DONDINI, Guglielmo
Nacque a Bologna da Giacomo, nobile, il 4 dic. 1606. Lo troviamo prestissimo a Roma, convittore al Collegio Romano, dove, nel 1623, viene già presentato come un valente scolaro, in grado, ad esempio, di dedicare alcune conclusioni di filosofia al cardinale Antonio Gozzadino in visita nell'istituto, presente un ragguardevole numero di prelati.
Nel 1627 inizia il suo vero e proprio noviziato nell'Ordine gesuitico, dapprima a Novellara, poi, presumibilmente nello stesso anno, di nuovo a Roma, nel collegio di S.Andrea, dove fu ospite per poco tempo, in quanto trasferito direttamente al Collegio Romano. Studiò qui per tre anni filosofia e per quattro teologia. Il giudizio dei superiori sul giovane novizio è confortante, ma non strepitoso come accadeva per altri allievi: nel 1633 il rettore lo giudica di "buon ingegno", ma di "temperamento sanguigno", ossia non propriamente costante, comunque già dotato di spiccata e sicura predisposizione alla "Rettorica".
Presi i voti nel 1634, il D. fu trattenuto al collegio ed avviato decisamente all'attività didattica. Viene segnalato, infatti, professore di eloquenza per diciassette anni, dal 1641 al 1657 e lettore di Sacra Scrittura prima dal 1658 al 1667, quindi dal 1673 al 1675.
Tutte le notizie riguardanti la sua vita non valicano il perimetro del collegio, dove, oltre all'intenso esercizio dell'insegnamento, veniva convocato per comporre ed anche recitare scritti per lo più d'occasione in onore di illustri visitatori, di neonati di alto lignaggio o di qualche insigne e celebre scomparso.
Ricordiamo, tra i numerosi avvenimenti spunto per adunanze e cerimonie, la declamazione di un poema per la nascita del futuro Luigi XIV nel 1638, tenutasi in un ampio salone tra parecchie personalità, fra cui il cardinale A. Barberini, al quale detto poema fu espressamente dedicato; oppure, nel 1640, la recita di un'orazione in lode di Urbano VIII, alla presenza ancora dei cardinali A. e F. Barberini, nipoti del papa.
La possibilità di uscire da tale pomposa burocratica routine si presentò nel momento in cui venne a mancare un celebre letterato e storico gesuita, il padre Famiano Strada. Costui aveva iniziato a scrivere, per conto del duca di Parma, casato in stretti rapporti con la Compagnia, la storia delle gesta di Alessandro Farnese nelle guerre di religione in Francia e nelle Fiandre, inizialmente dalla morte di Carlo V al 1573, opera che vide la luce a stampa in Roma nel 1632, quindi fino al 1590, fatica uscita dai torchi con la data 1640-1647.
Il Farnese era stato chiamato da Filippo II a governare le Fiandre ed era riuscito, accantonando i metodi puramente terroristici e favorendo l'opera appunto dei gesuiti, a risvegliare nei cattolici fiamminghi il senso religioso fino a convincerli dell'incompatibilità coi calvinisti, da cui la separazione tra province settentrionali fedeli alla Riforma e meridionali chiaramente suddite del re di Spagna. I Farnese mantenevano stretti contatti con i gesuiti, oggetto continuo di lasciti e donazioni, tentando di intensificare la loro presenza a Roma per la rivendicazione del ducato di Castro, in mano appunto alla S. Sede.
In una lettera datata 12 ott. 1649 Ranuccio II di Parma si lamentava della morte del padre Strada, quindi, scrivendo al vicario generale il 20 luglio 1651, lo pregava di convertire l'incarico di narrare la vita dell'illustre avo sul D., con il "costituirgli un capitale sin grande ch'egli potrà sempre fare di me, e che in niente sarà inferiore a quello ch'io fo della di lui bontà e sufficienza".
Il D. si mise pertanto al lavoro, ma i tempi di stesura non dovettero risultare graditi, in quanto un'altra corrispondenza da Parma, in data 2 luglio 1661, lamentava l'impasse in cui versava la ricerca, con l'esplicito invito al vicario generale a regolarizzare e controllare l'andamento dei lavori anche se, per salvaguardarne l'agilità e la chiusura, si dovesse affidare l'incarico ad altro gesuita. Ciò non avvenne, ma il libro fu stampato solo nel 1673.
