DELLA VALLE, Guglielmo (al secolo Pietro Antonio o Giovanni Antonio)
Nacque tra il 1740 e il 1750, probabilmente nel 1745. Il luogo è incerto.
L'unico autore che dia una data precisa (4 nov. 1742), il Comolli, che scrive nel 1788 lui vivente, lo dichiara nativo di Montechiaro d'Asti: però accurate ricerche ivi effettuate (come pure a Mondovì, Moncalvo e Montalto, di dove altri autori lo dicono originario) hanno dato esito negativo. Un documento dell'archivio dell'Arcadia in Roma (Custodia Broggi, VII,1771, p. 57, n. 317), relativo all'ammissione del D. a quell'accademia, reca l'annotazione "di Tonco nel Monferrato" (paese a 4 km da Moncalvo e Montechiaro); presso la parrocchiale di quel luogo si sono rinvenuti atti anagrafici della sua famiglia, che se non portano la nascita di alcun Pietro Antonio (che le fonti minoritiche indicano come suo nome originario), danno però quella di un Giovanni Antonio, ivi battezzato il 12 nov. 1745, figlio di Guglielmo Antonio Della Valle (cui è dedicata una delle Lettere sanesi, I, n. 20, p. 207) e di Anna Maria De Ferrari, di distinta famiglia (godono negli atti del trattamento di dominus). Siccome mutamenti d'uso o imprecisioni nei prenomi erano allora assai comuni, vi è fondatissima presunzione che si tratti dell'atto di battesimo del D., anche sulla scorta della notizia che egli aveva sedici anni quando entrò nel convento di Pinerolo, il 1° genn. 1762, mentre un accenno dello stesso D. al "nativo convento di Moncalvo" (nell'"Introduzione" della Confutazione dello Spedalieri, p. XXXI, n.a.), diviene non contraddittorio, per essere Moncalvo e Tonco limitrofi.
I D. compì i suoi. studi fino alla filosofia nel R. Collegio della vicina Montechiaro, diretto allora dal teologo Petratti, e poi dai fratelli Rostagni, il più anziano dei quali fu suo precettore; sotto di lui il D. si applicò con passione ai classici per due anni. Il caso (l'esempio di un amico), ma certo anche la deformità (era gobbo, dalla voce e dall'aspetto "non grati") e la speranza di poter così meglio dedicarsi agli studi e viaggiare, lo spinsero a sedici anni a entrare nell'Ordine dei minori conventuali, il 1° genn. 1762 nel convento di Pinerolo. Terminato il noviziato, passò allo Studio di Torino, dove nel 1765 sostenne pubbliche tesi di filosofia; alla fine del corso teologico venne inviato a Roma, presso il collegio di S. Bonaventura. Il 16 genn. 1772 fu ordinato sacerdote e nel 1773 si laureò in Roma, venendo ben presto iscritto all'albo dei maestri.
