CEVA, Guglielmo di
Secondo di questo nome, visse tra la fine del XII secolo ed il primo quarto del XIII; era il primogenito di Guglielmo (I), dal quale ereditò il titolo di marchese di Ceva, ed aveva tre fratelli: Anselmo il Molle, anche egli signore di Ceva, Bonifacio Tagliaferro, marchese di Albenga e Oddone marchese di Clavesana.
Ceva, sede dal 1125 del marchesato, si trova in una posizione geografica strategicamente importante a cavallo dell'Appennino Ligure lungo la strada che da Albenga conduce, da un lato, a Torino, dall'altro, ad Asti ed in prossimità del fiume Tanaro. Anselmo (I) era stato il primo marchese di Ceva (come tale è ricordato in un atto del luglio 1140 [Tallone, doc. 21] che attesta un accordo con il Comune di Genova), usufruendo di un lascito di Bonifacio del Vasto i cui possedimenti erano stati suddivisi tra i sette figli maschi (l'ottavo Bonifacio d'Incisa pare fosse stato diseredato), come risulta dal testamento a noi pervenuto e redatto il 5 ott. 1125 a Loreto, attualmente in provincia di Asti (ibid., doc. 16). Anselmo (I) ebbe due figli maschi: Guglielmo (I), che conservò il titolo di marchese di Ceva, e Bonifacio che divenne il primo marchese di Clavesana. La politica dei signori di Ceva fu condizionata in particolar modo, sin dall'inizio, dai legami di carattere familiare e dall'ubicazione del marchesato: ciò determinò da un lato la necessità di cercare intese con le città di maggiore influenza nella zona, come Asti, Alba, Genova, Mondovì, dall'altro l'opportunità di intrattenere costanti legami con i rami collaterali della famiglia.
Nel corso del XII secolo i confini territoriali del marchesato avevano subito un notevole ampliamento; al momento in cui il C., alla morte del padre, ne prese la guida (1190 circa) facevano parte della giurisdizione territoriale di Ceva le seguenti località: Montegrosso (Guasco, III, p. 1075), Pamparato (ibid., II, p. 1206), una parte di Loreto (ibid., II, p. 922), Lisio (ibid., II, p. 906), Lesegno (ibid., II, p. 896), Lequio (ibid., II, p. 892), Igliano (ibid., II, p. 851), Gottasecca (ibid., II, p. 823), Cengio (ibid., I, p. 509), Cortemiglia, che Bonifacio di Cortemiglia aveva lasciato in eredità ai fratelli Guglielmo, marchese di Busca, Anselmo, marchese di Ceva, Ottone di Savona e Manfredo di Saluzzo (ibid., II, p. 646), Montezemolo (Codex Astensis, II, doc. 560), e Miroaldo (ibid.).
La politica del C. si propose l'obiettivo di inserire il marchesato nell'ambito delle forze politiche predominanti e cercò l'appoggio del Comune di Asti. Tuttavia, mentre per alcune famiglie della zona - come i da Gorzano o i Castellinaldo, la cui affermazione politica risale ad epoca precedente a quella considerata - si è potuto constatare un equilibrato inserimento prima nella clientela feudale del vescovo e poi in quella del Comune, per quanto attiene ai Ceva si nota invece una prevalente propensione nei confronti del Comune, giustificata dal fatto che alla fine del XII secolo il potere vescovile attraversava un momento di crisi.
