SIRLETO, Guglielmo
- Nato nel 1514 a Guardavalle presso Stilo in Calabria, da Tommaso, di incerta professione, e da una Politi di Cropani, ebbe sei fratelli e una sorella.
Introdotto allo studio del greco probabilmente da uno dei discendenti dei tanti dotti rifugiatisi in Calabria dopo la caduta di Costantinopoli, nel 1531 si recò a Napoli dove studiò filosofia con Agostino Nifo, teologia con Ottaviano da Tagliacozzo, lingue classiche, matematica, diritto e storia ecclesiastica, e strinse amicizia con Marcantonio Flaminio, discepolo di Juan de Valdés, del cui magistero non sappiamo se beneficiò, anche se non sembra avere lasciato tracce sulla sua spiritualità. Raccomandato da Flaminio a Girolamo Seripando, generale degli agostiniani, Sirleto giunse a Roma tra fine 1539 e inizio 1540, privo di mezzi di sostentamento, se non l’aiuto di Filippo Neri. Entrato in contatto con Marcello Cervini, questi si avvalse della sua profonda conoscenza delle lingue classiche per le sue iniziative editoriali tese al recupero dei testi patristici e di esegesi biblica, e lo introdusse a eruditi e letterati che gravitavano intorno a lui: Fausto Sabeo, Angelo Colocci, Girolamo Vida, Agostino Steuco, Annibal Caro. Ricevette, infatti, otto scudi dallo stampatore Bernardo Giunti per la correzione del commento greco di Teofilatto ai Vangeli, apparso a Roma nel 1542 a cura di Francesco Torres.
Probabilmente in questi anni studiò l’ebraico. Nell’ottobre 1545 rifiutò la cattedra di greco all'Università di Perugia con un salario di 200 scudi annui, adducendo che non intendeva tornare a «leggere il Crisolora ovvero Luciano, avendo già cominciato a conversare con gli autori divini» (Paschini, 1947, p. 167). Analogo rifiuto oppose all’invito del segretario di Paolo III, Bernardino Maffei, nell’inverno del 1546 di fare il precettore di Ranuccio Farnese, nipote prediletto del papa, argomentando che non voleva insegnare Omero e Demostene, avendo lasciato gli studi classici per la Bibbia e la letteratura cristiana. Forse per intervento di Flaminio, accettò poco dopo però di dare lezioni di greco ai familiari del cardinale Giovanni Morone, tra i quali il nipote Giulio, rimanendo colpito dall’audacia dottrinale delle discussioni tenute in quella casa sul valore meritorio delle opere e sul ruolo salvifico della grazia.
Contemporaneamente Cervini, allora legato al concilio di Trento, se ne servì come consulente e gli fece corrispondere quattro ducati d’oro al mese perché reperisse, trascrivesse e traducesse dal greco in latino testi conciliari e patristici utili ai dibattiti sul primato di Pietro, la tradizione apostolica, la Vulgata, l’eucarestia, la necessità delle opere per la salvezza. Consulenza che tornerà a fornire nella terza fase del Concilio al legato Seripando e, dopo la sua morte (marzo 1563), al cardinale Morone sull’incadescente questione dello ius divinum della residenza episcopale, sul calice ai laici, sul sacrificio della messa, sul sacramento dell’ordine, del matrimonio, sul culto delle immagini, sulle messe di suffragio. Affrontò anche il problema delle annate nel Tractatus de annatis et commendis al fine di contrastare «certa volontà troppo intensa de molti massime tramontani di estenuar quanto possono le cose di Roma» (Paschini, 1947, p. 263). Per quanto estese siano state le sue ricerche in funzione dell’attività conciliare, testimoniate dall’intensa corrispondenza con i tre legati, la loro incidenza effettiva sulla formulazione dei decreti è oggi oggetto di giudizi contrastanti.
