Guglielmo Ferrero
Studioso di notorietà internazionale, Guglielmo Ferrero si impose dapprima come giornalista politico e successivamente come storico, dopo la pubblicazione di Grandezza e decadenza di Roma (5 voll., 1902-1906), che ebbe un grande successo, ma suscitò anche ampie polemiche tra gli specialisti. Primo e per molto tempo unico sociologo italiano ad approfondire il concetto di legittimità del potere, Ferrero considerava questa categoria – presente nel suo pensiero dalle prime opere fino alle ultime analisi, insieme alla riflessione sulla guerra – la chiave di volta per comprendere la società contemporanea (Pacelli 1989).
Guglielmo Ferrero nasce a Portici (Napoli) il 21 luglio 1871, da stimata famiglia piemontese. Nel 1888, terminato il liceo, si iscrive ai corsi di diritto dell’Università di Pisa. Nel 1889, in occasione di un viaggio a Torino, conosce Cesare Lombroso il quale, folgorato dal suo eloquio, lo sceglie come allievo, invitandolo anche a collaborare con lui al libro che verrà pubblicato quattro anni dopo, nel 1893, con il titolo La donna delinquente, la prostituta e la donna normale. All’epoca in cui conosce Lombroso, Ferrero ha soltanto diciotto anni, ma questo incontro imprimerà una svolta decisiva alla sua esistenza e alla sua vita di studioso.
Nel 1891 consegue la laurea in giurisprudenza con la tesi Il simbolismo nel diritto, che costituirà la base di un lavoro molto più articolato, I simboli in rapporto alla storia e filosofia del diritto, alla psicologia e alla sociologia, edito nel 1893. Ferrero aveva composto questo lavoro in gran parte a Bologna a partire dal 1890, dopo aver vinto una borsa di studio presso la facoltà di Lettere e storia, pur continuando i suoi studi di giurisprudenza all’Università di Torino, dove nel frattempo si erano stabiliti anche i genitori.
È a Bologna che Ferrero ottiene i primi successi di pubblico, a partire dal discorso del 1890 pronunciato in occasione della morte di Aurelio Saffi, e da quello del 1891 in cui affronta lo spinoso tema della riforma universitaria. Nel 1893 consegue la laurea in lettere e storia all’Università di Bologna; nella tesi, La decadenza delle colonie greche, la spiegazione evoluzionistica viene applicata allo studio della civiltà occidentale (Galli 1983).
Poco dopo decide di scrivere una storia della giustizia. Si tratta di un’impresa che non porterà mai a compimento, ma per la quale compie, nel 1894-95, un lungo viaggio di studio in Germania, Russia e Svezia. Tornato in Italia, scrive L’Europa giovane: studi e viaggi nei Paesi del Nord (1897), un reportage politico e sociale frutto di questo viaggio, che avrà un grande successo di pubblico.
Ferrero inizia la sua brillante carriera di giornalista nel 1891, quando comincia a scrivere per il quotidiano «Corriere della sera» (dove cura una rubrica tutta sua, Lettere da Londra) e per la rivista socialista «Critica sociale», fondata in quello stesso anno da Filippo Turati. Nel 1893 inizia una saltuaria collaborazione al quotidiano «Il secolo» (allora organo del Partito radicale), che dal 1897 diventa fissa e che dura, con qualche interruzione, fino al 1923. La sua carriera giornalistica termina in Italia quando, tra il 1923 e il 1926, scrive qualche articolo per il quotidiano «Il mondo», fondato l’anno precedente da Giovanni Amendola (Cedroni 1993). Tuttavia tale carriera non è solamente italiana, perché nel corso della sua vita Ferrero collabora, talvolta per lunghi periodi, anche con diversi giornali stranieri: dal 1892 al 1902 il francese «Revue des revues» (dal 1899 «La revue»), dal 1899 al 1941 l’argentino «La nación», dal 1914 al 1938 lo statunitense «New York American», dal 1922 al 1934 il francese «L’illustration», dal 1922 al 1940 il francese «La dépêche de Toulouse», dal 1923 al 1928 il britannico «The illustrated London news», dal 1926 al 1933 lo spagnolo «El sol».
Nel 1901 sposa con rito civile Gina Lombroso, figlia del suo maestro Cesare, e Gaetano Mosca è testimone di nozze; nel 1903 nasce il primogenito, Leo.