Il C. stipulò il primo accordo con il Comune di Asti il 27 maggio 1190 (Codex Astensis, II, docc. 256, 559-561). In base ad esso egli rinunciava a Montezemolo e Miroaldo (che aveva ricevuto in eredità da Bonifacio di Cortemiglia) e alla fedeltà degli uomini e feudatari dei suddetti luoghi, nonché alle chiese, mulini, boschi ecc., in essi compresi, ed il Comune d'Asti lo reinvestiva delle medesime terre ponendogli alcune condizioni. Il C., infatti, si impegnava a proteggere i cittadini di Asti in transito sui suoi territori e a non pretendere da loro alcun "teloneum nec pedagium nec guidonagium nec curadiam"; prometteva di non suddividere le terre ereditate da Bonifacio di Cortemiglia, né di venderle, alienarle o infeudarle senza aver prima interpellato i consoli d'Asti. Si impegnava, inoltre, ad acquistare in città una casa del valore di cento lire astigiane con il vincolo di non venderla senza l'autorizzazione consolare, nonché ad assumere la cittadinanza astigiana ed a versare un fodro di trecento lire ogni qual volta gliene fosse fatta richiesta. Il Comune esigeva anche che egli soggiornasse almeno due mesi all'anno in città in tempo di pace e in modo continuativo in tempo di guerra con dieci soldati. Una volta all'anno, poi, per un mese ed a proprie spese, egli doveva essere presente nell'esercito cittadino con dieci cavalieri e duecento fanti. Da parte sua il Comune si impegnava ad affiancare per un mese all'anno le forze del marchese con venti cavalieri e duecento fanti e ad aiutarlo in caso di necessità. Da questo documento risulta chiaramente come sotto la guida del C. il marchesato di Ceva fosse assurto ad una posizione di rilievo nell'ambito delle forze politiche del Piemonte sudoccidentale, mentre il Comune di Asti rappresentava una delle potenze più affermate della stessa zona. Asti, del resto, andava attuando proprio in quegli anni una politica di penetrazione capillare nelle zone che fino a quel momento erano state di esclusivo predominio vescovile. In questo quadro s'inserisce, dunque, l'accordo tra il C. ed il Comune di Asti, che presenta, peraltro, accentuati caratteri di alleanza a scopo militare, più che un inserimento vero e proprio del marchese nell'ambito della vita cittadina. Il Comune, del resto, attraverso l'utilizzazione dell'istituto del feudo oblato e la stipulazione del cittadinatico, aveva la possibilità di attirare nella sua sfera d'azione alcune delle più potenti famiglie feudali che donavano al Comune i loro feudi (venendone subito reinvestite), ottenendo a loro volta adeguate garanzie di difesa, cespiti regolari di entrate e garanzie circa le vie di traffico commerciale. Vanno, inoltre, messi in luce anche i notevoli vantaggi economici di cui veniva ad usufruire il Comune grazie all'esenzione da qualsiasi pedaggio sulle terre dei propri feudatari e alla riscossione di un cospicuo fodro.
L'importanza raggiunta a questo punto dal marchesato di Ceva è ulteriormente confermata da un documento relativo ad un accordo stipulato tra il Comune di Asti ed il marchese di Savona il 12 apr. 1191. L'atto fa un preciso riferimento al C. e sottolinea come le nuove clausole lascino immutati tutti gli accordi già da tempo in vigore tra i signori di Savona e quelli di Ceva (Codex Astensis, III, doc. 929).
Al C. va dunque il merito di aver consolidato la posizione della propria casata. Durante gli anni del suo dominio (1190-1220) egli svolse una complessa attività pubblica che va analizzata mettendone in luce i motivi conduttori: le donazioni alla certosa di Casotto, i rapporti con Asti, la ricerca di intese con nuovi alleati, primo fra tutti il Comune di Alba.
Egli fu, infatti, tra i benefattori della certosa di Casotto: ad essa donò nel 1188 una vigna (Barelli, doc. VIII) ed alcuni alpeggi (ibid., doc. IX); nel 1211, assieme con i figli Guglielmo (III) e Manuele, confermò la vendita fatta in favore della certosa da Ottone di Carassone del castagneto della Buschera (ibid., doc. XXX) e nel 1213 quietanzò un vecchio credito di cento lire vantato nei confronti del priore di S. Maria di Casotto per un precedente prestito (ibid., doc. XXXVI).
Più complessa è l'analisi dei dati relativi ai rapporti tra il C. e la sua famiglia e il Comune di Asti nel periodo in questione. Nel 1191 Asti entrò in conflitto con il marchese di Monferrato. La guerra si protrasse sino al 1206 in un alterno gioco di alleanze in cui vennero coinvolti anche i Ceva. Essi si schierarono al fianco del Comune e, del resto, i tradizionali buoni rapporti con quest'ultimo appaiono ulteriormente rafforzati: da un atto del 25 ag. 1191, che attesta il raggiungimento di una tregua tra i contendenti, il C. risulta ricoprire la carica podestarile (Codex Astensis, II, doc.194). Il Vergano (cfr. p. 42) afferma che il C. era il secondo podestà del Comune essendo stato eletto dopo Guido di Landriano.
