RANGONI, Guglielmo
– Figlio di Gherardo Rangoni – non è noto il nome e la famiglia della madre, nonché il luogo di nascita –, vide la luce probabilmente attorno alla metà del XII secolo ed è testimoniato per la prima volta nel 1181 nel testamento del padre insieme al fratello Giacomo.
Verosimilmente (come ha anche sostenuto Bonacini, nonostante il parere contrario di Giovanni Santini) i Rangoni erano vassalli dell’episcopio di Modena, ma erano nel contempo in grado di creare dei propri vassalli con concessioni feudali.
Lo si deduce dall’atto dell’agosto 1188 nel quale Guglielmo quondam Girardi Rangoni filius rinunciò in favore della Chiesa di Modena alcuni beni feudali (si trattava di terre ubicate nel suburbio della città, nella zona di Vacilio) un tempo ottenuti da suo padre. In questa carta finis Guglielmo nominava un procurator, per seguire le vicende di due famiglie vassalle dei Rangoni, al fine di scioglierle dal giuramento di fedeltà, qualora il presule lo avesse richiesto o avessero perso una causa giudiziaria. Infine il Rangoni decise di vendere la terra feudale a un rappresentante del vescovo, ottenendone del denaro come pagamento della cessione. L’operazione di vendita sarebbe stata annullata solo se i vassalli avessero prestato giuramento di fedeltà ai Rangoni. Si può dunque sostenere che essi fossero omologabili al ceto capitaneale.
Guglielmo dovette sposarsi durante gli anni Ottanta del XII secolo con una donna di Modena di nome Guiglia, come appare da un documento del 1215 (cfr. infra). Il lungo servizio politico prestato da suo padre Gherardo e la posizione sociale del casato gli favorirono l’acquisizione della carica di podestà di Modena, ottenuta, secondo il Tassoni, per gli anni 1195 e 1196, ma la prova documentaria esiste solo per quest’ultimo anno, durante il quale il 2 dicembre Rangoni concesse alla fabbrica di San Geminiano una posta molendini situata accanto al mulino detto di mezo, in cambio di un altro mulino presso il ponte lapideo, fuori dalla porta Vecchia detta di Baioaria (Archivio capitolare di Modena, codice O, c. 294) .
Negli anni successivi Rangoni, in quanto condòmino del castello di Marzaglia (sulla via Emilia, presso la Secchia), fu coinvolto in un lungo processo intentato dalla Chiesa di Parma contro di lui e due altri cittadini modenesi, per recuperare il possesso della signoria e dei beni patrimoniali (in precedenza a loro venduti per 1000 lire bolognesi). Innocenzo III affidò la questione al decretista Lanfranco da Novara, poi al vescovo di Cremona Sicardo e infine a Gherardo arciprete di Carpi; il 14 gennaio 1209, insieme col preposito della cattedrale di Modena, quest’ultimo sentenziò a favore della Chiesa di Parma, cui era attribuito il possesso di ciò che i Rangoni e Guidotto di Adelardo avevano in Marzaglia, salvo l’honor della città di Modena, in rapporto al possesso della fortezza. Ma i Rangoni continuarono a mantenere con la forza i loro beni nel castello e nella corte. Lo prova il fatto che nel 1215 Guiglia (moglie di Rangoni) e Iacopino suo figlio, destinato a sposare Bartolomea di Salinguerra Torelli, ipotecarono a vantaggio del Torelli (rappresentato da Bernardino domini Pii) i beni di Marzaglia per un importo pari alla dote pattuita (1000 lire bolognesi).
Nel 1201 Rangoni fu eletto podestà di Bologna e in aprile guidò l’esercito in aiuto dei milites di Faenza che combattevano contro le forze di Forlì e dei loro alleati di Forlimpopoli e di Cervia. Durante la battaglia Guglielmo non volle intervenire con le sue truppe per trarre d’impaccio gli alleati, affermando che il luogo della mischia era troppo stretto per manovrare con la cavalleria; i Faentini furono così costretti a ritirarsi entro le mura. Successivamente (settembre 1201) Rangoni organizzò la spedizione verso Castel Leone con l’impiego del carroccio bolognese per espugnare la fortezza; dopo la resa i Faentini, senza informare Rangoni, iniziarono a distruggere le fortificazioni dell’abitato. Ne nacque un acceso dibattito tra i due podestà e Guglielmo impose ai Faentini la sua volontà di pronunciare un lodo che garantisse la pace tra Faenza e Forlì.
