ROSSI, Guglielmo
– Figlio di Giacomo (il nome della madre è ignoto), nacque a Parma fra gli anni Sessanta e Settanta del Duecento (Litta, 1837, tav. II).
Sin dagli inizi del XIII secolo i Rossi avevano fatto della professione podestarile una vera e propria tradizione dinastica, che risaliva almeno ai tempi di Rolando, bisnonno di Guglielmo, e non si era interrotta con l’avo Bernardo e il padre Giacomo (Zorzi, 2008, p. 42).
Le prime attestazioni pubbliche sul suo conto risalgono al 1281, quando rivestiva la carica di podestà di Modena (Affò, 1795, p. 43). La sua carriera come officiale itinerante fu meno intensa rispetto a quella del padre e del fratello Ugolino; in ogni caso, lo condusse in piazze molto importanti, come la podesteria di Milano (1284) e il capitanato del Popolo a Bologna (1291-92; ibid., pp. 70, 83). Ebbe maggiori possibilità di impiego in Italia centrale: a Lucca nel 1290 e nel 1293 (Ragone, 2000, p. 678) e in diverse città umbre come Todi, Orvieto e Perugia (Cutini - Balzani, 2000, p. 709; Maire Vigueur, 2000, p. 1036).
Nell’estate del 1282 fu creato miles assieme al fratello per mano di Nicolò Fieschi, in una cerimonia fastosa al cospetto del notevole seguito di «boni homines [...] tam de populo quam de militibus» (Chronicon parmense, a cura di G. Bonazzi, 1902-1904, p. 43) che costituivano uno dei punti di forza del partito rossiano (Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, 1966, p. 748). A ciò seguirono matrimoni tesi a confermare la statura politica della famiglia entro una dimensione quantomeno regionale: Ugolino sposò Elena Cavalcabò di Viadana, Guglielmo prese in moglie la padovana Donella di Pietro da Carrara, rinunciando al canonicato in cattedrale che già deteneva (Chronicon parmense, cit., p. 43).
L’appoggio del vescovo di Parma Obizzo Sanvitale ai progetti signorili del marchese Azzo d’Este logorò i rapporti fra il presule e la città e fece deflagrare i contrasti fra i diversi gruppi di potere nella compagine guelfa (Dean, 1993, p. 324). Da un lato la pars episcopi facente capo ai Sanvitale, dall’altra un composito raggruppamento di famiglie capeggiato da Guido da Correggio e Ugolino Rossi (Salimbene de Adam, Cronica, cit., p. 773). Guglielmo ebbe certamente parte nella cacciata della pars episcopi avvenuta nel 1295.
Gli anni successivi furono segnati dal crescente potere dei Correggio: nel 1303 Giberto, figlio di Guido, riuscì a farsi proclamare signore e difensore della città. Questo rivolgimento politico mise fuori gioco i Rossi: nell’agosto del 1305, con il pretesto che alcuni della famiglia stessero radunando truppe e armati a Segalara, Guglielmo e Ugolino furono banditi, in quanto «subvertentes statum civitatis», assieme a una lunga coda di seguaci (Chronicon parmense, cit., p. 91).
I Rossi vanamente ricorsero, nel 1306, all’appoggio di Azzo d’Este (in rotta con Giberto). Alla fine del 1307 Guglielmo ottenne alcuni successi militari nel contado (p. 101): era il preludio alla rottura dell’equilibrio politico che sosteneva Giberto, che portò alla deposizione del signore, imprigionato proprio da Guglielmo (marzo 1308; pp. 104 s.). Il successo fu breve: già il 3 agosto le truppe di Giberto costrinsero i Rossi a rifugiarsi nel contado. Nemmeno l’avvento di Enrico VII condusse a uno stabile equilibrio: fatti rientrare in città, i Rossi furono nuovamente espulsi poche settimane dopo (Montecchi, 1983, p. 442).
La rottura dei rapporti fra Giberto ed Enrico VII nel 1312 fu determinante nel ribaltare le alleanze: ora gli estrinseci potevano godere dell’appoggio degli imperiali e dei ghibellini. Il 13 gennaio 1313 Guglielmo, assieme ad altri parenti «associati cum gibellinis et dominus Pellavicinus», rientrò a Borgo San Donnino ed espulse il vicario postovi da Giberto (Chronicon parmense, cit., p. 126).