Nelle more della nomina di Cervini a cardinale bibliotecario (28 ottobre 1548), Paolo III affidò la cura della Biblioteca Vaticana al cardinale Bernardino Maffei, il quale incaricò Sirleto del riordino del patrimonio librario, impoverito da furti e prestiti non restituiti, del restauro e dell’inventariazione, mai terminata, dei codici della Biblioteca. Nel contempo egli si prodigò nell’acquisto di manoscritti per Cervini e per la Biblioteca e nell’aiuto a studiosi, quali Pietro Vettori, Gentian Hervet, Nicola Maiorano e altri che a lui ricorrevano in vista della stampa di opere patristiche e bibliche. Inoltre, in assenza di Cervini da Roma curava la formazione dei nipoti Riccardo ed Erennio.
Giulio III premiò le sue lunghe fatiche nella difesa della Vulgata, documentate dai tredici volumi delle Annotationes in Novum Testamentum, portate a termine nel 1555, il cui principale bersaglio fu Erasmo, designadolo il 3 gennaio 1554 custode della Biblioteca con uno stipendio di sette ducati mensili. Vi lavorava già il fratello Girolamo e nel 1591 vi entrerà anche il nipote Tommaso.
La morte di Cervini (30 aprile 1555) non segnò una battuta d’arresto della sua carriera: Paolo IV, che ne aveva grande stima, a febbraio 1556 lo inserì nella commissione di prelati e cardinali preposti alla riforma della Chiesa e a settembre gli richiese un parere sulla legittimità del trasferimento dell’Impero da Carlo V a Ferdinando, giudicato da Sirleto atto privo di valore giuridico nel De Monarchia ecclesiastica (Denzler, 1986 pp. 195-198). Nominato nel gennaio 1557 protonotario apostolico, cedette al fratello Girolamo il posto di custode della Biblioteca, che questi mantenne fino alla morte nel 1576, e si trasferì in Vaticano, chiamato dal papa come commensale e compagno di esercizi spirituali. Consultato circa l’istituzione della festa della Cattedra di san Pietro, ne dimostrò l’antichità. Fu coinvolto nella revisione del Breviarium Romanum. Morto Paolo IV (18 agosto 1559), Sirleto, gravemente infermo durante tutto il 1562, trascorse un lungo periodo tra S. Agostino, ospite di Seripando, e S. Silvestro al Qurinale presso i chierici regolari teatini, dove rimase fino alla nomina cardinalizia, insegnando loro greco ed ebraico.
Creato da Pio IV cardinale diacono di S. Lorenzo in Panisperna il 12 marzo 1565, su suggerimento del cardinal nipote Carlo Borromeo con il quale aveva stretto rapporti nell’ultima fase del concilio che questi diresse da Roma, Sirleto fu adoperato in compiti di vario genere. Ripristinato il progetto di Paolo IV di creare una tipografia romana per la stampa della Vulgata e dei libri liturgici e affidatolo nel 1561 a Paolo Manuzio, Sirleto, munito di una licenza del maestro del Sacro Palazzo Tomas Manrique per la lettura di libri eretici in quanto «omnium haereticorum vehemens impugnator» (Commodaro, 1985, p. 80), collaborò all’impresa emendando la Vulgata, ma per la complessità dell’operazione, la pubblicazione non trovò immediata esecuzione e il suo lavoro confluirà nell’edizione sisto-clementina del 1592. Si diede, quindi, la precedenza, sempre con il suo aiuto, alla stampa del De Concilio del cardinale Reginald Pole, a testimonianza «della vita, innocenza e pietà veramente cristiana di quel buon signore» (Paschini, 1947, p. 274) e di vari scritti dei Padri e di esegesi biblica, nonché ai decreti e all’Indice tridentini.