Tra il 1902 e il 1906 Ferrero pubblica Grandezza e decadenza di Roma, un’opera in cinque volumi che gli conferisce grande notorietà a livello internazionale.
Nel novembre-dicembre del 1906 tiene un corso di lezioni al Collège de France, a Parigi. Successivamente si reca a due riprese nelle Americhe: dapprima, nel 1907, in Argentina (dove tiene delle conferenze), Uruguay e Brasile, e poi, nel 1908-1909, negli Stati Uniti, dov’è ospite del presidente Theodore Roosevelt alla Casa Bianca; a New York gli viene conferita dalla Columbia University la laurea honoris causa (nel 1919 ne riceverà un’altra dall’Università di Strasburgo). Questi viaggi sono per lui decisivi, come risulta dall’opera Fra i due mondi (1913), in cui elabora la teoria delle due civiltà e la filosofia del limite, segnalando i rischi politici ed etici della situazione europea che si avvia alla guerra.
Quando scoppia la Prima guerra mondiale, Ferrero è dapprima interventista, in linea con le direttive de «Il secolo», ma alla fine del conflitto si colloca su posizioni simili a quelle del presidente statunitense Thomas W. Wilson, intenzionato a far rimanere neutrale il suo Paese. Nel 1915 esce La guerra europea: studi e discorsi, che raccoglie scritti pubblicati tra il 1913 e il 1915 su giornali e riviste di vari Paesi.
Da segnalare anche due libri postbellici legati al tema delle conseguenze del conflitto: Memorie e confessioni di un sovrano deposto (1920) e La ruine de la civilisation antique (1921); in quest’ultima opera, pubblicata inizialmente a puntate sulla «Revue des deux mondes» (1919-20), Ferrero analizza l’importanza e le conseguenze della caduta del sistema dinastico europeo, formulando un vero e proprio programma di ricostruzione politica dell’Europa.
Sempre sulle conseguenze del conflitto, pubblica nel 1923 La tragedia della pace: da Versailles alla Ruhr, una raccolta di articoli comparsi su periodici italiani e statunitensi in cui mette in evidenza i difetti più gravi dei trattati di pace postbellici; tema che precisa in Discours aux sourds (1924), Entre le passé et l’avenir (1926) e L’unité du monde (1927), tre piccoli volumi pubblicati in Francia e ricavati dagli articoli comparsi ne «L’illustration».
Antifascista della prima ora, Ferrero partecipa alle attività del Circolo di cultura fiorentino, sorto nel 1922 per iniziativa di un gruppo di antifascisti, tra cui Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Ludovico Limentani, Piero Jahier e Carlo Rosselli. Nel 1924 fonda, insieme ad Amendola, Ivanoe Bonomi, Guido De Ruggiero, Corrado Barbagallo e Luigi Salvatorelli, l’Associazione italiana per il controllo democratico. È tra i promotori dell’Unione nazionale diretta da Amendola, insieme a Carlo Sforza e Meuccio Ruini, e tra i primi firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti scritto da Benedetto Croce (1° maggio 1925). Per la sua attività «contraria agli ordinamenti nazionali dello Stato» viene minacciato dell’assegnazione al confino di polizia e viene sottoposto a sorveglianza speciale presso il suo domicilio privato. In quegli anni vengono sequestrate dal regime alcune sue opere in cui sviluppa la tesi della continuità tra il fascismo e i precedenti governi: Da Fiume a Roma, 1923; Le dittature in Italia: De Pretis-Crispi-Giolitti-Mussolini, 1924; La democrazia in Italia, 1925. Nel 1926 viene candidato al premio Nobel per la letteratura.
Tra il 1920 e il 1930 scrive La terza Roma, un ciclo di quattro romanzi che verranno pubblicati negli anni successivi: Le due verità nel 1926, La rivolta del figlio nel 1927, Sudore e sangue nel 1930, Liberazione nel 1936. Questo genere letterario costituisce «una terza applicazione» (Raditza 1939, p. 38) del suo metodo, una sorta di combinazione tra storia e dialogo. La tetralogia è ambientata alla fine del 19° sec., sullo sfondo della guerra d’Africa, e mette in luce il rapporto tra barbarie e civiltà, tema esplicitato soprattutto nell’ultimo volume che Ferrero è costretto a pubblicare all’estero, in Svizzera, e che costituisce una sorta di suo testamento spirituale.
