Guglielmo di Conches
Maestro scolastico del sec. XII, nato in Normandia intorno al 1080, morto a Chartres nel 1145.
Discepolo di Bernardo di Chartres e, quindi, egli stesso maestro in quella grande scuola per circa un ventennio, fu grammatico, filosofo, lettore e commentatore dei testi classici e difese contro i ‛ cornificiani ' l'ideale chartriano di una cultura fondata sul costante rapporto con gli antichi e la raffinata conoscenza delle ‛ arti liberali '. Autore, tra l'altro, di un commento al Timeo platonico di grande importanza per la storia della filosofia del XII secolo, di glosse alla Consolatio di Boezio, a Macrobio, a Prisciano, di scritti morali ispirati a Cicerone e a Seneca, le sue opere principali sono, però, la Philosophia mundi, vasta enciclopedia filosofica e scientifica, e il Dragmaticon Philosophiae (in forma di dialogo col duca di Normandia, Goffredo Plantageneto), ove G., sviluppandoli e trasformando talune soluzioni, affronta gli stessi problemi cosmologici e dottrinali presenti nella Philosophia. La sua solida cultura filosofica si fonda, naturalmente, sulla tradizione platonica, affidata appunto al Timeo e al celebre commento di Calcidio, ma mostra anche una larga conoscenza di altri filoni speculativi (ad esempio la tradizione ermetica) e una evidente familiarità con gli scritti dionisiani ed eriugeniani e con le nuove dottrine scientifiche divulgate in Occidente dalle prime traduzioni dei testi arabi. Come filosofo e scienziato G. si sforza di perseguire l'accordo tra l'ispirazione platonica del suo pensiero e i testi scritturali, così come mira a rendere possibile la piena coesistenza tra i dati della rivelazione biblica e le nozioni filosofiche e scientifiche assimilate da tendenze speculative assai diverse. Appunto perciò G. applica anche alla dottrina cristiana della creazione moduli interpretativi dedotti dal Timeo platonico, per affermare che se l'atto creatore di Dio ha direttamente prodotto la materia del cosmo dal nulla, le Idee, concepite come causa formale dell'universo, rappresentano tuttavia i modelli e gli archetipi eterni su cui sono foggiate le singole specie e cose naturali. L' " Anima mundi " (che G., nella Philosophia, identifica con lo Spirito Santo, secondo il tipico insegnamento di Teodorico di Chartres) è pertanto il divino intermediario che traduce nella realtà mondana l'ordine immutabile ed eterno della mente di Dio. Ma, a differenza di Teodorico, egli non si limita a risolvere questo classico tema platonico nell'interpretazione del dogma trinitario (e, anzi, nel Dragmaticon respingerà addirittura l'identificazione dell'" Anima mundi " con lo Spirito Santo), bensì mira a considerare l'" Anima " come una forza intrinseca, infusa nella natura o, addirittura, come quel principio vitale che " dà l'essere alle piante, la vita alle erbe e altri alberi, il sentire agli animali e la ragione agli uomini ". Certo questo principio è, soprattutto, " la divina disposizione degli elementi "; ma il fatto che nella mente divina siano insieme eternamente presenti gli archetipi di tutta la realtà e la precognizione di ogni evento, non esclude che nella stessa " natura delle cose " esista una certa " disposizione " o " tendenza " intrinseca, rispondente al disegno divino, e tuttavia svolgentesi per una propria necessità razionale. Quest'ordine, che coincide con l'opera " industre " dell'" Anima mundi ", ha anzi un proprio ritmo e struttura di carattere squisitamente matematico; sicché è possibile spiegare la formazione dell'universo ricorrendo a ipotesi e nozioni di carattere matematico, a procedimenti meccanici, a teorie che accettano insieme alla concezione degli " elementa prima " anche le tesi atomistiche ripresentate recentemente in Occidente dalle versioni di Costantino Africano e di Adelardo di Bath.
Simili atteggiamenti speculativi si riflettono, ovviamente, anche sulla concezione generale della natura che pure riprende motivi già sviluppati nell'ambiente chartriano soprattutto per opera di Teodorico. G. presenta infatti una significativa distinzione tra il momento della " creatio mundi " e quello del " perfezionamento " o " exornatio " della " fabbrica mondana " dovuto alle tendenze intrinseche all'ordine naturale stesso e ai principi razionali a esso immanenti. Per questo G. (che rivela una notevole conoscenza delle principali opere e nozioni scientifiche di origine occidentale o araba presenti nella cultura del suo secolo) attribuisce una particolare importanza alle arti del " Quadrivio " che indagano la struttura della natura, rivelandone i fondamenti matematici e la costituzione atomistica. Matematica, geometria, astronomia e musica sono, pertanto, gli strumenti necessari " per le vere conoscenze reali ", le vie per giungere alla conoscenza della " disposizione od ordine naturale delle cose ".
