PECORI GIRALDI, Guglielmo
Nacque a Borgo S. Lorenzo (Firenze) il 18 maggio 1856 dal conte Francesco e dalla nobildonna Maria Genta.
La famiglia Pecori Giraldi era una delle più antiche e insigni del patriziato fiorentino, la cui storia acquistò fama documentata fin dal XIII secolo, allorquando fu ascritta a quelle corporazioni artigiane che formavano il titolo necessario per partecipare al governo della città. Quasi tutti i suoi membri vestirono l’abito dell’ordine equestre di Santo Stefano.
Compiuti gli studi classici, nel novembre 1873 Guglielmo entrò alla Scuola militare di fanteria e cavalleria di Modena e l’anno successivo all’Accademia militare di artiglieria e genio di Torino, dalla quale uscì nel 1877 con il grado di sottotenente di artiglieria. Fu promosso al grado di tenente e nel 1884, mentre frequentava la Scuola di guerra, divenne capitano. Le qualità dimostrate lo avviarono alla carriera nel corpo di stato maggiore, dove nel dicembre 1887, su sua esplicita richiesta, fu destinato al corpo di spedizione inviato a ribadire la presenza italiana in Eritrea dopo l’eccidio di Dogali.
Risalgono a quel periodo i due diari manoscritti, ora conservati al Museo del Risorgimento di Vicenza, che raccolgono particolari inediti sulla situazione politica e sociale della colonia, sulle operazioni militari e sull’ordinamento del corpo di spedizione.
Ritornato in Italia nel marzo 1889 fu assegnato al comando del corpo d’armata di Napoli; due anni dopo, nel dicembre 1891, venne promosso a maggiore e destinato al 78° reggimento fanteria. Tornato nel corpo di stato maggiore fu, nel 1895, inviato in missione di studio in Alsazia, Lorena, Carinzia e Salisburghese.
Venne però richiamato in Eritrea, su esplicita richiesta del generale Oreste Baratieri, dopo il combattimento dell’Amba Alagi, e solo alcune settimane prima della débacle di Adua. Rimase in Africa fino al 1898 con il delicato compito della ricostruzione degli organici e della riorganizzazione della colonia dopo la sconfitta militare. Pecori Giraldi fu inviato a reggere la più importante e difficile zona della colonia, il Seraé Hamasen e rimase nel capoluogo, Adi Ugri, fino a quando vennero aboliti i comandi di zona in seguito all’istituzione del governatorato civile. Subentrò in quella carica a
Ferdinando Martini, trovandosi per alcuni mesi reggente della colonia e comandante del corpo di spedizione.
Nel 1903, con il grado di colonnello di stato maggiore, Pecori Giraldi ritornò per la terza volta in Africa come comandante delle truppe coloniali dell’Eritrea, in una fase storica in cui il disimpegno dell’Italia nel corno d’Africa diventava sempre più importante e la difficile gestione della smobilitazione richiedeva grandi competenze militari e doti diplomatiche.
Rimpatriato nel 1907 con il grado di maggior generale, Pecori Giraldi comandò le brigate «Pisa» e «Cuneo» fino ad assumere, allo scoppio della guerra italo-turca, il comando della 1ª divisione militare di Messina destinata alla conquista della Libia.
Il contingente italiano forte di 34.000 uomini era inquadrato in due divisioni, la prima delle quali guidata dal generale Pecori Giraldi. Impreparazione militare in territori avversi e poco conosciuti, errori tattici e logistici, difetti nella trasmissione degli ordini, furono i motivi che portarono a una serie di rovesci che provocarono nella compagine di governo e nell’opinione pubblica italiana profondo malcontento. Ritenuto ingiustamente l’unico responsabile dell’infausto episodio di Sciara Sciat nel settore di Tripoli, Pecori Giraldi alla fine del 1911, su decisione del ministro della Guerra Paolo Spingardi, fu richiamato in Italia e costretto a lasciare il servizio attivo.
Nel marzo 1912, il ricorso al Consiglio di Stato riconobbe l’infondatezza del provvedimento del ministero e venne concessa a Pecori Giraldi l’iscrizione nella riserva. Nel marzo 1915, alla vigilia dell’entrata dell’Italia in guerra, fu richiamato in servizio dal generale Luigi Cadorna che continuava a considerarlo fra gli ufficiali più esperti e capaci.
Collocato al comando della 27ª divisione, composta dalle brigate «Benevento» e «Campania», fu impegnato nella seconda battaglia dell’Isonzo (18 luglio - 3 agosto 1915), durante la quale le sue truppe si distinsero per la resistenza sulle quote del monte Sei Busi. Nell’autunno successivo, nel corso della terza (18 ottobre - 4 novembre) e quarta (10 novembre - 2 dicembre) battaglia dell’Isonzo, fu al comando del VII corpo d’armata impegnato sulle trincee delle alture di Monfalcone, del Sei Busi, del Cosich e del Debeli.
