VENTURA, Guglielmo
– Nacque ad Asti intorno alla seconda metà del XIII secolo; non è noto il nome dei genitori.
La famiglia Ventura, probabilmente di origine popolare e già vicina al mondo mercantile, risiedeva ad Asti nei pressi dell’attuale piazza San Secondo. A essa appartenne anche il cronista Secondino Ventura (v. la voce in questo Dizionario).
L’approssimativa data di nascita si ricava dal testamento, redatto intorno al 1310 e inserito nel cap. LVII del Memoriale, in cui egli asserisce di avere sessant’anni e di essere in buona salute («Ego Guillelmus cum essem annorum sexaginta, currente anno mcccx [...] dum viverem potitus et mentis et corporis sanitate»: Memoriale Guilielmi Venturae, a cura di C. Combetti, 1848, coll. 773 s.) e dal cap. XXVI, dedicato al giubileo, in cui scrive di avere più di cinquant’anni («Et eram ego Guillelmus, Romae cum fui, annorum quinquaginta et amplius»; coll. 735 s.). Dallo stesso documento si apprende che Ventura ebbe almeno due figli maschi e due femmine (di cui conosciamo anche il nome, Grazietta e Genta), che avrebbero dovuto trovare sepoltura presso lo stesso monastero di S. Anna (oggi Archivio di Stato di Asti) in cui il padre aveva fatto erigere una tomba di famiglia.
Seguendo la tradizione familiare, Ventura si dedicò al commercio delle spezie (cfr. Gabotto, 1903, p. 594; capp. X, XXXVI, XXXVIII, XL, LVII del Memoriale).
A partire dagli anni Settanta del Duecento Guglielmo viaggiò nel Nord e Centro Italia. Nel 1287 e poi nel luglio del 1288 e nel dicembre del 1293 si recò a Genova (cfr. Gabotto, 1903, p. 594; Memoriale Guilielmi Venturae, cit., cap. LXI), tra il 1277 e il 1293 a Verona, Mantova, Cremona e Firenze (cap. XXIII), mentre in occasione del giubileo del 1300 visitò Roma. I viaggi, motivati in primo luogo dagli affari, furono occasione per informarsi della storia passata come degli avvenimenti più recenti: quel che notò confluì nel Memoriale, un libro di famiglia dal sapore storiografico con un ampio sguardo su tutta l’Italia.
Ebbe verosimilmente un’istruzione di base, anche se nel Memoriale non ve n’è traccia diretta; al riguardo, egli nomina e utilizza solo i Disticha Catonis (cfr. Memoriale, cap. LVII).
In ugual modo, dimostra di essere sì a conoscenza della diffusione dei romanzi cavallereschi, ma li rifiuta (parlando ai figli scrive «fabulas scripta in libris, qui romani vocantur, vitare debeant, quae semper odio habui»: Memoriale Guilielmi Venturae, cit., 1848, cap. LVII, col. 774), allontanandosi così anche dai modelli di vita da loro ispirati (Garofani, 2002, p. 142; Bordone, 1992, p. 471).
Negli stessi anni Ventura partecipò attivamente alla vita politica del Comune astese, opponendosi (anche con le armi) alle ingerenze esterne, di Carlo I d’Angiò nella primavera del 1274 (cfr. Memoriale, cap. IX) e di Guglielmo VII di Monferrato nel 1290 (cap. XIV). Negli anni della guerra civile e delle lotte intestine tra le famiglie dei Solaro e la società Bechincinere fu eletto membro del governo popolare (Goria, 1937, pp. 95 s.; Memoriale, cap. LVII) e nel 1303 pagò con il confino a Savona il rientro in città dell’opposta fazione (Memoriale, cap. XXX). Nel maggio dell’anno successivo, rientrati in città i Solaro, Ventura riprese l’attività politica: è datato 23 febbraio 1305 l’unico documento che ricorda Ventura tra i credendari del Maggior Consiglio (cfr. Archivio di Stato di Torino, Provincia di Asti, m. I, p. 270 ss.). Nell’estate dello stesso anno sostituì uno dei quattro consoli che reggevano Asti (Guglielmo Rasparello) e nel novembre successivo tenne il luogo del capitano del Popolo presso l’esercito astigiano radunato nel Monferrato (cfr. Memoriale, capp. XXXVII-XXXVIII). Infine, nel 1310 partecipò al banchetto voluto dal re di Sicilia Roberto d’Angiò per dimostrare la vicinanza di angioini e astesi (cap. LIII).