In questo senso la filosofia di G. rappresenta un importante passo verso l'affermazione dell'autonomia dei processi naturali e dei metodi conoscitivi, sempre più svincolati dai presupposti meramente allegorici e simbolici della filosofia della natura altomedievale, e prepara l'avvento di quella concezione del mondo propria della cultura duecentesca e largamente dominante nella stessa opera di Dante. Influenze dirette e facilmente indicabili delle sue idee sono, del resto, riconoscibili in quegli autori di ‛ saturae ' o poemi teologico-filosofici, come Bernardo Silvestre e Alano di Lilla, che hanno, a loro volta, influito sulla letteratura poetico-dottrinale del XIII secolo (specialmente sul Roman de la Rose) e, con molta probabilità, anche sulla stessa ‛ struttura ' del poema dantesco.
Bibl. - Testi: la Philosophia mundi, in Patrol. Lat. XC (tra le opere di Beda) e CLXXII (tra le opere di Onorio di Autun); il Dragmaticon philosophiae, a c. di C. Parra, Parigi 1943; frammenti della Secunda e Tertia Philosophia in V. Cousin, Ouvrages inédits d'Abélard, ibid. 1836, 669 ss. Per le Glossae a Boezio e al Timeo cfr. C. Jourdain, Notices et extraits des manuscripts de la Bibl. Nationale de Paris, XX 2, ibid. 1862, 40-62, e ora, Guillaume de Conches, Glosae super Platonem, a c. di E. Jauneau, ibid. 1965. Probabile inoltre l'attribuzione del Moralium dogma philosophorum (ediz. J. Holmberg, Upsala 1929).
Studi: H. Flatten, Die Philosophie des Wilhelm von Conches, Coblenza 1929; C. Ottaviano, Willelmi a Conchis philosophia seu Summa philosophiae, in " Arch. di Storia della Filosofia It. " I 2 (1932); II 1 (1933); ID., Un brano inedito della " Philosophia " di G. di C., Napoli 1935; J.M. Parent, La doctrine de la création dans l'école de Chartres, Parigi-Ottawa 1938 (con frammenti delle glosse a Boezio e al Timeo); P. Delhaye, Une adaptation du " De Officiis " au XIIe siècle, le " Moralium dogma philosophorum ", in " Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale " XVI (1949) 227-258; T. Gregory, Sull'attribuzione a G. di C. di un rimaneggiamento della " Philosophia mundi ", in " Giorn. Crit. Filosofia lt. " XXX (1951) 119-125; ID., Anima mundi. La filosofia di G. di C. e la Scuola di Chartres, Firenze 1955; E. Garin, Contributi alla storia del platonismo medievale, in " Annali Scuola Norm. Sup. Pisa " s. 2, XX (1951) 74-76; 82-96; ID., Studi sul platonismo medioevale, Firenze 1958, 54-87 e passim; E. Jeauneau, L'usage de la notion d'" Integumentum " à travers les gloses de Guillaume de C., in " Arch. d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age " XXIV (1957) 35-100; J. Hantignais, Points de vue sur la volonté et le jugement dans l'oeuvre d'un humaniste chartrain, in L'homme et son destin d'après les penseurs du moyen âge, Actes du Ier Congrès international de la philosophie médiévale, Louvain-Bruxelles 1958, Parigi 1960; E. Jeauneau, Gloses de Guillaume de Conches sur Macrobe. Note sur le manuscrit, in " Arch. d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Age " XXVII (1960) 17-28; ID., Deux rédactions des gloses de Guillaume de C. sur Priscien, in " Recherches de Théologie Ancienne et Médiévale " XXVII (1960) 212-247; T. Silverstein, Guillaume de C. and the Elements: " Homiomeria " and " Organica ", in " Mediaeval Studies " XXVI (1964) 363-367; A. Tiné, Le " Glosae super Platonem " di G. di C., in " Sophia " XXXIV (1966) 336-343.