La morte di Enrico VII e i successi di Giberto nel contado indussero però i Rossi a scendere a patti con il Correggio: con la mediazione di Ugo del Balzo, marescalco di Roberto d’Angiò, fu orchestrata una pace (11 agosto 1314) a seguito della quale i Rossi fecero ritorno a Parma. A suggello di questo equilibrio il 1° settembre Guglielmo diede in moglie a Giberto la figlia Maddalena (pp. 135 s.). Il potere di Giberto era però ormai vacillante. Il 25 luglio 1316 una congiura organizzata da Gianquirico Sanvitale, Obizzo da Enzola, Paolo Aldigheri e Bonaccorso de’ Ruggeri, e coordinata da Rolando, figlio di Guglielmo, portò all’espulsione del Correggio (p. 146).
Negli anni successivi il ruolo politico di Guglielmo si fece meno attivo. A guadagnare la scena furono piuttosto i figli Rolando, Pietro e Marsilio, oltre a Ugolino (che sarebbe stato nominato vescovo nel 1323). Ebbe anche alcuni eredi illegittimi (sono noti in particolare Palamino e Galvano), che parteciparono assieme ai fratelli alle lotte politiche del tempo (I. Piacentino, Bellum Venetum-Scaligerum, a cura di L. Simeoni, 1931, p. 48).
Guglielmo non sparì tuttavia dalla politica locale: la competenza maturata in quanto officiale itinerante dovette tornare utile più volte in seno ai consigli civici parmensi. Una testimonianza eloquente risale al settembre 1326, ai tempi della dedizione di Parma alla Chiesa. Nella seduta consiliare in cui si decretò il conferimento del dominio, Guglielmo suggerì di indicare nella delibera non «secundum formam statutorum communis Parme» ma «de facto pocius quam de iure», sottolineando l’eccezionalità della formula istituzionale attraverso cui il dominio era trasferito nelle mani del legato (Chronicon parmense, cit., p. 184).
Guglielmo rimase in ogni caso attivo anche nella gestione del patrimonio familiare: nel 1327 orchestrò una permuta di beni della mensa, che interessava le corti di Rigoso e Corniglio, oltre a diritti nelle pievi di Berceto e Bardone (G. Mollat, Jean XXII..., 1904-1947, n. 29147).
Su Guglielmo le fonti tacciono fino alla primavera del 1336: solo pochi mesi prima i Rossi avevano ceduto il dominio di Parma a Mastino II e Alberto II Della Scala. L’ostilità dell’ambiente di corte indusse i figli di Guglielmo a riparare a Venezia, dove ottennero il comando dell’esercito della Lega antiscaligera. Da Parma, con le mogli di Rolando e Marsilio, egli raggiunse prima la laguna e poi Padova, dove sopravvisse ai figli Pietro e Marsilio (Chronicon parmense, cit., p. 254).
Testò nel febbraio del 1340 e fu sepolto assieme ai figli defunti nella chiesa di S. Antonio, a Padova (Pelicelli, 1936, p. 34; Gonzati, 1852, pp. 37 ss.).
Fonti e Bibl.: Chronicon parmense ab anno MXXXVIII usque ad annum MCCCXXXVIII, a cura di G. Bonazzi, in RIS2, IX, Città di Castello 1902-1904, ad ind.; G. Mollat, Jean XXII (1316-1344). Lettres communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du Vatican, Paris 1904-1947, n. 29147; I. Piacentino, Bellum Venetum-Scaligerum, a cura di L. Simeoni, Venezia 1931, pp. 1-200 (in partic. p. 48); Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, pp. 748, 773.
I. Affò, Storia della città di Parma, IV, Parma 1795, pp. 43, 70, 83; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, Milano 1837, s.v. Rossi; B. Gonzati, La basilica di Sant’Antonio a Padova, Padova 1852, pp. 37 ss.; N. Pelicelli, I vescovi della chiesa parmense, I, Parma 1936, p. 34; G. Montecchi, Correggio, Giberto da, in Dizionario biografico degli Italiani, XXIX, Roma 1983, pp. 439-444 (in partic. p. 442); T. Dean, Este, Azzo d’, ibid., XLIII, Roma 1993, pp. 324-326 (in partic. p. 324); C. Cutini - S. Balzani, Podestà e capitani del Popolo a Perugia e da Perugia (1199-1350), in I podestà dell’Italia comunale, I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000, pp. 693-739 (in partic. p. 709); J.-C. Maire Vigueur, I profili, ibid., p. 1036; F. Ragone, Il reclutamento e la provenienza degli ufficiali forestieri a Lucca, ibid., pp. 675-680 (in partic. p. 678); A. Zorzi, La trasformazione di un quadro politico. Ricerche su politica e giustizia a Firenze dal comune allo Stato territoriale, Firenze 2008, p. 42.