In una fase del conflitto sfavorevole ad Asti, Anselmo il Molle, marchese di Ceva e fratello del C., investì Lanfranco Niello di Alba (che tra l'altro faceva parte della commissione arbitrale tra Asti ed il marchese di Monferrato) della sua parte in Castagnole e di un ottavo di Loreto comprendente boschi, prati, vigne, "et omnes iurisdictiones et potestates". È molto significativa questa cessione da parte dei Ceva: probabilmente essa fu determinata dal fatto che la quasi totalità di Loreto apparteneva a Manfredi Lancia, marchese di Busca e, conte di Loreto, alleato del marchese di Monferrato nel conflitto in atto contro Asti. Il 13 nov. 1196(Codex Astensis, II, doc. 33) Manfredi aveva ceduto, peraltro, la stessa Loreto ed altre località al signore del Monferrato e ne era divenuto feudatario. Da tutto ciò desumiamo che la convivenza tra i Ceva e Manfredi Lancia doveva essere oltremodo difficile, dato il loro diverso schieramento nella lotta in corso, e che per questo motivo essi si videro costretti a cedere la parte del comitato di loro competenza (per quanto attiene alla vertenza relativa al possesso di Loreto cfr. Vergano, p. 49;Cognasso, pp. 306, 339 ss.; Codex Astensis, II, doc. 47).
L'alleanza tra il C. e il Comune di Asti appare, tuttavia, incrinarsi nei primi anni del sec. XIII. Infatti, mentre la guerra tra Asti ed il marchese di Monferrato stava avviandosi ad una conclusione decisamente favorevole al Comune, il C. aderì alla alleanza promossa da Alba ai danni di Asti, alleanza di cui facevano parte anche Cuneo, Mondovì, Guglielmo marchese di Monferrato, Manfredo marchese di Saluzzo, Ottone ed Enrico del Carretto, Bonifacio di Clavesana ed altri signori, nonché i podestà dell'Astisio e di Bagnasco. Il trattato stipulato il 3 sett. 1204 (E. Milano, doc. XI) definisce gli obblighi dei singoli contraenti e specifica che il C. e Bonifacio di Clavesana, "si in ista societate fuerint", avrebbero dovuto fornire alle truppe degli alleati dieci tra cavalieri ed arcieri. Tuttavia il C., che continuava ad essere formalmente tra gli alleati di Asti, pur essendo attratto dalla nuova alleanza, evitò nello stesso tempo di rompere un'intesa che risaliva ormai a molti anni. E, infatti, il documento specifica che egli si impegnava a rispettare tutti gli accordi a patto di non essere coinvolto in conflitti condotti contro Asti o Mondovì. Le garanzie che Manfredo di Saluzzo esigette per Ottone ed Enrico del Carretto e per il C., ammontanti a duecento marche di argento (somma assai elevata), ed analoghe garanzie richieste ad altri signori per somme variabili attestano la fluidità della situazione politica e l'incertezza del comportamento dei signori di Ceva e dei del Carretto nonché dei loro consorti.
Nel medesimo periodo il C. cercò anche nuove alleanze: il 12 ag. 1196, insieme con Bonifacio di Clavesana, stipulava un accordo con il Comune di Alba. In base ad esso i marchesi si impegnavano a stipulare il cittadinatico con Alba e ad acquistare in città una casa del valore di sessanta lire astigiane, con la clausola di non venderla o alienarla. Inoltre, le due parti si impegnavano ad aiutarsi reciprocamente in caso di necessità, intervenendo con dieci cavalieri e duecento fanti, che avrebbero dovuto essere mantenuti a spese di colui che necessitava di aiuti.
Analoghi rapporti esistevano probabilmente tra il Comune di Mondovì ed i Ceva. Sappiamo, infatti, che Anselmo il Molle, fratello del C., era nel 1200 podestà di Mondovì. È infatti ricordato come tale in un atto che risale all'8 nov. 1200 (G. Assandria, doc. CCXCVII).