Nel 1930, avuta la nomina di professore ordinario in storia contemporanea presso la facoltà di Lettere dell’Università di Ginevra, viene autorizzato a trasferirsi in Svizzera, dove resterà fino alla fine della sua vita. Qui compone la sua ultima opera, la trilogia costituita da Aventure. Bonaparte en Italie (1796-1797) (1936), Reconstruction. Talleyrand à Vienne (1814-1815) (1940) e Pouvoir. Les génies invisibles de la cité (1942). Quest’opera è in gran parte frutto delle lezioni da lui tenute alla facoltà di Lettere e (dal 1931) come docente di storia militare presso l’Institut universitaire de hautes études internationales. Si spenge il 3 agosto 1942 a Mont-Pélerin, nel cantone di Vaud, all’età di settantuno anni.
Dalla collaborazione con il fondatore dell’antropologia criminale in Italia, Lombroso, derivano – oltre al citato libro-inchiesta La donna delinquente – alcuni studi specifici, pubblicati su riviste italiane e internazionali. Nel 1893 esce, all’interno de La donna delinquente, il saggio I violenti e i frodolenti in Romagna; la principale novità di questo scritto sta in un passaggio fondamentale, individuato nella trasformazione della criminalità, dalle «società a tipo di violenza» e quelle «a tipo di frode», la prima comunitaria, la seconda prevalentemente societaria, che egli assume come categoria interpretativa di una fase dell’evoluzione sociale verso la modernità.
La stessa impostazione, di stampo prettamente positivista, si riscontra ne I simboli, nel saggio Un sociologo arabo nel secolo XIV: Ibn Kaldoun («La riforma sociale», 1896, 4, pp. 221-35) e ne L’Europa giovane. Padre intellettuale de I simboli era stato Paolo Marzolo, ineguagliabile precursore di Lombroso. Nel saggio su Ibn Khaldū’n, Ferrero illustra l’idea fondamentale che la civiltà non è governata da una legge di progresso costante; la conseguenza è che né barbarie, né civiltà hanno un significato eterno, essendo due condizioni della vita umana che fatalmente si succedono l’una all’altra. L’idea portante de L’Europa giovane è invece l’agonia del cesarismo, ossia la patologica degenerazione di una forma politico-istituzionale che comporta una più ampia trasformazione sociale, caratterizzata dall’affermarsi di una nuova «società in cui tutti gli uomini vengono egualmente impegnati nella costruzione dell’opera collettiva» (G. Mosca, Il fenomeno Ferrero, «La riforma sociale», 1897, 12).
Nella vita di Ferrero, l’esperienza della militanza nel Partito socialista occupa una breve parentesi che va dal 1890 al 1896, anno della sua candidatura alle elezioni; in seguito, infatti, egli tornerà su posizioni prima radicali e poi liberaldemocratiche. Ferrero approda al socialismo dopo una breve appartenenza all’Associazione della gioventù repubblicana di Torino e al Partito radicale. Tra il 1890 e il 1893 assiste alla prima industrializzazione italiana, un fenomeno che lo porta a svolgere un’intensa attività propagandistica al fianco dei primi nuclei socialisti organizzati, attività che nel 1894 gli costa una condanna a due mesi di confino. Nello stesso 1894 pubblica prima un saggio, La reazione, in cui protesta contro la politica reazionaria di Francesco Crispi, esprimendo molto bene quelle che Norberto Bobbio ha definito «le aspirazioni della gioventù positivistica» dell’epoca (Profilo ideologico del Novecento, 1969, 19934, p. 45), e poi un pamphlet, La reazione e il fenomeno Crispi, che lo qualifica ulteriormente in senso democratico e anticrispino militante.
Nel 1891, come già accennato, Ferrero inizia a collaborare con «Critica sociale». Ma quando, nel maggio 1898, scrive sui moti di Milano, è ormai un socialista che mostra sempre maggiore comprensione per una visione liberale e antiprotezionista dei temi economici e sociali, e che tende a differenziare il giudizio sui vari esponenti della classe politica, registrando inoltre un tendenziale avvicinamento tra il programma di Enrico Ferri (che nel 1903 diventerà il direttore del quotidiano ufficiale del Partito socialista, «Avanti!»), cui attribuisce il superamento del mito collettivista, e la riflessione della rivista di tendenza liberista «Giornale degli economisti e Annali di economia», nonché di pensatori individualisti quali Vilfredo Pareto e Mosca: per Ferrero lo stato di crisi dell’Italia potrà essere superato solo se si svilupperà un dialogo tra le impostazioni innovative dei due campi, socialista e liberale.