Nominato vescovo di S. Marco Argentano in Calabria il 6 settembre 1566 e consacrato il 13 ottobre, un mese dopo si avviò verso la diocesi, dove giunse nel dicembre, dando inizio a riforme incentrate sulla creazione del seminario e sull’istruzione catechistica dei fedeli. Richiamato a Roma da Pio V il 12 marzo 1567, vi giunse il 13 maggio, avendo incaricato il nipote Marcello del governo della diocesi. Il 23 febbraio 1568 fu trasferito alla diocesi di Squillace, dove non andò a risiedere, nominando Marcello suo vicario generale. Questi indisse il 10 giugno 1568 la visita pastorale, protrattasi per un anno. Oltre ai problemi comuni a quasi tutte le diocesi all’indomani del concilio (non residenza del clero curato, concubinaggio, criminalità, licenziosità delle monache, difficoltà per il finanziamento del seminario nonostante il sussidio personale del Sirleto, ecc.), egli dovette affrontare l’assalto e la conquista di Squillace da parte dei Turchi nel 1568 e nuove incursioni nel 1569 con la cattura di cristiani e richieste di riscatto difficili da soddisfare. Dopo la rinuncia di Sirleto, che mantenne una pensione di 700 ducati (bolla del 23 maggio 1573), lasciandogliene 1000, il 29 maggio 1573 ne divenne vescovo reggendola fino alla morte (1594), quando gli succedette Tommaso, altro nipote del cardinale.
Candidato di Borromeo al conclave successivo alla morte di Pio IV (9 dicembre 1565), nel primo scrutinio ottenne 24 voti su 51, ma la sua inesperienza politica portò all’elezione di Pio V e alla partenza di Borromeo per la sua diocesi di Milano, dove fu guidato dalle lettere di Sirleto nella sua azione pastorale. Pio V lo incaricò nel 1566 di predisporre per la stampa presso Manuzio il Catechismus ad parochos e lo incluse nelle commissioni per la stampa del Breviarum (1568) e del Missale (1570); per la revisione del Corpus iuris canonici (1566) e per l’edizione latina della Sacra Scrittura (1569). Nel maggio del 1568 fu designato protettore della Congregazione dei catecumeni per la conversione degli infedeli e nel 1571 protettore dell’ordine basiliano, ciò che gli consentì di inviare Fulvio Orsini a inventariare i manoscritti greci dell’abbazia di Grottaferrata. Il 18 marzo 1572 Pio V lo nominò cardinale bibliotecario.
Sotto Gregorio XIII, il quale, in linea con il predecessore, si adoperò al rafforzamento del cattolicesimo anche sul terreno culturale, Sirleto, con la sua preparazione, fu inevitabilmente coinvolto in una serie di iniziative tese a dare rilevanza alle scienze sacre, agli studi di storia ecclesiastica e di diritto canonico, in funzione della difesa della fede e delle prerogative della Santa Sede. Presiedette la commissione per la stampa del Martyrologium Romanum, cui collaborarono Antonio Agelli, Latino Latini, Lodovico de Torres e Silvio Antoniano e che, arricchito grazie alle sue scoperte di testi patristici e agiografici greci, da lui tradotti in latino, fu portata a termine da Cesare Baronio nel 1585. Fu presidente della Congregazione del Calendario e stese la bolla Inter gravissimas (24 febbraio 1582) per l’entrata in vigore del calendario gregoriano. Nell’ambito del progetto di realizzazione di una storia ecclesiastica di ampio respiro volta alla difesa della monarchia pontificia e dello stato temporale della Chiesa non solo contro le Centurie di Magdeburgo di Flacio Illirico, ma anche contro i sostenitori cattolici della falsità della donazione di Costantino sulla scia di Lorenzo Valla, il ruolo del Sirleto fu dettato da un forte spirito controversistico e apologetico, che lo indusse a pronunciarsi contro il metodo critico-filologico di Carlo Sigonio, cui Gregorio XIII nel 1573 aveva affidato la stesura della Historia ecclesiastica, e a bloccarla insieme ad altri suoi scritti storiografici, preferendo l’impostazione controversistica degli Annales ecclesiastici da lui commissionati a Baronio diretti a illustrare la storia delle eresie. Partecipò assiduamente e con competenza alle riunioni della commissione per la revisione del Corpus iuris canonici e in particolare del Decretum Gratiani. Fu anche molto attivo nei tentativi, seppure vani, di unione con le chiese greche, presiedendo la Congregazione per i Greci d’Italia eretta il 10 giugno 1573, e quale protettore dei monasteri dell’ordine di San Basilio, oltre a collaborare all’intensificazione delle relazioni con le Chiese dissidenti d’Oriente.