La sagace ed equilibrata politica che il C. aveva messo in atto in tutti questi anni è confermata dalla constatazione dell'ulteriore espansione dei confini territoriali del marchesato di Ceva. Alla fine del XII secolo vi risultano annesse le località di San Michele Mondovì, venduta al C. dal vescovo d'Asti il 12 ott. 1198 (Guasco, IV, p. 1488), Garessio, per la sottomissione dei Ricci, signori del luogo, ai marchesi di Ceva nel 1202 (ibid., II, p. 784), Bagnasco (ibid., I, p. 125), Battifollo (ibid., I, p. 181) e Borgomale (ibid., I, p. 271).
Particolarmente interessanti, soprattutto per la persistenza delle giurisdizioni signorili in pieno periodo comunale, appaiono alcuni documenti redatti tra il 1214 ed il 1218. Da un atto del 5 maggio 1214 risulta che Manfredi Lancia, marchese di Busca, investì il C. e i suoi eredi legittimi del feudo di Boves. L'atto prevedeva la dipendenza del C. e dei suoi eredi da Manfredi Lancia e dal vescovo di Asti, finché il primo fosse in vita, e successivamente solo dal secondo. Il C., inoltre, cedette al vescovo Guidotto anche il feudo di Pamparato e suo figlio Guglielmo (III), nel prestare giuramento di fedeltà a nome del padre, venne investito di entrambi i feudi. Questo episodio è significativo poiché segna l'ingresso dei marchesi di Ceva tra i vassalli del vescovo d'Asti. Tuttavia, al di là delle apparenze, non si tratta di una radicale e definitiva inversione di tendenza politica dei Ceva, che, come si è visto, avevano sino ad ora preferito legare le proprie fortune a quelle del Comune anziché a quelle del vescovo, ma piuttosto di un necessario nuovo rapporto determinato dalla politica di restaurazione perseguita dalla Chiesa cittadina (G. Assandria, doc. CCXXXIV).
Ci sembra utile mettere in evidenza come qualche anno dopo, il 20 sett. 1222, alcuni dei figli del C., Manuele, Leone, Bonifacio, Benedetto, Giorgio e Guglielmo (III) di Ceva chiederanno al vescovo d'Asti l'autorizzazione a cedere Boves, in cambio del castello e città di Mombasiglio, che il vescovo aveva ricevuto in dono dai signori di Carassone nel 1134 (G. Assandria, doc. CCXXXVI): Leone di Ceva si impegnò a prestare al vescovo il giuramento di fedeltà per la suddetta città. Possiamo avanzare l'ipotesi che i figli del C. abbiano preferito essere infeudati di Mombasiglio, che si trova a pochi chilometri da Ceva, piuttosto che di Boves situata nelle immediate vicinanze di Cuneo, città peraltro antagonista dei signori di Ceva. Ci sembra opportuno sottolineare anche che proprio in questi anni i vescovi di Asti stavano attuando una politica tesa a rinforzare la posizione della Chiesa nell'ambito del Piemonte sudoccidentale, ed inoltre, al fine di evitare che i feudi ecclesiastici si staccassero dall'autorità vescovile per aderire alle cause del Comune o di altri signori laici, avevano ottenuto da Federico II di considerare "irritas et inanes" "tutte le alienazioni di terre o castelli della chiesa d'Asti, fatte senza l'espresso consenso del vescovo... con diritto di recupero dei beni stessi" (L. Vergano, pp. 82 s.).