In questo periodo, entrato in Arcadia col nome di Ismerio Peliaco, i suoi interessi e i suoi studi andarono sempre più indirizzandosi verso le arti figurative: seguì il formarsi del Museo Clementino, si accompagnava spesso ad arnatpri e critici d'arte, e si legò ad artisti come i pittori P. Batoni e R. Mengs, l'architetto F. Milizia (col quale visitava i monumenti romani disputandone), il musicista correligionario G. B. Martini. Fece un soggiorno in Assisi. dove cominciò ad interessarsi alla grande pittura medioevale in quella basilica. Subito dopo venne destinato al convento di Fossano (Cuneo), dove iniziò l'insegnamento della matematica e della filosofia; in questa città, nel 1777, con il marchese A. Valperga d'Albarey, il conte G. E. Bava di San Paolo (il patrono della Sampaolina), l'abate G. Muratori ed altri, diede vita all'Accademia di filosofia e belle lettere che, colonia arcadica nel 1778, diverrà dal 1787 la R. Accademia Fossanese: il D. fu attivissimo socio della classe di filosofia, privilegiando temi scientifici. Insegnò anche saltuariamente a Torino, dove godette la protezione di Vittorio Amedeo III, e dove frequentò assiduamente l'Accademia di pittura e scultura, ben visto dai filopatridi (per aver nelle sue opere rivalutato artisti piemontesi) ed ammesso alle loro adunanze. In seguito sarà associato alla R. Accademia delle scienze, ed a quella agraria di Torino. La sua prima opera a stampa conosciuta è un opuscolo di carattere tecnico-agrario, Lettera sopra lo sfogliar le viti prima della vendemmia, Torino 1779, seguito da un altro di argomento affine, Osservazioni sul modo di migliorare i vini d'Italia e renderne la maggior parte atta alla navigazione, ibid. 1780. Ne seguiranno molti altri, sui più disparati temi scientifici legati ad avvenimenti d'attualità, come Osservazioni sul terremoto sentitosi in Siena nel gennaio 1781, dedicate ad Everardo de' Medici, ibid. 1782; Osservazioni sopra un bastone di castagno vegetato nei' bottini delle acque sotto le strade interne di Siena, in Giornale di Milano, 1781, pp. 143 ss.; Sul vulcano di Gaville e sull'origine del legno fossile che vi arde (memorìa presentata alla R. Acc. d. scienze di Siena, s.d.); Lettera sopra un fuoco che arde in Valdarno, al dr. Baldassarri (una copia fu vista nella bibl. del convento di S. Francesco in Milano); Lettera alla contessa Lisabetta Nicolini (sull'allevamento dei filugelli e la coltivazione dei tartufi), in Opuscoli scelti su le scienze e le arti, X, Milano 1787, pp. 87 ss. Questi scritti dimostrano una curiosità vivace ed interessi enciclopedici, ma non sono certo di particolare impegno o novità. Nel campo dell'erudizione, rappresentò invece un grosso lavoro il manoscritto (oltre 300 fogli) delle Correzioni ed aggiunte all'opera di L. Wadding (Annales e Scriptores Ordinis minorum), che egli aveva raccolto su commissione del generale dell'Ordine Barbarigo, e che portò seco a Torino (tale manoscritto risulta perduto nelle vicende dei conventi nel periodo rivoluzionario).
Nel 1780 il D. venne trasferito a Siena, per leggervi teologia nel celebre Studio di quel convento francescano. In Siena vi era già stato un movimento di interesse e di studio, molto generico, sulla locale pittura medioevale (di "scuola senese" nessuno aveva nonché trattato neppure ipotizzato), ma tutto piuttosto confusamente, senza un metodo (G. Gigli, U. Benvoglienti, G. Carli); il bibliotecario ab. G. Ciaccheri aveva anche raccolto molte tavole e frammenti e li aveva collocati senza ordine nei locali dell'università. Il D., appena giunto, si propose subito di dar loro una sistemazione, rifiutandosi però di accettare le attribuzioni basate solo sulla tradizione e le arroganti convinzioni degli studiosi locali; ricorse invece ai documenti scritti, i oli indiscutibili, esplorando con perizia gli archivi senesi, sia pur con l'aiuto di alcuni specialisti in patrie memorie e del prefetto dell'Archivio delle Riformagioni. Non bastandogli i dati locali, creò una rete di corrispondenti, fece lunghi viaggi di ricerca, non lesinò sforzi: così, il mosaico dell'arte senese cominciò ad apparirgli più chiaro, anche fuori dell'ambito cittadino; scoprì così edifici, sculture, mosaici, pitture di artisti senesi. In questo periodo viaggiò molto per l'Italia: a Firenze prese cognizione diretta della scuola fiorentina, si rese conto che la senese non reggeva al mero confronto, e allora elaborò una sua teoria, secondo la quale la scuola fiorentina dopo Cimabue era estinta, mentre la senese, che gli appariva indipendente da quella e anzi più antica, era sopravvissuta molto più a lungo. In seguito, invitato dal Da Morrona, soggiornò a Pisa e, M conosciute dal vivo le tracce di architettura greca della cattedrale, i famosi sarcofaghi e le pitture, articolò meglio le sue tesi facendo derivare sia la scuola senese sia la fiorentina. indipendenti l'una dall'altra, dalla preesistente scuola pisana. Ormai aveva raccolto tanto materiale che gli parve giunto il momento di dargli una sistemazione organica, scegliendo la forma epistolare: nacquero così le Lettere sanesi, cui è legata la sopravvivenza della sua fama. Si tratta di ottantadue erudite monografle in forma di lettere, divise in tre volumi, indirizzate a personaggi della cultura italiana del tempo, quasi tutte concernenti le opere e le vite di artisti, per lo più medioevali.