Determinante fu il suo ruolo nell’esercizio della censura, che significataviamente coincise con la direzione della Vaticana. Nel novembre 1571 entrò, infatti, a fare parte della commissione cardinalizia per la revisione dell’Indice tridentino nominata da Pio V nel marzo 1571 ed eretta da Gregorio XIII con la bolla Ut pestiferarum opinionum (13 settembre 1572) in Congregazione, che presiederà fino alla morte. Sebbene non approdassero alla promulgazione del terzo Indice che vedrà la luce solo nel 1596, i lavori da lui diretti impressero una svolta profondamente intransigente nella politica culturale della Chiesa. Oltre che determinato a ripristinare il rigore dell’Indice del 1558, riproponendolo integralmente nel nuovo Indice, coadiuvato dai maestri del Sacro Palazzo, soprattutto da Paolo Costabili, allargò lo spettro delle opere vietate o sospese a testi giuridici, filosofici, storici e scientifici, e alla produzione editoriale di largo consumo, investendo i volgarizzamenti biblici e le opere della letteratura. Ciò fu possibile grazie all’avallo di editti, bandi, interminabili liste manoscritte di proibizioni e sospensioni predisposti dai maestri del Sacro Palazzo e dal Sant'Ufficio e distribuiti in periferia tra il 1574 e il 1583, quando furono bloccati da una denuncia di illegittimità del cardinale Gabriele Paleotti, membro della Congregazione. Le loro ripercussioni, tuttavia, sarebbero state di lunga durata, poiché l’uso di quegli elenchi verrà autorizzato al momento dell’esecuzione dell’Indice del 1596, causando danni incalcolabili.
Molto malandato fece testamento il 1° ottobre 1585 (in Denzler, 1986, pp. 203-205) e morì assistito da Filippo Neri il 6 ottobre nel Palazzo Apostolico «apud aulam Innocentii III», dove si era trasferito da cardinale. Fu sepolto a S. Lorenzo in Panisperna che aveva fatto ricostruire dalle fondamenta.
Alla sua morte Filippo II, attraverso Olivares, suo ambasciatore a Roma, cercò invano di acquisire per l’Escorial la sua ricchissima biblioteca: comprata nel 1588 dal cardinale Ascanio Colonna, fu venduta dagli eredi nel 1611 per 13.000 scudi al bibliofilo Giovanni Altemps. Di lui rimane presso i Musei Vaticani un ritratto di Scipione Pulzone.
Grande dotto ed erudito, esperto di lingue classiche e di scienze sacre, Sirleto pose le sue competenze intellettuali al servizio della valorizzazione delle fonti della fede in funzione della lotta all’eresia e della ridefinizione dell’ortodossia cattolica. A tal fine oltre all’arricchimento del patrimonio librario della Biblioteca Vaticana con continui acquisti, le diede un profilo che manterrà a lungo trasformandola da deposito del sapere in una fucina di iniziative culturali e editoriali intorno alle quali gravitarono studiosi di primo rilievo. Tuttavia, mosso da esigenze apologetiche, spesso rinnegò la sua formazione umanistica censurando il metodo critico-filogico adottato da un Sigonio, preferendogli l’impostazione controversistica di un Baronio nella ricostruzione della storia della Chiesa. Inoltre, il suo zelo censorio si abbatté su settori del mercato librario di grande diffusione estranei all’ambito teologico procurando gravissimi danni sul piano culturale. Incoerenze si colgono anche tra le sue posizioni teoriche sulle determinazioni disciplinari del concilio e i suoi consigli pastorali a Borromeo: dalla mancata residenza nelle diocesi di cui fu titolare, alla fedeltà all’ancora imperante logica familiare che lo indusse a resignare al nipote la diocesi di Squillace e a reclutare parenti stretti per la Biblioteca Vaticana.