L’anno successivo (1202) a Marzaglia Rangoni giurò con altri Modenesi di rispettare un lodo suggerito dal marchese Azzo VI d’Este e da Salinguerra Torelli per consentire ai podestà di Parma e di Cremona di risolvere una questione di confini tra i Comuni di Modena e di Reggio. In quegli anni la posizione politica di Guglielmo in Modena era in effetti rilevante: il 7 febbraio 1204 affiancò e appoggiò il podestà della città, Amerigo Dodone, intenzionato a recarsi a Bologna per affidare a Uberto Visconti, podestà bolognese, una traccia di possibile pacificazione. Il lodo fu in effetti pronunziato dal Visconti il 19 maggio 1204, nel palazzo del Comune di Bologna alla presenza anche di Rangoni (qualificato come dominus) e di altri cives di Modena. Il 20 aprile 1205, fu poi presente nel palazzo comunale di Modena alla sottomissione di due capitanei del Frignano (Opezino e Gerardino Gualandelli) al podestà cittadino (in quel momento, Salinguerra Torelli). Secondo le Cronache Modenesi Guglielmo Rangoni fu poi di nuovo podestà nel 1208, e oltre a imporre ai concittadini di portare aiuto al Comune di Mantova per la questione di Suzzara dovette fronteggiare l’alleanza di Bologna, Imola e Faenza col Comune di Reggio Emilia, intenzionato a sottrarre a Modena il controllo di alcuni centri abitati lungo i confini. Rangoni accolse inoltre in quei mesi in Modena Salinguerra Torelli fuoruscito da Ferrara (donde Azzo VI lo aveva bandito).
In questi mesi Rangoni si spostò su posizioni favorevoli agli Estensi nella grande e confusa partita in atto per l’egemonia politica nella regione emiliana e padana. Infatti nel successivo 1209, Guglielmo raggiunse Verona, come podestà per il partito dei Conti (filoestense) e durante il suo mandato dovette ospitare il re dei Romani, Ottone IV, che si recava a Roma per l’incoronazione. In tale occasione, i suoi tentativi di pacificazione tra le fazioni veronesi (che comportarono la liberazione di alcuni Monticoli, la fazione veronese ostile alla pars Comitum, dalla prigionia in Este) non ebbero grande successo. Non sappiamo se accompagnò il re dei Romani a Roma con Azzo VI; è nota però la sua presenza a Ficarolo nel febbraio 1212 nella canonica della chiesa di San Salvatore insieme all’arcivescovo di Ravenna, Ubaldo, e al marchese Azzo VI d’Este, che avevano stabilito un accordo per la concessione in guardia del castello di Argenta da parte del presule al marchese.
Azzo VI, impegnandosi anche a nome del figlio Aldobrandino (presente e giurante) acquisiva il ripatico, metà dei proventi dei beni fondiari, e metà di quelli derivanti dall’amministrazione della giustizia; prometteva di restituire all’arcivescovo il castello entro un mese, se quest’ultimo lo avesse richiesto, con varie clausole, consentendo comunque al visconte arcivescovile e alla sua masnada di abitare nella fortificazione. Azzo prometteva anche di non fare alcun accordo di pace con lo scomunicato Salinguerra e con il suo partito se non lo avesse anche esteso in pace et concordia con la Chiesa di Ravenna e con il presule (Muratori, 1739, II, col. 453).
Qualche mese più tardi due fatti mutarono completamente il corso degli eventi: nel novembre 1212 si spense il marchese d’Este e l’eredità passò al figlio Aldobrandino (che nel corso del 1213 avrebbe poi cercato con Salinguerra una conciliazione, mediata dal podestà di Modena Bernardo Rossi, e destinata a durare sino al 1222-24 quando Aldobrandino fu espulso dalla città di Ferrara). Probabilmente Rangoni seguì Aldobrandino nella Marca nel 1213, quando il giovane marchese cavalcò per impadronirsi di quei territori volens dominium et marchexatum habere (Muratori, 1717, I, p. 418), del quale suo padre era stato investito dalla Chiesa Romana. Queste operazioni militari contrapposero l’Este e i suoi seguaci ai conti di Celano, viri potentes, fedeli ad Ottone IV, che tuttavia furono sconfitti. Non è quindi un caso se nel 1214 Rangoni ricoprì la podesteria di Fermo, città che accettò il dominio del marchese.