Il primo volume vide la luce a Venezia (per interessamento dell'amico G. Vernazza), nel 1782, con il titolo Lettere sanesi di un socio dell'Accademia di Fossano sopra le belle arti, diviso in ventisei articoli, dei quali i primi tredici sono dedicati alla teoria dell'arte in generale, ed enunciano le sue tesi classicheggianti, mentre i successivi si occupano specificamente dell'arte senese, specialmente della pittura. Il secondo volume, che s'intitola Lettere sanesi del p.m. Guglielmo Della Valle min. conv. socio dell'Accademia di Fossano. Sopra le arti belle (Roma 1785), è composto di ventitré monografle, di cui sei su argomenti generici, tredici sulla pittura e le restanti su scultura e architettura (assai importante l'ultima lettera, all'abate Lanzi, p. 265, per definire la sua teoria sulle scuole toscane). Il terzo volume infine, Lettere sanesi del p.m. Guglielmo Della Valle, m. c., socio della Regia Accademia delle scienze e agraria di Torino (Roma 1786) si articola in trentatré lettere tutte assai specifiche su pittori e scultori, la maggior parte senesi (salvo la n. 32, p. 455, sul Carattere principale della scuola sanese, che è di teoria).Già dal 1783 il D. era stato richiamato a Roma, dove nel luglio venne eletto assistente dell'Ordine e segretario generale; come tale ci ha lasciato un interessante scritto, il Regestum generalatus rev.mi Barbarigo (Roma, Arch. gen. dei Frati min. conv., Fondo -mss., cod. A-78) in bel latino, nel quale sono inserite anche note di viaggio assai vivaci e di critica d'arte. Da esso trasse, avendo accompagnato il padre generale in Puglia, il materiale per il suo Viaggio per la Puglia, Roma 1786. Nel 1784 il D., che era grande intenditore di musica, anche a livello di tecniche, pronunciò il 24 nov. 1784 l'Elogio del p. Giambattista Martini, m.c., Bologna 1784; in seguito pubblicò anche le Memorie storiche del p.m. Gio. Battista Martini min. conv. in Bologna, celebre maestro di cappella, Napoli 1785. Il 16 nov. 1784 fu creato da Pio VI padre di casa del convento romano dei Ss. XII Apostoli, dei quale nel 1789 divenne superiore: lo era ancora nel 1793, quando si compromise politicamente facendo celebrare un triduo per la salvezza dei legittimi sovrani, e predicando per tre giorni consecutivi sui pericoli della democrazia; gliene deriveranno non pochi fastidi in seguito. Infatti, "vedendo Roma in pericolo e l'Italia tutta sossopra" si ritirò "nel nativo convento di Moncalvo" (Monferrato), come superiore, e visse colà le vicissitudini tempestose di quegli anni; nel luglio 1797 ottenne da Carlo Emanuele IV il perdono per gli abitanti di quel paese dopo un'insurrezione: sperava con ciò di aver fatto dimenticare il suo passato reazionario. Invece, trasferitosi a Torino, fla cabala tentò vari mezzi e tutti terribili per perderlo", cercando