All’inizio del 1898 esce Il militarismo, con il quale Ferrero sferra un durissimo attacco contro la guerra e le istituzioni militari, contribuendo ulteriormente a contrastare la svolta reazionaria di fine secolo, oltre che a rendere esplicita la sua metodologia, che sintetizza elementi storici, sociologici e psicologici. Il volume raccoglie un ciclo di dieci conferenze tenute a Milano tra il febbraio e l’aprile del 1897, su incarico dell’Unione lombarda per la pace. Del militarismo Ferrero analizza la morfologia, a partire dalle società barbariche fino ai moderni militarismi della vecchia Europa, dal cesarismo militare francese al militarismo dispotico spagnolo e a quello italiano, definito sui generis perché incompiuto.
Questo volume scatena una serie di polemiche e reazioni, che vedono coinvolti soprattutto esponenti del mondo militare. Tali critiche aumentano in seguito ad alcuni eventi verificatisi nei mesi successivi alla pubblicazione: lo scoppio della guerra ispano-americana (aprile), i moti di Milano (maggio), la proposta dello zar di Russia Nicola II di convocare all’Aia una conferenza mondiale per il disarmo e la pace (agosto), la decisione, da parte di un tribunale militare francese, di riaprire il processo al capitano Alfred Dreyfus (settembre), la crisi coloniale franco-britannica in Sudan (settembre-novembre). La risposta dei militari non è univoca né omogenea, con posizioni conciliative e di apertura, ma anche di chiusura e di rifiuto.
Nel 1899 Ferrero pubblica Lo Stato e la libertà secondo uno scrittore italiano («Nuova antologia di scienze, lettere ed arti», 16 luglio 1899, pp. 280-96), un breve saggio in cui presenta e discute il significato politico dell’opera di Mosca, definendola una «vera dottrina dello Stato» (p. 280) e ripercorrendone le tappe principali, da Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare (1884) a Elementi di scienza politica (1896).
Tra il 1902 e il 1906 escono i cinque volumi di Grandezza e decadenza di Roma, una storia di Roma dalle origini fino alla morte di Augusto (14 d.C.), che si estende dapprima rapidamente per cinque capitoli fino alla morte di Silla (78 a.C.), e poi dettagliatamente, quasi giorno per giorno, coprendo un arco di circa un secolo. Fin dall’uscita del primo volume i critici attaccano l’opera su quotidiani e periodici. La polemica con gli storici accademici dura quasi vent’anni, e si svolge soprattutto con Croce, il quale accusa Ferrero di aver assunto «tutte le formule della scuola, tutti i derivati del materialismo storico» e di avere «inventato un nuovo modo d’esporre la storia col dividerla non per epoche ma per categorie di fenomeni, che è per l’appunto l’astratto e inconcludente metodo sociologico» (Teoria e storia della storiografia, 1917, pp. 29-30). Si delineano così due concezioni diverse, anzi opposte, della storia: la storia come arte e la storia come ‘mestiere’. La storia come «opera d’arte e di pensiero», «psicologia in azione», «cinematografo interno», sarà la concezione che orienterà Ferrero (e non soltanto nella sua ricerca), nella consapevolezza «di non essere mai stato uno storico di professione come del resto […] uno specialista della filosofia o della letteratura narrativa» (Che cos’è la storia, in G. Ferrero, L. Ferrero, La palingenesi di Roma: da Livio a Machiavelli, 1924, p. 84).
Il successo internazionale di Grandezza e decadenza di Roma fa maturare in ambienti governativi l’intenzione di istituire, anzi, di restaurare a Roma per Ferrero una cattedra di filosofia della storia, proposta che provoca un dibattito molto acceso e che si conclude nel 1913 in Parlamento con la pronuncia di un rifiuto definitivo. Tale rifiuto non è dunque frutto solo del veto posto da Croce, ma anche di una posizione comune assunta da diversi parlamentari, i quali esprimono una critica netta nei confronti della metodologia positivistica ed evoluzionista di Ferrero e pongono inoltre una questione di opportunità politica o, meglio, di ‘politica accademica’.