Nel corso della sua vita, Ventura svolse altri «officia et consilia comunis» (Memoriale Guilielmi Venturae, cit., 1848, cap. LVII, col. 774), non documentati, ma menzionati nel testamento, in cui consigliò ai figli di evitare ogni incarico pubblico a causa delle persecuzioni e dei danni che egli subì (Memoriale, cap. LVII).
L’unica opera nota di Guglielmo è il Memoriale: è tradito da ben diciotto testimoni (quindici manoscritti e due edizioni a stampa, utili per ricostruire altri tre manoscritti), a prova di una fortuna notevole (almeno a livello locale). L’edizione di riferimento è ancora quella ottocentesca dei Monumenta Historiae Patriae; un’edizione critica (che valorizza anche tre manoscritti mai esaminati precedentemente) è in fase di preparazione.
Il testo, suddiviso in centoquattordici capitoli, raramente rispetta l’ordine cronologico, preferendo giustapporre episodi logicamente legati tra loro. Si creano così cicli narrativi interni: una parte di questi è dedicata alle vicende astesi, incentrate intorno alla lotta dei due partiti per il predominio o alle ingerenze esterne delle forze sovracomunali che intendevano sottomettere la città.
Il testo non limita però la narrazione alle mura astesi, ma amplia lo sguardo a eventi di tutta la penisola: vengono dedicate, per esempio, delle sequenze di capitoli alle discordie nate tra i Lombardi all’indomani della morte di Federico II o agli eventi precedenti e successivi la soppressione dell’Ordine dei templari. Altri protagonisti di cicli narrativi sono Enrico VI, Ugo del Balzo (vicario in Piemonte del re Roberto d’Angiò), Raimondo di Cardona e Matteo Visconti a Milano. Spesso i cicli narrativi sono inframmezzati dalla descrizione di eventi prodigiosi, naturali o straordinari, come l’arrivo dei flagellanti ad Asti, il passaggio di stelle comete, eclissi di Sole, carestie, il crollo di una chiesa della città: la loro presenza si giustifica con il moralismo venturiano, soprattutto quando questi fatti si intendono come annuncio dell’evento principale del ciclo.
A queste sequenze si alternano alcuni capitoli isolati, i più importanti dei quali sono il già citato testamento e i due sermoni inseriti nei capitoli I e XLIX. I sermoni, composti nel gennaio del 1305 e nell’estate del 1307, sono indirizzati ai Solaro e ai De Castello, famiglie guida delle opposte fazioni cittadine, e dimostrano la viva partecipazione dell’autore alla vita politica astese, scossa da profonde contese interne che portarono infine alla perdita dell’indipendenza comunale.
Il moralismo dei sermoni rimanda a un solido patriottismo e a un’ideologia comunale semplice, che, pur riconoscendo nell’insorgere delle parti e nell’ascesa dei tiranni la causa della decadenza urbana delle città lombarde, non arriva a comprendere le ragioni storiche del sorgere delle signorie (cfr. Goria, 1937, pp. 232 s.; Bordone, 2002, pp. 70, 76). L’afflato narrativo tendente all’orazione che contraddistingue i due testi è un primo indizio della notevole cultura biblica posseduta da Guglielmo. Un secondo indizio si deduce dalla ripresa di moduli biblici che, in forma di citazione o modello oratorio, sono strutturali alla narrazione e non semplicemente strumentali (cfr. Garofani, 2002, p. 143). Usi linguistici e citazioni (dirette e indirette) configurano dunque conoscenze in apparenza poco giustificabili in un laico mercante.