L’8 maggio 1916 a seguito della destituzione del generale Roberto Brusati, Pecori Giraldi assunse il comando della 1ª armata, impegnata in un fronte amplissimo che andava dai ghiacciai dello Stelvio agli altipiani vicentini. In quei giorni si stava profilando imminente la minaccia dell’offensiva austriaca dal Trentino. All’alto comando Pecori Giraldi era arrivato con una solida preparazione tecnica e una lunga esperienza di guerra; lo spirito permeato di una vasta cultura, oltre che militare, classica e umanistica, lo aveva aiutato ad affrontare le responsabilità di comandante in quella che è stata definita la più grande battaglia mai combattuta in montagna. L’offensiva del maggio-giugno 1916, conosciuta come ‘strafexpedition’ fu la prova più dura e impegnativa di tutta la sua carriera militare, alla quale tenne testa e rispose ordinando un complesso variegato di azioni che riportarono le truppe italiane oltre le posizioni momentaneamente perdute.
Successivamente, due anni di accorta azione di comando mutarono le sorti della 1ª armata, che, dopo l’impegno nella battaglia dei Tre Monti sull’Altipiano di Asiago con l’avanzata su Rovereto e Trento dell’ottobre-novembre 1918, determinò il crollo definitivo delle difese austriache.
Il 3 novembre 1918, Pecori Giraldi divenne il primo governatore militare e civile della città di Trento e solo alcuni giorni dopo con l’avanzata delle truppe italiane fino al Brennero il governatorato comprese, oltre al Trentino, anche l’Ampezzano e l’Alto Adige. Come riconoscimento della sua opera, Pecori Giraldi nel 1919 assieme ad alti ufficiali come Pietro Badoglio, Enrico Caviglia e Gaetano Giardino, venne promosso generale d’esercito, il più alto grado della gerarchia militare italiana. Il 22 febbraio dello stesso anno era stato nominato senatore del Regno e da quel momento partecipò ai lavori del Consiglio dell’Esercito per assistere il governo nelle decisioni di politica militare. Nel 1926 gli fu conferito il titolo di maresciallo d’Italia e nel 1930 fu insignito del gran collare dell’ordine supremo dell'Annunziata, massima onorificenza di casa Savoia.
Dopo la conclusione del conflitto, si impegnò nell'assistenza delle famiglie più bisognose dei combattenti della 1ª armata e soprattutto dei figli orfani dei caduti. Costituì e presiedette la Fondazione 3 novembre 1918 che sovrintese ai lavori di costruzione del sacello ossario del Pasubio, dove furono raccolte le spoglie di 5.146 soldati italiani e 40 austriaci.
Morì a Firenze il 15 febbraio 1941.
Pecori Giraldi non ebbe figli; nel 1900 aveva sposato la contessa Camilla Sebregondi e si era in seguito unito in seconde nozze alla contessa Lavinia Ester Maria Morosini. Per sua esplicita volontà testamentaria, nel 1953, la sua salma fu tumulata tra quelle dei soldati all’ossario del Pasubio.
Fonti e Bibl.: La Raccolta Guglielmo Pecori Giraldi – comprendente lettere, manoscritti, cimeli, uniformi, decorazioni, fotografie e carte geografiche della guerra di Libia e della prima guerra mondiale – è conservata presso il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza a seguito di una donazione effettuata dal nipote Luigi nel 1988. Su questa documentazione si vedano: G. P. G. Maresciallo d’Italia. L’archivio, a cura di M. Passarin, Vicenza 1990; M. Passarin, Le carte di famiglia dell’archivio di Luigi Pecori Giraldi, Vicenza 1996. Inoltre: Ministero della Guerra, Comando del corpo di stato maggiore, Ufficio storico, Campagna di Libia, I-V, Roma 1922-27, ad indicem; A. Tosti, Il maresciallo d’Italia G. P. G. e la 1ª armata, Torino 1940; G. Rochat - G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Torino 1978, ad indicem; U. Corsini, G. P. G. governatore militare del Trentino, Ampezzano e Alto Adige, in Memorie storiche militari 1979, Roma 1980, pp. 229-263; Id., G. P. G.: generale e politico, in La prima guerra mondiale e il Trentino, a cura di S. Benvenuti, Rovereto 1980, pp. 599-619; M. Scardigli, Il braccio indigeno. Ascari, irregolari e bande nella campagna dell’Eritrea 1885-1911, Milano 1996, ad indicem; A. Del Boca, Gli italiani in Libia, in Tripoli bel suol d’amore 1860-1922, I, Milano 1998, ad indicem; P. Tocci, I marescialli d’Italia e i marescialli dell’Impero, in Studi storico militari 1995, Roma 1996, pp. 315-342; N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna 2002, ad indicem; M. Zaccaria, Le note del commissario. Teobaldo Folchi e i cenni storico-amministrativi sul commissariato di Massaua (1898), Milano 2009, ad indicem; L. Malatesta, Il maresciallo d’Italia G. P. G., in Storia militare, XIX (2011), 208, p. 56; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce (http://notes9.senato.it/web/senregno.NSF/P_l2?OpenPage).