Fonti e Bibl.: Le lettere al Borromeo sono a Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., F.36B inf., F.37 inf., F.39 inf., F.40 inf., F.42A inf., F.43A inf., F.44 inf., F.75 inf., P.6 inf.; vedi in proposito Lettere edite ed inedite di S. Carlo Borromeo al Card. G. S., in La Scuola Cattolica, s. 4, XVII (1910), pp. 1-27, e C. Marcora, Il Cardinale S. nei documenti della Biblioteca Ambrosiana, in Il card. G. S. (1514-1585), Atti del Convegno di Studio nel IV centenario della morte, a cura di L. Calabretta - G. Sinatora, Catanzaro 1989, pp. 183-216. Molta della documentazione epistolare e non è dispersa nei fondi della Biblioteca apostolica Vaticana; ci si limita a indicare i manoscritti più rilevanti: Vat. lat., 6179, 6177/I-II, 6181, 6184, 6185, 6186, 6189, 6190, 6191/I-II, 6192/I-II, 6193/I-II, 6194/I-II, 6195/I-II, 6379, 6411, 6416, 6417/I-II, 6946 (copialettere di S. 1571-85); Reg. lat., 387 e 2023. I Vat. lat., 6177 e 6178, contenenti il carteggio S.-Cervini durante il concilio, sono in buona parte editi a cura di G. Buschbell, Concilii Tridentini epistularum pars prima. Concilium Tridentinum. Diariorum, actorum, epistularum, tractatuum nova collectio, X, Friburgi Brisgoviae 1916, pp. 929-955.
P. Paschini, Il cardinale G. S. in Calabria, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, I (1947), pp. 22-37; P.E. Commodaro (a cura di), Il cardinale G. S. 1514-1585, in La Provincia di Catanzaro, III (1985), fasc. 4 (numero speciale); I. Backus - B. Gain, Le cardinal G. S. (1514-1585), sa bibliothèque et ses traductions de saint Basile, in Mélanges de l’École française de Rome, XCVIII (1986), pp. 889-955; G. Denzler, Il cardinale G. S. (1514-1585). Vita e attività scientifica: un contributo alla Riforma post-tridentina, Catanzaro 1986; G. Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (1471-1605), Bologna 1997, ad ind.; V. Frajese, La politica dell’Indice dal tridentino al clementino (1571-1596), in Archivio italiano per la storia della pietà, XI (1998), pp. 269-356; Church, Censorship and Culture in Early Modern Italy, a cura di G. Fragnito, Cambridge 2001, ad ind.; C. Quaranta, Marcello II Cervini (1501-1555). Riforma della Chiesa, concilio, Inquisizione, Bologna 2010, ad ind.; S. Lucà, G. S. e la Vaticana, in Storia della Biblioteca Vaticana, II, La Biblioteca Vaticana tra Riforma cattolica, crescita delle collezioni e nuovo edificio (1535-1590), a cura di A. Ceresa, Città del Vaticano 2012, pp. 145-188; M.A. Visceglia, La Biblioteca tra Urbano VII (15-27 settembre 1590) e Urbano VIII: cardinali, custodi, ‘scriptores’, ibid., III, La Vaticana nel Seicento (1596-1700). Una biblioteca di biblioteche, a cura di C. Montuschi, Città del Vaticano 2014, pp. 77-121 passim; Il «sapientissimo Calabro»: G. S. nel V centenario della nascita (1514-2014). Problemi, ricerche, prospettive, a cura di B. Clausi - S. Lucà, Roma 2018.