Se l’avventura accademica di Ferrero in Italia può così dirsi definitivamente conclusa, quella all’estero deve ancora iniziare. Quasi vent’anni più tardi Ferrero si troverà, come già accennato, a insegnare storia contemporanea all’Università di Ginevra, con quello stesso metodo che aveva già chiaramente delineato nel 1910, nel discorso all’Università popolare di Firenze intitolato Storia e filosofia della storia.
Si è detto in precedenza che a Ginevra Ferrero riceve anche l’incarico di tenere, a partire dal gennaio del 1931, i corsi di storia militare all’Institut universitaire de hautes études internationales. Queste lezioni ginevrine si possono considerare un contributo cospicuo alla storia delle relazioni internazionali, e Ferrero stesso è stato definito uno studioso in toto della guerra, avendo dedicato gran parte della sua vita alla riflessione su questo tema (Cedroni 2002).
L’analisi profonda e penetrante di Ferrero si indirizza dapprima verso il fenomeno del militarismo e successivamente verso il problema della guerra, che egli considera inscindibile da quello della legittimità del potere. Da un punto di vista prettamente storico, Ferrero, partendo dalle trasformazioni avvenute fin dal Settecento, traccia un profilo evolutivo della guerra, segnato dal passaggio da una concezione di tipo convenzionale, in cui la guerra è intesa come «arte militare», come mestiere da apprendere alla perfezione seguendo regole rigide e precise, a una concezione mistica, in cui la guerra è intesa come dovere da compiere in forza di più grandi ideali e passioni (La fin des aventures: guerre et paix, 1931).
Ferrero affronta il tema della guerra seguendo tre direttrici principali: una storica, che esamina i caratteri evolutivi della guerra distinguendone fasi e categorie, ordinate in base a un’articolata tipologia; una dimensione politico-giuridica, che ne considera il carattere statale e, più precisamente, politico, mettendo in risalto la particolare connessione che si stabilisce con le categorie di legittimità e il diritto internazionale (jus gentium); infine, un livello teorico più generale, in cui affronta il problema della giustificazione della guerra e del suo fondamento, in riferimento anche ad alcuni elementi bioantropologici riscontrabili nella natura umana.
In merito alla moderna guerra europea, Ferrero sottolinea come essa non sia regolata dal diritto e limitata, come avverrebbe se si volessero raggiungere i propri fini con le minori perdite umane possibili; essa si caratterizza inoltre per la presenza di elementi completamente inediti sotto il profilo sia strategico-militare sia morfologico. Da un punto di vista strategico-militare, questo tipo di guerra non si sviluppa in uno spazio circoscritto, anzi perde la dimensione propriamente spaziale; di conseguenza, lo stesso movimento finisce per acquisire un valore assoluto, indipendente dalla direzione: si tratta invero di un iperbolismo immobile. Dal punto di vista delle dimensioni del conflitto, la guerra iperbolica, a differenza della guerra prerivoluzionaria – combattuta tra sovrani o tra élites ristrette e omogenee –, coinvolge intere popolazioni, di ogni classe e livello: operai e contadini forniscono i soldati, le classi medie gli ufficiali e le classi più ricche i capitali. Ed è proprio l’entrata delle masse in guerra a rendere più feroce e incontrollabile il conflitto, che si estende a dismisura sotto ogni aspetto, provocando la distruzione totale e indiscriminata di beni e persone. Dal punto di vista dell’efficacia della guerra, si crede persino – afferma Ferrero – che più il conflitto è violento, maggiori sono le possibilità di un suo esito positivo. Di conseguenza, per farlo durare il minor tempo possibile si finisce – erroneamente – con l’aumentare di grado e d’intensità l’uso della violenza, attraverso armi sempre più potenti e letali. È pertanto inutile aspettarsi delle trasformazioni sociali o dei rinnovamenti politici dalla guerra. La guerra non genera alcuna aristocrazia culturale e neppure politica, e può favorire solo la formazione di movimenti culturali di massa.
Un altro fattore che contraddistingue la guerra iperbolica è la trasformazione dell’armata professionale di difesa, caratteristica delle guerre politiche, in nazione armata con funzione di attacco. Infine, la vera novità della guerra europea è da individuarsi nella presenza di un elemento metapolitico, la paura o, meglio, il terrore, usato come strumento psicologico di mobilitazione delle masse, ma che, con un effetto retroattivo, può tornare a colpire la fonte da cui scaturisce. A questo elemento si collega, da un lato, il terrorismo bellico, ossia l’esasperazione della violenza al punto da rendere impossibile la pace e, dall’altro, l’idea di rivoluzione permanente.