Il C. viene ricordato per l'ultima volta in un atto del 1218 che attesta un nuovo accordo tra i signori di Ceva ed il Comune di Alba. Nel novembre di tale anno egli delegava suo figlio Guglielmo (III) a prendere contatti con il podestà di Alba Guglielmo Burro (E. Milano, doc. CCLXXIV) ed il 3 novembre del medesimo anno le due parti stabilivano i termini dell'accordo valevole per un triennio e rinnovabile di tre anni in tre anni (ibid., doc. CCLXXV). I Ceva si impegnavano ad acquistare in Alba una casa del valore di cento lire e terreni per una somma analoga, entro il successivo gennaio e ad investire, nel giro complessivo di due anni, altre quattrocento lire in terreni; Guglielmo (III) prometteva di soggiornare personalmente in Alba (o farvi soggiornare in propria vece uno dei fratelli) con compagni armati per partecipare ad eventuali spedizioni militari cittadine. Tra gli impegni che i signori sottoscrivevano vi erano: la partecipazione all'esercito con dieci cavalieri e duecento fanti per quindici giorni all'anno e alle ricognizioni con venticinque cavalieri due volte all'anno per otto giorni; gli aiuti militari contro i nemici del Comune, ad eccezione del vescovo d'Asti - al quale erano legati, come si è visto, da vincolo vassallatico per il feudo di Mombasiglio - e dei marchesi di Clavesana, del Carretto, Lancia, Battifollo, con i quali intercorrevano legami di parentela, purché non facessero parte di alleanze più vaste. Il Comune, dal canto suo, prometteva analoghi interventi accanto ai Ceva, salvo che contro Alessandria, Bene e l'imperatore.
Il C. ebbe numerosi figli: ai summenzionati Manuele, Leone, Bonifacio, Benedetto, Giorgio e Guglielmo, vanno aggiunti anche Raimondo, Oddone, Michele e Pagano (Codex Astensis, I, all. 7, quadro V). Dai documenti a nostra disposizione desumiamo che l'amministrazione del marchesato di Ceva, alla morte del C., era tenuta collegialmente da alcuni dei suoi numerosi figli. I documenti ricordano con maggior frequenza Giorgio, Manuele, Leone e Guglielmo (III). I figli del C. continuarono attivamente la politica iniziata dal padre. La loro presenza è rilevata costantemente da un lato in cause o vertenze di una certa importanza (cfr. Codex Astensis, II, docc. 258 e 528; Tallone, Regesto..., docc.292, 294; Barelli, doc. LXVI), dall'altro, al fianco di Asti nelle lotte che la vedono impegnata contro Alba ed Alessandria ed i loro numerosi alleati, tra i quali Milano, Tortona e Vercelli (tutte città per tradizione antimperiali). A tale proposito sembra utile ricordare l'accordo stipulato tra Asti e alcuni importanti signori tra i quali i marchesi del Vasto, Ottone del Carretto, Ottone del Vasto, Manfredo (III) di Saluzzo, Guglielmo (III) di Ceva ed i suoi fratelli il 25 nov. 1228. Il nuovo accordo annullava i trattati di pace stipulati in precedenza tra questi signori ed Alba e stabilivano i termini della nuova alleanza. I marchesi di Ceva si impegnavano a combattere al fianco di Asti, ad impedire il passaggio agli uomini delle città nemiche attraverso i loro territori, nonché attraverso quelli dei loro vassalli; ad evitare scambi commerciali con le forze avverse ed a non accordar loro alcun "guidonagium"; a mantenere per tutta la durata del conflitto cento armati per fronteggiare le forze di Alba ed Alessandria. I signori di Ceva ed il Comune di Asti, in particolare, si impegnavano reciprocamente a non avanzare pretese per eventuali risarcimenti per danni subiti in conflitti passati. I primi, inoltre, si impegnavano a far sottoscrivere gli accordi stipulati anche ai Comuni di Montezemolo, Miroaldo, Castelnuovo e Cortemiglia. Asti, dal canto suo, prometteva di aiutare a difendere i propri alleati e di includerli in qualsiasi trattativa di pace, nonché di continuare le ostilità finché Enrico del Carretto non avesse recuperato il castello di Sinio, la città di Novello e due parti di Monteforte, il marchese di Saluzzo Lequio e la sua parte di Monteforte, Ottone del Carretto Paderno, ed i signori di Manzano Manzano. Gli atti relativi a questo accordo prevedevano altresì il rinnovo annuale del giuramento (Codex Astensis, II, docc. 528 e 261; Tallone, Regesto..., doc. 301).