La lingua del Memoriale è un latino medievale, semplice e non puro, in cui talvolta la sovrapposizione del volgare dà origine a enunciati misti, formicolanti di volgarismi e termini di derivazione dialettale, che sembrano accentuarsi nei dialoghi e nei momenti polemici.
Le fonti scritte hanno avuto un ruolo ridotto nella stesura del Memoriale. Se è vero infatti che il cronista sentì il bisogno, nel cap. XXV, di riprendere parte della storia precedente e di riproporre (o di riassumere) il testo di una non identificata cronachetta dalla struttura annalistica, è da escludere un rimaneggiamento tanto della produzione storiografica precedente quanto di documenti ufficiali. Grande importanza viene data invece all’esperienza diretta dell’autore e a fonti orali fededegne: quando mancano, Guglielmo avanza delle supposizioni o rimanda alla coscienza degli attori. La materia narrata trae spunto da ciò che «oculo, manibus, auribus vidi, tetegi et audivi» (cfr. Memoriale Guilielmi Venturae, cit., 1848, cap. XLIX, col. 764).
Ventura si spense probabilmente nella città natia, in data imprecisata, ma al più tardi del 1322, anno dopo il quale non si hanno più sue notizie.
Fonti e Bibl.: Memoriale Guilielmi Venturae civis Astensis De gestis civium Astensium et plurium illorum, in RIS, XI, Milano 1727, coll. 153-268; G. Pasini, Codices manuscripti Bibliothecae Regii Taurinensis Athenaei, II, Pars altera. Complectens Latinos, Italos & Gallicos, Taurini 1749, pp. 134-148 (ed. parziale); Memoriale Guilielmi Venturae civis Astensis de gestis civium Astensium et plurium aliorum, a cura di C. Combetti, in Monumenta Historiae Patriae. Scriptores, III, Augustae Taurinorum 1848, coll. 701-816 (ed. anast. e trad. Asti 1978); Carte astigiane del secolo XIV, a cura di P. D’Acquino, Asti 1983, ad indicem.
S. Grassi, Storia della città di Asti, Asti 1817, pp. 11-23; G. Napione, Vite ed elogi d’illustri italiani, II, Pisa 1818, pp. 69-94; G. Claretta, Sui principali storici piemontesi e particolarmente sugli storiografi della R. casa di Savoia. Memorie storiche, letterarie e biografiche, in Memorie dell’Accademia delle scienze di Torino, XXXI (1879), p. 12; G. Gorrini, Il comune astigiano e la sua storiografia: saggio storico-critico, Firenze 1884, pp. 165-187; F. Gabotto, Asti e la politica sabauda in Italia al tempo di G. V., Pinerolo 1903; E. Masi, Asti e gli Alfieri nei ricordi della villa di San Martino, Firenze 1903, pp. 108-210; A. Tallone, Ezzelino III da Romano nel Memoriale di G. V., in Archivio Muratoriano. Studi e ricerche in servigio della nuova edizione dei “Rerum Italicarum Scriptores” di L.A. Muratori, a cura di V. Fiorini, Città di Castello 1917, pp. 419, 446; A. Goria, Studi sul cronista astigiano G. V., in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, LII (1937), pp. 137-255; Id., G. V. e il suo memoriale, in Rivista storica italiana, LXII (1950), pp. 5-29; G. Martini, Lo spirito cittadino e le origini della storiografia comunale lombarda, in I problemi della civiltà comunale, a cura di C.D. Fonseca, Bergamo 1971, pp. 137-150; R. Bordone, Asti capitale provinciale e il retaggio di uno “stato” medievale, in Società e storia, XII (1989), 44, pp. 288-290; Id., Progetti nobiliari del ceto dirigente del comune di Asti al tramonto, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, XC (1992), 2, pp. 437-494; Id., Uno stato d’animo. Memoria del tempo e comportamenti urbani nel mondo comunale italiano, Firenze 2002, pp. 66-87; B. Garofani, Un cronista di “popolo” e le stirpi signorili: prospettive su G. V., in Il Monferrato: crocevia politico, economico e culturale tra Mediterraneo e Europa, a cura di G. Soldi, Genova 2002, pp. 141-155.