La stessa ipotesi di ‘guerra democratica’ – dalla quale prende avvio la sua riflessione dopo l’avvento del fascismo –, posta da Ferrero all’inizio e alla fine di La fin des aventures, finisce per diventare un punto di riferimento decisivo, dal quale egli parte per dimostrare l’assurdità della guerra, e in particolare del tipo di guerra nata dalle ceneri della rivoluzione, che, pur essendo stata grande e necessaria, non ha però indicato i principi necessari su cui deve basarsi la nuova società. La genesi e la qualità delle guerre dipendono pertanto dalla natura e dallo spirito dei regimi politici, ed è a questo livello che si stabilisce la stretta connessione tra guerra e governi illegittimi.
Fin da Memorie e confessioni di un sovrano deposto (1920) e da La tragedia della pace: da Versailles alla Ruhr (1923), la riflessione ferreriana sulla guerra va di pari passo con la teorizzazione dei principi di legittimità, ripristinati dal Congresso di Vienna. Per Ferrero il problema della guerra non va scisso dalla teoria dei principi di legittimità, compiutamente formulata in Pouvoir (1942) come risposta alla crisi della civiltà europeo-occidentale, ormai sclerotizzata e irrigidita in un sistema di convenzioni cristallizzate e inadeguate che la Prima guerra mondiale è riuscita a eliminare, ma non a sostituire.
I fondamenti della teoria della legittimità, o forse sarebbe meglio dire della teoria della illegittimità, quale categoria sociologica decisiva per intendere i paradossi autodistruttivi della Rivoluzione francese e dei regimi politici da essa direttamente o indirettamente generati, possono essere rinvenuti fin dai primi anni del Novecento in opere come Grandezza e decadenza di Roma e Tra i due mondi. Padri invisibili di queste due opere erano stati quei reggitori che regolano la vita umana e rassomigliano piuttosto a quelle essenze intermedie fra la divinità e gli uomini che i Romani definivano geni (Pouvoir, cit., p. 22).
Anche la trilogia formata da Aventure, Reconstruction e Pouvoir nasce con il proposito di offrire una spiegazione per quanto possibile razionale dei regimi illegittimi, quelli formatisi in seguito a un colpo di Stato e che hanno la diabolica facoltà di terrorizzare chi si impossessa del potere. Al nesso virtuoso (di stampo weberiano) di legalità e legittimità, Ferrero sostituisce il nesso vizioso di illegittimità e paura, una paura tutta particolare, che si genera nella coscienza stessa di chi detiene il potere e sa di non averne il diritto (Sorgi 1983). La paura sacra della regola violata inficia la natura stessa del potere (Pouvoir, cit., p. 33). Oggi, a oltre settant’anni dalla pubblicazione di Pouvoir, quello che può essere considerato il punto di arrivo della riflessione ferreriana costituisce un punto di partenza imprescindibile per comprendere la storia contemporanea. Rileggendo le profetiche parole contenute nelle ultime pagine del libro, esse ci appaiono terribilmente attuali:
Il mondo non troverà scampo se non capirà che solo i governi legittimi possono liberarlo dalla paura e che i governi legittimi non possono essere creati in questo momento critico della storia se non applicando lealmente, sinceramente, senza paura e con buon senso, la formula della legittimità democratica (p. 267).
La riforma universitaria: discorso detto a Bologna il giorno 22 febbraio 1891, «L’Università. Rivista dell’istruzione superiore», 1891, 4.
I simboli in rapporto alla storia e filosofia del diritto, alla psicologia e alla sociologia, Torino 1893, Napoli 1995.
I violenti e i frodolenti in Romagna (guelfi e ghibellini, barattieri e panamisti), in C. Lombroso, G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Torino 1893.
A.G. Bianchi, G. Ferrero, S. Sighele, Il mondo criminale italiano, 2 voll., Milano 1893-1894.
La reazione e il fenomeno Crispi, Torino 1894.
Un sociologo arabo nel secolo XIV: Ibn Kaldoun, «La riforma sociale», 1896, 4, pp. 221-35.
L’Europa giovane: studi e viaggi nei Paesi del Nord, Milano 1897.
Il militarismo: dieci conferenze, Milano 1898.
