensare a Vergiolesi come a un fautore assoluto, per l’ambito femminile, della tradizione benedettina, né ancor meno come a un semplice burocrate, preoccupato di ricomprendere in schemi consolidati (se non proprio di censurare) le espressioni religiose femminili. Nel 1284 egli infatti redasse un’apposita regola per le cosiddette vestite di S. Francesco di Prato, ovvero per le appartenenti alla comunità di quei fratelli e sorelle della penitenza in via di istituzionalizzazione nel Terz’Ordine francescano. Fra i primi esempi di questo tipo di capitula, tale regola prevedeva una serie di prescrizioni (abito, preghiera, digiuni ecc.) che pur inserendo la comunità all’interno di un sicuro controllo gerarchico (assicurato dal guardiano del convento francescano pratese) lasciavano alle sue componenti un margine di azione abbastanza ampio, il che testimonia tanto dell’attenzione pastorale di Guidaloste quanto della sua dimestichezza con l’ambito giuridico-canonistico.
Sulle sue competenze giuridiche – che danno senso all’ipotesi formulata circa la sua formazione – disponiamo del resto di una particolare testimonianza proveniente da una causa di ambito laico: nel 1279 egli fu infatti incaricato dalla Curia papale di interrogare una serie di testimoni a margine della ventennale causa intentata dal bolognese Comaccio Galluzzi, già podestà di Todi nel 1268, contro il Comune di quella città.
Non conosciamo i motivi che portarono alla scelta di Vergiolesi come giudice (Galluzzi, cacciato dai ghibellini tudertini a poco più di un mese dall’inizio del suo incarico, aveva intentato causa presso la Curia pontificia), ma è chiaro che a prescindere da considerazioni di tipo politico o familiare egli doveva godere di una certa reputazione quale esperto di diritto.
Nei rapporti con il potere politico locale Vergiolesi si dimostrò del resto uomo di personalità forte, deciso a conservare per quanto possibile i diritti della Chiesa pistoiese dalla ormai sempre più stringente presa delle autorità cittadine, e per questo pronto anche ad arrivare con esse allo scontro aperto.
Nell’autunno del 1279 si consumò così il momento conclusivo di un conflitto (avviatosi probabilmente qualche tempo prima) fra il presule e la città per il dominio dei centri collinari di Lamporecchio e Orbignano, antichi possessi vescovili per i quali si erano avuti anche nei decenni precedenti aspri contrasti con il Comune. Gli arbitri incaricati di dirimere la questione, dopo che Vergiolesi si rivolse anche al legato pontificio Latino Malabranca, accolsero in buona sostanza le istanze cittadine, ponendo fine di fatto a qualsiasi pretesa vescovile sui due Comuni rurali in questione.
La conclusione di questa vicenda non servì tuttavia a calmare le acque fra Guidaloste e il governo pistoiese: nel 1282 esplose infatti un altro conflitto, ruotante in questo caso attorno alla riscossione di alcune non meglio precisate decime. I contorni della vicenda non sono chiari, ma è certo che nell’aprile di quell’anno il Consiglio cittadino approvò una serie di norme molto dure nei confronti del clero (per esempio, la proibizione per tutti i laboratores pistoiesi di prestare la propria opera a vantaggio dei chierici) destinate oltretutto a essere inserite nella successiva compilazione statutaria popolare del 1284; ed è ragionevole pensare che anche in questo caso Vergiolesi fu sconfitto.
Questi contrasti e queste sconfitte indussero forse il pugnace presule, del resto ormai assai avanti in età, a un atteggiamento più rinunciatario; nell’ottobre del 1283 egli infatti compiva una donazione pro salute anime sue. Nel settembre del 1284 fu a Prato, dove, come si è visto, assegnò la regola alle vestite locali; era ancora in vita il 18 ottobre 1285. Morì, probabilmente a Pistoia, prima del luglio del 1286 (il 21 febbraio secondo J.M. Fioravanti, Memorie storiche..., 1758, p. 70), quando risulta già in carica il suo successore, Tommaso Andrei.
Con Guidaloste scompariva quello che può essere considerato un tipico vescovo duecentesco italiano, attivo in una città di tradizione comunale: pastore attento e capace di interagire attivamente con il fermento religioso proveniente dalla società locale, ma ancora pienamente coinvolto nelle vicende politiche.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Pistoia, Vescovado, 1285 ottobre 18; J.M. Fioravanti, Memorie storiche della città di Pistoja, Lucca 1758; A. Pierotti, Regola antica per le Terziarie di Prato ed un elenco di documenti sul Terz’Ordine, in Studi francescani, VII (1921), pp. 106-118; R. Fantappié, Per la storia del Sacro Cingolo, in Archivio storico pratese, LXXXVII (2011), pp. 133-178 (in partic. pp. 151 s.).
Q. Santoli, Il distretto pistoiese nei secoli XII e XIII, in Bullettino storico pistoiese, V (1903), pp. 113-163 (in partic. pp. 137-158); S. Ferrali, Le temporalità del Vescovado nei rapporti col Comune a Pistoia nei secoli XII e XIII, in Vescovi e diocesi in Italia nel medioevo (sec. IX-XIII), Padova 1964, pp. 365-408 (in partic. pp. 403-405); Id., Le origini della diocesi e la serie dei vescovi di Pistoia, Pistoia 1971, p. 16; N. Rauty, L’antico palazzo dei vescovi a Pistoia. I. Storia e restauro, Firenze 1981, ad ind.; J.C. Maire-Vigueur, Giudici e testimoni a confronto, in La parola all’accusato, a cura di J.C. Maire-Vigueur - A. Paravicini Bagliani, Palermo 1991, pp. 105-124; G. Zanella, Filippo da Pistoia, in Dizionario biografico degli Italiani, XLVII, Roma 1997, s.v.; L. Gai, Insediamento e prima diffusione degli Ordini mendicanti a Pistoia, in Gli ordini mendicanti a Pistoia (secc. XIII-XV), Pistoia 2001, pp. 69-113 (in partic. pp. 96-108); R. Nelli, Clero secolare e Ordini mendicanti a Pistoia nei secoli XIII-XV, in Gli ordini mendicanti a Pistoia (secc. XIII-XV), Pistoia 2001, pp. 115-140 (in partic. pp. 131-134); P. Gualtieri, Poteri civili ed ecclesiastici ed esperienze religiose femminili a Pistoia fra Due e Trecento, in Vita religiosa al femminile. Secoli XIII-XIV, Roma 2019, pp. 217-241 (in partic. pp. 233-237).