L’anno successivo (1215) Rangoni ebbe per la seconda volta l’opportunità di esercitare la carica di podestà di Bologna e il 17 aprile presenziò nella pieve di Casi alla pace tra Pistoia e Bologna, mediata dai consoli dei Mercanti dei Pistoiesi e dai priori bolognesi della canonica del Reno e di Santa Margherita.
Tra i patti spiccavano la proibizione per i Bologna di ricevere i possibili traditori di Pistoia e viceversa, nonché i divieti di costruire castelli lungo i centri di confine tra i due territori e le imposizioni di togliere dagli elenchi dei banditi tutte le persone che avevano agito contro le due città in guerra tra loro. Pochi giorni dopo (28 aprile 1215) due procuratori di Rangoni si impegnavano, a restituire ai consoli di Pistoia numerosi centri abitati, tra cui Fossato e Sambuca, sui quali tuttavia il vescovo di Bologna continuava a esercitare il controllo spirituale.
Dopo questa data non sono più reperibili notizie di Guglielmo, il cui figlio Jacopino stava per sposare, nel 1215, una figlia di Salinguerra Torelli.
Fonti e Bibl.: M. Salvi, Delle Historie di Pistoia e fazioni d’Italia, I, Roma 1654, pp. 132 s.; L.A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, Modena 1717, I, p. 418; Ricciardi comitis Sancti Bonifacii vita, in RIS, VIII, Mediolani 1726, col. 123; Annales Veteres Mutinensium, in ibid., XI, Mediolani 1727, col. 56; L.A. Muratori, Antiquitates Italicae Medii Aevi, II, Mediolani 1739, col. 453; III (1740), coll. 227 s.; IV (1741), coll. 211-214; Annali Bolognesi, a cura di L. Salvioli, II/1, Bassano 1789, pp. 241, 245, 360; G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi col Codice diplomatico illustrato, II, Modena 1794, p. 12; IV, pp. 34 s., 39, 53; Id., Dizionario topografico storico degli stati estensi opera postuma del cavalier abate Girolamo Tiraboschi, II (M-Z), Modena 1825, pp. 29-31; Cronache Modenesi di Alessandro Tassoni, di Giovanni da Bazzano e di Bonifazio Morano, edd. L. Vischi - T. Sandonnini - O. Raselli, Modena 1888, p. 26; Antiche Cronache Veronesi, a cura di C. Cipolla, I, Venezia 1890, p. 388; Matthaei de Griffonibus, Memoriale Historicum de rebus bononiensium, a cura di L. Frati - A Sorbelli, in RIS, XVIII/2, Città di Castello 1902, p. 37; Rolandini Patavini Cronica in factis et circa facta Marchie Trivixane, aa. 1200 cc.-1262, a cura di A. Bonardi, in ibid., VIII, Città di Castello 1905-1908, p. 26.
V. Curi, Guida storica e artistica della città di Fermo, Fermo 1864, p. 102; E.P. Vicini, I podestà di Modena (11c56-1796), Roma 1913, pp. 41, 51; G. Santini, Università e società nel XII secolo: Pillio da Medicina e lo Studio di Modena: tradizione e innovazione nella scuola dei glossatori: Chartularium Studii Mutinensis (Regesta)-(Specimen 1069-1200), Modena 1979, p. 68; R. Rölker, Nobiltà e comune a Modena. Potere e amministrazione nei secoli XII e XIII, trad. it., Modena 1997, pp. 117 s., 198, 209, 212, 221; P. Bonacini, Capitanei e ceto dominante a Modena nei secoli XI-XII, in La vassallità maggiore del Regno Italico. I Capitanei nei secoli XI e XII, Atti del Convegno, Verona, 4-6 novembre 1999, a cura di A. Castagnetti, Roma 2001, pp. 263-284; Id., Dinamiche istituzionali e circolazione dei podestà a Modena nel secolo XIII, in Atti e Memorie dell'Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena, s. 8, IV (2000-2001), pp. 411-484; G.M. Varanini, Salinguerra Torelli, in Enciclopedia Federiciana, II, Roma 2005, pp. 604-606.