le accuse in due sue operette teologiche, Apologia del culto e dei suoi ministri e Ragionamento apologetico sul Purgatorio, entrambe Asti 1795; nello stesso anno aveva pure pubblicato in Torino un lavoro col quale tentava di apparire meno inviso ai rivoluzionari scagliandosi contro la superstizione, L'uomo filosofo dell'anonimo monregalese (da questo pseudonimo forse le leggenda della sua nascita a Mondovì). Ormai non risulta che lasciasse più il Piemonte, salvo un brevissimo soggiorno a Siena nel 1796. L'ultima vicenda documentata del D. fu originata dalla pubblicazione (Torino 1799) dell'Esame ragionato dei diritti dell'uomo ossia Confutazione dello Spedalieri, che egli scrisse per espresso incarico della corte sabauda, anche se stupisce il ritardo con cui apparve rispetto a pubblicazioni consimili nel resto d'Italia; sul piano politico si rivelò per lui sfortunatissima esperienza, perché suscitò la replica dei vercellese G. A. Ranza, Denuncia ai patriotti contro il libro di frate G. D. m.c. intitolato Esame ragionato…, Torino 1800, con un processo a suo carico e il successivo abbruciamento dell'opera incriminata in piazza Castello, durante una tumultuosa manifestazione. Degli ultimi anni del D. non si sa quasi nulla, vista la dispersione degli archivi conventuali e la soppressione degli istituti in quel periodo. Anche la data di morte è incerta (il De Tipaldo lo dà addirittura morto nel 1796). L'unico documento attendibile (la Miscellanea minoritica del padre generale Papini, Roma, Arch. gen. d. Frati min. conv., Fondo mss., cod. C. 90, f. 143, n. CCCCXLVI), informa che il D. "obiit Taurini anno 1805, dum iter Romam versus pararet".
Oltre quelle già esaminate, le altre opere di rilievo del D., tutte relative all'arte, sono: la Storia del duomo di Orvieto, Roma 1791, un sontuoso in folio ricco d'incisioni, ispirato dall'aver lavorato a quel monumento tanti artisti senesi (a cominciare da L. Maitani); l'edizione senese delle Vite del Vasari da lui curata tra il 1091 e il 1794 in undici volumi, con sua prefazione e illustrazioni, ricchissima di note e di correzioni, in cui soprattutto cerca di contrapporre al panfiorentinismo vasariano la sua rivalutazione della scuola senese; le Osservazioni sopra l'edizione romana delle prime due cantiche di Dante del p. Lombardi m.c. e. su l'origine della lingua italiana, Torino 1792 (anche Siena 1795), in cui antepone ai famosi primi monumenti noti della lingua volgare alcune lapidi da lui scoperte in Puglia; l'Elogio di Gustavo III re di Svezia, Roma 1794, pp. VIII-71; le Vite dei pittori antichi greci e latini, dedicato a Pio VI, Siena 1795, in cui tratta degli scavi dì Ercolano (ma non trascura egizi ed etruschi), occupandosi specialmente dei minori, i maggiori essendo già stati illustrati dal Dati, che egli emenda spesso.