Lo Stato e la libertà secondo uno scrittore italiano, «Nuova antologia di scienze, lettere ed arti», 16 luglio 1899, pp. 280-96.
Grandezza e decadenza di Roma, 5 voll., Milano 1902-1906.
Fra i due mondi, Milano 1913.
La guerra europea: studi e discorsi, Milano 1915.
Memorie e confessioni di un sovrano deposto, Milano 1920.
La ruine de la civilisation antique, Paris 1921 (trad. it. Milano 1926).
Storie e storici nella critica di Benedetto Croce, «La ronda», 1921, 10, pp. 679-89.
La tragedia della pace: da Versailles alla Ruhr, Milano 1923.
Che cos’è la storia, in G. Ferrero, L. Ferrero, La palingenesi di Roma: da Livio a Machiavelli, Milano 1924, pp. 127-60.
Discours aux sourds, Paris 1924 (trad. it. Milano 1925).
Entre le passé et l’avenir, Paris 1926.
La terza Roma, 4 voll., 1926-1936 (comprende: Le due verità, Milano 1926; La rivolta del figlio, Milano 1927; Sudore e sangue, Milano 1930; Liberazione, Lugano 1936).
L’unité du monde, Paris 1927.
La fin des aventures: guerre et paix, Paris 1931.
Aventure. Bonaparte en Italie (1796-1797), Paris 1936 (trad. it. Milano 1947).
Reconstruction. Talleyrand à Vienne (1814-1815), Paris 1940 (trad. it. Milano 1948).
Pouvoir. Les génies invisibles de la cité, New York 1942 (trad. it. Roma 1947).
Gaetano Mosca, Guglielmo Ferrero: carteggio 1896-1934, come t. 1, a cura di C. Mongardini, di G. Mosca, Epistolario, 6° vol. delle Opere, a cura dell’Istituto di studi storico-politici dell’Università di Roma, Milano 1980.
La vecchia Italia e la nuova (antologia di editoriali scritti per il quotidiano «Il secolo» tra il 1897 e il 1923), a cura di L. Cedroni, Napoli 1997.
B. Raditza, Colloqui con Guglielmo Ferrero, Lugano 1939.
G. Sorgi, Potere tra paura e legittimità: saggio su Guglielmo Ferrero, Milano 1983.
C. Galli, L’inedita tesi di laurea di Guglielmo Ferrero presso l’Università di Bologna (1893), «Il pensiero politico», 1983, 3, pp. 411-36.
Guglielmo Ferrero tra società e politica, Atti del Convegno, 4-5 ottobre 1982, a cura di R. Baldi, Genova 1986.
R. Giannetti, Rivoluzione, democrazia, legittimità nel pensiero politico di Guglielmo Ferrero, Napoli 1988.
D. Pacelli, Una critica alla modernità: qualità, limiti e legittimità nell’opera di Guglielmo Ferrero, Roma 1989.
L. Cedroni, I tempi e le opere di Guglielmo Ferrero: saggio di bibliografia internazionale, Napoli 1993.
B. Biancotto, La pensée politique de Guglielmo Ferrero, Aix-en-Provence-Marseille 1994.
Guglielmo Ferrero: itinerari del pensiero, a cura di L. Cedroni, Napoli 1994.
P. Treves, Ferrero Guglielmo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 47° vol., Roma 1997, ad vocem.
Politica e affetti familiari: lettere di Amelia, Carlo e Nello Rosselli a Guglielmo, Leo e Nina Ferrero e Gina Lombroso Ferrero, 1917-1943, a cura di M. Calloni, L. Cedroni, Milano 1997.
T. Dell’Era, La biblioteca ginevrina di Guglielmo Ferrero: ricognizione bibliografica, Roma 1998.
Nuovi studi su Guglielmo Ferrero, Atti del Convegno, Forlì (21-22 novembre 1997), e delle Giornate di studi del gruppo di ricerca CNR su Società e politica in Guglielmo Ferrero, 27-28 gennaio, a cura di L. Cedroni, Roma 1998.
L. Cedroni, Il contributo di Guglielmo Ferrero agli studi sulla guerra e la storia militare, in Università degli studi ‘La Sapienza’ di Roma, Dipartimento di studi politici, Scritti in ricordo di Armando Saitta, Milano 2002, pp. 292-304.
L. Cedroni, Guglielmo Ferrero: una biografia intellettuale, Roma 2006.