Terminata nel 1250 la guerra tra Asti ed Alba, i signori di Ceva procedettero a stipulare nuovi accordi con quest'ultima richiamandosi in parte a quelli già intercorsi nel 1218. L'atto steso il 17 apr. 1252 stabilì che i marchesi di Ceva assumessero la cittadinanza di Alba ed inoltre si impegnassero a comprare una casa in città, ad investire in terre e ad aiutare il Comune con le proprie milizie, mettendo a disposizione dell'esercito del Comune per quindici giorni all'anno dieci cavalieri e duecento fanti da mantenere a proprie spese e partecipando alle ricognizioni armate del Comune con venticinque cavalieri per otto giorni. I Ceva, tuttavia, si impegnavano ad essere neutrali in caso di attacchi contro il vescovo di Asti, e i loro tradizionali alleati. Alba, da parte sua, prometteva di non attaccare il Comune di Asti e di aiutare i Ceva in caso di necessità con dieci cavalieri e duecento fanti per quindici giorni all'anno.
Nel decennio 1250-60 i signori di Ceva figurarono coinvolti in nuovi conflitti. Dapprima li troviamo alleati di Asti contro Tommaso II di Savoia (cfr. Codex Astensis, III, docc. 903 e 904; Tallone, Regesto ..., doc. 423), e poi accanto ad Alba contro Mondovì.
Fonti e Bibl.: Codex Astensis qui de Malabayla commun. nuncupatur, a cura di Q. Sella, Roma 1880, II, docc. 33, 47, 194, 253, 256, 258, 261, 528, 559, 560, 561; III, docc. 903, 904, 929; E. Milano, Il "Rigestum comunis Albe", Pinerolo 1903, docc. XI, CCLXXIV s.; Il Libro verde della chiesa d'Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1907, docc. CCXXXIV, CCXXXVI, CCXCVII; Reg. dei marchesi di Saluzzo …, a cura di A. Tallone, Pinerolo 1906, docc. 16, 21, 292, 294, 301, 423; G. Barelli, Cartario della certosa di Casotto(1172-1326), Torino 1957, docc. VIII s., XXX, XXXVI, LXVI; G. Cordero di San Quintino, Osservaz. crit. sopra alcuni particolari delle storie del Piemonte e della Liguria nei secc. XI e XII, in Mem. d. R. Acc. d. scienze di Torino, s. 2, XVIII (1853), pp. 3 ss.; A. Manno, Bibliogr. stor. d. Stati della monarchia di Savoia, IV, Torino 1892, pp. 240 s.; L. Usseglio, I marchesi del Vasto, in Riv. stor. ital., X (1893), pp. 423 ss.; E. Morozzo della Rocca, La storia dell'antica città di Monteregale ora Mondovì in Piemonte, Mondovì 1894-95, II, pp. 312 ss.; C. Desimoni, Sulle Marche d'Italia e sulle loro diram. in marchesati, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XXVIII (1806), pp. 221 ss.; F. Guasco, Diz. feudale degli antichi Stati sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911, I, pp. 125, 181, 271, 509; II, pp. 648, 784, 823, 851, 892, 896, 906, 922; III, pp. 1075, 1206; IV, p. 1488; G. Manzoni, Ceva ed il suo marchesato, Ceva 1911, pp. 5-13; A. Tallone, Tomaso I,marchese di Saluzzo(1244-1296), Pinerolo 1916, p. 104; F. Gabotto, Gli Aleramici fino alla metà del sec. XII, in Riv. di storia,arte ed archeologia per la prov. d'Alessandria e Asti, XXVIII (1919), pp. 1-36; L. Vergano, Storia d'Asti,ibid. LX-LXI (1951-52), pp. 42, 55, 64, 82 ss., 114; G. Da Bra, Ceva in tutti i tempi, Cuneo 1959, pp. 51-97; F. Cognasso, Il Piemonte nell'età sveva, Torino 1968, pp. 306, 308, 312, 332, 339, 392, 466 s. Vedi inoltre R. Bordone, L'arist. militare del territorio di Asti: i signori di Gorzano, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, LXIX (1971), pp. 357-446; LXX (1972), pp. 489-544; Id., Una valle di transito nel gioco politico dell'età sveva. Le trasformazioni del potere e dell'insediamento nel comitato di Serralonga,ibid., LXXIII (1975), pp. 109-79.