L'opera, di vaste dimensioni, si occupa delle avventure del Farnese lungo dieci anni, dal 1585 al 1595, nei quali il condottiero, dopo gli interventi nelle Fiandre la cui situazione finanziaria destava comunque non poche preoccupazioni in lui, fu dirottato da Filippo II in Francia per avversare Enrico IV. Il tono encomiastico e lo stile evidentemente barocco cercano di stemperarsi a contatto con le brillanti e mirabolanti imprese del duca, disegnato come eroe a tutto tondo, oggetto di esplicita ammirazione anche da parte dell'avversario Enrico IV. In particolare, gli episodi delle entrate in Parigi e Rouen si collocano quali fondamentali conferme delle doti superiori ed ispirate del condottiero. Si può aggiungere che qualche storico di Alessandro, almeno in Italia, si trovò a menzionare l'opera tra le fonti, segnalandone tuttavia imprecisioni senza collocarla tra i capisaldi della storiografia gesuitica, peraltro molto più illustre in altri rappresentanti.
Dal punto di vista prettamente letterario, il Tiraboschi ebbe a scrivere che il divario col padre Strada si presentava ai suoi occhi piuttosto netto e informa che la pubblicazione non riscosse il successo sperato: per tale fatica, nella selva di poesie, trattatelli ed Orazioni, si è soliti ricordare il D., riservandogli qualche accenno più erudito che convinto.
Egli non cessò la sua attività di insegnante durante gli anni di tale lavoro; fu nominato anzi dal 1667 al 1677 prefetto delle scuole inferiori al Collegio Romano. Un anno dopo doveva morire, nell'istituto dove appunto aveva speso le sue migliori energie, il 27 genn. 1678.
Opere: Venetus de classe piratica triumphus, carmen heroicum, Roma 1638; Delphino ... genethliacon, carmen, ibid. 1639, Orationes duae, altera de Christi Domini cruciatibus, altera de Urbani VIII, pontificis maximi, principatu, ibid. 1642; Fluviorum contentio de lustrando aquis suis in baptismate Cosimo III, Magno Etruriae Principe, ibid. 1645; Lauretana domus, aula coelestis. Oratio habita in Collegio Romano, ibid. 1650; Casimiri IV Poloniae et Sveciae regis inauguratio triumphalis carmen, ibid. 1650; Vladislai IV Poloniae et Sveciae regis laudatio funebris, ibid. 1650, Carmina, ibid. 1653; In Alexandri VII Pont. Opt. Max. electionem caeli terraque consensus, carmen, ibid. 1655; Carmina de variis argumentis, Venetiis 1655; Panegirici, Roma 1661, Selecta heroum spectacula, in Amphiteatro fortitudinis eleganti poémate repraesentata, Monaci 1669, con edizioni settecentesche a Lucerna e Colonia; Historia de rebus in Gallia gestis ab Alexandro Farnesio, Parmae et Placentiae duce III, supremo Belgii praefecto, Roma 1673; Norimberga 1675; Roma 1676, Vienna 1750.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum Romanum Societatis Iesus, Epistulae externorum, 20 luglio 1651, 33-651; 2 luglio 1671, 34-661; Ibid., Archivio della Curia generalizia, ms. LI 1666: Catalogo dei superiori e professori del Collegio Romano, pp. 20-26; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, IV, Milano 1833, p. 535; R. G. Villoslada, Storia del Collegio Romano, Roma 1954, pp. 264, 268, 286; G. Fantuzzi, Notizie d. scrittori bolognesi, III, Bologna 1783, pp. 261 s.; IX, ibid. 1784, p. 92; Biografia universale antica e moderna XV, Venezia 1824, p. 192; S. Gliubich, Dizionario d. Dalmati, Vienna 1826, p. 121 (lo dice nativo di Dubrovnik); C. Sonunervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, III, pp. 135 ss.; V. Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiana, II, p. 622.