QUERINI, Guglielmo
QUERINI, Guglielmo. – Nacque a Venezia nell’anno 1400 da Andrea di Guglielmo, del ramo a Santa Maria Formosa, e da una Maria di cui si ignora il casato.
Rimase orfano presto: il 24 novembre 1417 Querini fu presentato alla Balla d’oro dallo zio Stefano e da Francesco Loredan di Giorgio, essendo suo padre ormai scomparso. Le prime notizie che abbiamo di lui sono del 1428, grazie a un registro-copialettere che giunge sino al dicembre del 1461 e che per la sua importanza fu oggetto di studio da parte degli storici dell’economia (Gino Luzzatto, Ugo Tucci), sicché sappiamo di lui molto più come mercante che come uomo politico.
Nel 1428, in seguito alla morte di un parente, Querini entrò in possesso di vaste proprietà a Papozze, nel Polesine, che la famiglia avrebbe conservato per secoli, ma che allora rendevano assai poco, così come l’isoletta di Gozi presso Creta e alcune case a Venezia. Si trattava dunque di un patrimonio modesto, che non avrebbe consentito a Querini di affermarsi economicamente, nonostante il suo attivismo e la rete di affari con cui era in contatto. Sono documentati, infatti, regolari rapporti con il fratello Bartolomeo, il quale nel 1431 si trovava a Trebisonda e che qualche anno dopo sarebbe morto a Costantinopoli, come pure con il mercante Andrea Barbarigo nel 1436-37 e con il cugino Carlo Morosini, che nel 1438 era a Siviglia. Rimase tuttavia – come si è detto – un patrizio di medie fortune: nella notifica dei redditi inoltrata agli ufficiali alla revisione dell’Estimo il 16 febbraio 1439, Querini dichiarava entrate per 6396 ducati dai quali, detratti debiti per 1140 ducati, restava un patrimonio valutato 4900 ducati d’oro (Luzzatto, 1954, p. 170).
Iniziò a occuparsi di politica quando aveva ormai quarant’anni. L’11 febbraio 1440 risulta essere avogador di Comun e sei mesi dopo, il 7 agosto, veniva eletto tra gli auditori vecchi; inoltre, dal 1443 al 1454 fece parte ininterrottamente del Senato. Con questa presenza a palazzo ducale Querini intendeva forse compensare le magre soddisfazioni provenienti dalla mercatura: il 7 aprile 1441 confessava infatti a un corrispondente di trovarsi «in tanta necessità di moneta da far pietà» (Barile - Clarke - Nordio, 2006, p. 88). E tuttavia questo non gli impedì di continuare a dedicarsi al commercio: il 10 novembre 1444 inviava derrate di grano a Costantinopoli, nel luglio del 1445 sconsigliava di acquistare seta a Trebisonda, nel 1447 commerciava rabarbaro con la Tana. Successivamente il rapporto con la mercatura tese a indebolirsi, ma ancora nel 1458 (mese imprecisato) ordinava al capitano di una sua nave, diretta in Barberia, di acquistare e vendere merci, anche schiavi, nei porti di Siracusa, Gerba e Sfax.
La mancanza di una propria famiglia (Querini non si sposò e non ebbe figli) gli consentì di coltivare una pluralità di interessi, tra cui la raccolta di codici: alla fine del 1443 scriveva a Febo Capella, segretario di Francesco Barbaro in procinto di recarsi ambasciatore a Milano, di acquistargli le epistole di san Girolamo, le Filippiche e alcune opere di Lattanzio e Livio. Le istruzioni che accompagnano la lettera indicano in Querini un committente preciso e competente: il materiale non sia pergamena, la scrittura deve essere curata, il testo corretto e puntuale.
Con il trascorrere del tempo Querini, che non lasciò la sua città se non per recarsi nelle proprietà polesane, si dedicò sempre più alla politica; fu probabilmente lui a sollecitare l’elezione a podestà di Ravenna (14 novembre 1445), dove aveva alcuni beni, ma poi rifiutò la nomina e due anni dopo vendette quegli immobili. Era un ulteriore indice dell’andamento non troppo felice della sua situazione economica: una nuova dichiarazione alla revisione dell’Estimo, del 28 febbraio 1449, indica entrate per 2065 ducati e una passività di 4899 ducati, con un netto peggioramento rispetto a quanto notificato dieci anni prima, anche a causa dell’impossibilità di riscuotere importanti crediti: fra i debitori insolventi troviamo Francesco Filelfo, cui Querini spedì molte lettere nel 1443-44.