Il D. fu uno storico e un critico d'arte di valore: basterebbero le tante attribuzioni tradizionali errate da lui individuate, come quella della Madonna Rucellai di Duccio al Cimabue, o degli affreschi di Ugolino di Prete Ilario nel duomo d'Orvieto al Cavallini e al Lorenzetti, o degli affreschi delle volte della chiesa superiore di Assisi a Cirnabue; basterebbe l'aver negato disegni giotteschi alla porta del battistero di Firenze o alla tomba del vescovo Tarlati nella cattedrale di Arezzo. Non piccolo merito poi fu il ritrovamento della tavola per S. Croce di Ugolino da Siena, perduta dal 1569, e la giusta collocazione del suo autore sulla scia di Duccio. Anche nella sua nota e strenuamente sostenuta tesi sulle scuole pisana e senese, pur necessariamente caduta per la mancanza allora di tante informazioni, vi è però del giusto e del vero: originale e poi accettata la sua scoperta dell'influsso di Giunta su Cimabue, o di quello di Nicola e Giovanni Pisano su Giotto, e originalissima e importante quella della componente romana della formazione di Giotto, corollario della sua svalutazione di Cimabue e della sua sopravalutazione del Torriti e del Cavallini. In ogni caso "gli resta il merito di aver portato la discussione da un piano di polemica campanilistica a quello di disputa storiografica, da cui partirono il Lanzi, il Cicognara e tuttì gli altri" (G. P. Previtali, G. D., in Paragone, VII [1956], pp. 3-11); "è certo che l'impegno critico" del D. "è passato come una tromba marina sulle acque stagnanti della storia dell'arte italiana: laddoVe sembrava prima che non vi fossero problemi ne pullulavano ora a centinaia, tutto era dubbio, i valori sconvolti, le attribuzioni incerte" (Id., 1964, p. 115). Si può concludere con lo stesso Previtali (ibid., p. 113) che il D. "è stato nel Settecento il maggior conoscitore d'arte senese, ed uno dei maggiori dell'arte italiana antica fino a Raffaello in senso assoluto".
Fonti e Bibl.: A. Comolli, Bibliografia storico-artistica dell'archit. civile ed arti subalterne, Roma 1788, II, pp. 266-76; V. Monti, Epistolario, a cura di A. Bertoldi, Firenze 1928, I, pp. 326 ss.; L. Lanzi, Storia pittorica dell'Italia, a cura di M. Capucci, Firenze 1968, I, Scuola senese, passim (spec. pp. 214-16); L. De Angelis, Elogio istor. del padre maestro G. D . ..., Siena 1823; E. De Tipaldo, Biogr. d. Italiani illustri, VI,Venezia 1824, pp. 30 ss.; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1844, XIV, p. 415;G. Claretta, Sui principali storici piemontesi, in Memorie d. R. Accad. d. scienze di Torino, s. 2, XXXI (1874), p. 165;L. Fumi, Il duomo di Orvieto e i suoi restauri, Roma 1891, pp. 3-7, 9, 27 s., 89 s., 92 ss., 104, 169, 281, 309 s., 322, 439, 443 s.; L. Torre, Scrittori monferrini, note ed aggiunte al Catalogo di Gioseffantonio Morano, dal 1771 al 1897, Casale Monferrato 1898, p. 114; G. B. Sbaraglio, Supplementum et castigatio ad scriptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos, Romae 1908-36, III, p. 238; G. Cimbali, Alla fonte del diritto pubblico italiano: l'anti-Spedalieri, ossia despoti e clericali contro la dottrina rivoluz. di N. Spedalieri, Torino1909, pp. LXVIII-LXXVII, 344-65; D. Sparacio, Gli studi di storia e i minori conventuali, in Miscell. francescana, XX (1919), pp. 26 ss.; Id., Frammenti' di scrittori conventuali, Assisi 1931, pp. 62-70; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, pp. 324, 521 s., 525, 633;Id., I filopatridi, Torino 1941, pp. 347, 353 n. 3;Id., Le adunanze della Patria soc. letteraria, Torino 1943, pp. 278, 279 n. 1; G.Natali, Il Settecento, in St. d. lett. it., Milano 1950, pp. 319, 444, 482, 1123; G. P.Previtali, La fortuna dei primitivi dal Vasari ai neoclassici, Torino 1964, ad Ind.; G.Ercoli, L'edizione delle Vite di G. D., in Il Vasari storiografo e artista, Atti del Congresso internaz. nel IV centenario della morte. Arezzo-Firenze ... 1974, Firenze 1976, pp. 93-100; L. Grassi, Teorici e storici della critica d'arte, Il Settecento in Italia, Roma 1979, pp. 7, 22, 29, 59, 69, 155-58, 200; G. Moroni, Dizionario di erudizione stor. -ecclesiastica, ad Indicem.