Savio di Terraferma nel secondo semestre del 1448 e nel 1449, poi ancora fra marzo e settembre del 1450 e per tutto il 1451, il 25 novembre 1450 Querini fu designato podestà a Vicenza, ma rifiutò; il 22 agosto 1451 venne eletto consigliere ducale per il sestiere di Castello. Fu poi nominato savio all’Estimo (23 gennaio 1452), savio di Terraferma per il secondo semestre del 1453 e per il primo del 1455; quindi savio per la regolazione delle Spese nei mesi di agosto-settembre del 1454, consigliere ducale da febbraio a settembre 1455; ancora, nel giugno del 1456 fece parte della ‘zonta’ del Consiglio dei dieci che processò per l’ultima volta il figlio del doge, Jacopo Foscari. Divenne nuovamente savio di Terraferma nel primo semestre del 1458, poi, il 31 dicembre 1459, fu eletto in una commissione di venti savi per giudicare la condotta di Ludovico Foscarini e Orsatto Giustinian, discussi ambasciatori della Repubblica alla Dieta di Mantova. L’attività politica di Querini proseguì intensa: nel 1462 divenne ancora una volta consigliere per il sestiere di Castello, quindi il 12 maggio fu tra i 41 elettori del doge Cristoforo Moro, nel 1463 fu savio del Consiglio nel primo semestre, quindi il 3 luglio 1464 venne cooptato nella giunta del Collegio dei savi e nel 1465 ricoprì l’ultima carica: avogador di Comun, la stessa con cui aveva iniziato la carriera venticinque anni prima.
Morì il 22 maggio 1468 e fu sepolto alla Certosa, la chiesa di Sant’Andrea del Lido da poco fatta ricostruire da Pietro Lombardo. Aveva fatto testamento sin dal 26 aprile 1457, disponendo molti lasciti, in particolare a beneficio del nipote Giovanni, figlio naturale del fratello Bartolomeo, che giovanissimo aveva intrapreso la mercatura; il resto lo lasciò ai poveri, nominando esecutori testamentari i procuratori di San Marco de Citra.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M.Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VI, p. 305; Venezia, Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3783: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, c. 105v; Archivio di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d’oro, reg. 162, c. 129r; Notarile Testamenti, b. 726/99; Procuratori di S. Marco de Citra. Commissarie, b. 271, fasc. 3 (si tratta del registro-copialettere); Segretario alle voci. Misti, reg. 4, cc. 52v, 61v, 69v, 93r, 94v, 102r, 105v, 145rv, 146r, 147rv, 148r, 153r, 159r-160r, 161r-162r,170r; Maggior Consiglio. Deliberazioni, reg. 23, c. 39v; Senato Terra, reg. 2, c. 128r; reg. 5, c. 16v, 64r e passim; F. Barbaro, Epistolario. II. La raccolta ‘canonica’ delle “Epistole”, a cura di C. Griggio, Firenze 1999, pp. 749 s.; M. Sanudo, Le vite dei dogi (1423-1474), I, 1432-1457, a cura di A. Caracciolo Aricò, Venezia 1999, pp. 289, 466, 478, 499, 524; II, 1457-1474, a cura di Ead., Venezia 2004, pp. 34, 69.
G. Dalla Santa, Di un patrizio mercante veneziano e di Francesco Filelfo suo debitore, in Nuovo archivio veneto, n.s., XI (1906), 2, pp. 63-90; F.C. Lane, Andrea Barbarigo merchant of Venice. 1418-1449, Baltimore 1944, pp. 125, 150; G. Luzzatto, L’attività commerciale di un patrizio veneziano del Quattrocento, in Id., Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, pp. 167-193; U. Tucci, Mercanti, navi, monete nel Cinquecento veneziano, Bologna 1981, pp. 25, 36; G.B. Picotti, La Dieta di Mantova e la politica de’ veneziani, a cura di G.M. Varanini, Trento 1996, pp. 302, 323, 496-498, 507-509; M. Zorzi, Dal manoscritto al libro, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di A. Tenenti - U. Tucci, Roma 1996, pp. 847 s., 852, 859; B. Doumerc, Venise et l’émirat hafside de Tunis (1231-1535), Paris-Montréal 1999, pp. 81, 143, 171; E. Barile - P.C. Clarke - G. Nordio, Cittadini veneziani del Quattrocento: i due Giovanni Marcanova, il mercante e l’umanista, Venezia 2006, pp. 56, 78, 83, 88, 116, 310, 346, 349.